La riforma previdenziale del 1995 è afflitta da molti errori e lacune. Ma ha
anche meriti, come la correttezza del metodo con cui sono stati definiti i
requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione. Un metodo da preservare
perché assicurava coerenza nel periodo transitorio e flessibilità a regime.
Invece, le nuove regole previste dall'accordo di luglio non hanno alcun senso
in ambiente contributivo dove i coefficienti hanno esattamente il compito di
assicurare l'indifferenza delle età di pensione. La garanzia della copertura
minima del 60 per cento.
La riforma Ndc (Notional Defined Contribution)
italiana, varata nel 1995, è afflitta da errori e lacune tali da
impedirle di raggiungere i fini (equità e sostenibilità) per i quali era
stata concepita. Ciò non toglie che abbia dei meriti. Uno di questi è la
correttezza del metodo con cui furono definiti i requisiti
anagrafici per l’accesso alla pensione. Superando ogni
distinzione fra vecchiaia e anzianità, come si conviene in ambiente
contributivo, fu individuato un intervallo di età pensionabili (57-65
anni) unico per tutti i lavoratori: uomini, donne, dipendenti e
autonomi.
La transizione fu governata in modo coerente: l’età minima richiesta ai
lavoratori in tutto o in parte "retributivi" per accedere alla pensione
di anzianità fu gradualmente allineata all’estremo inferiore (57 anni)
dell’intervallo pensionabile scelto per quelli "contributivi", così da
garantire una soglia uguale per tutti. Intervalli di età e
quote
Sarebbe stato necessario preservare questo metodo che assicurava
coerenza nel periodo transitorio e flessibilità a regime. Per farlo,
sarebbe bastato far slittare in avanti l’intervallo pensionabile dei
lavoratori contributivi e allineare, anche gradualmente, al nuovo
estremo inferiore il requisito anagrafico transitoriamente richiesto ai
lavoratori retributivi. Invece, gli errori commessi dalla legge
Maroni sono stati perpetuati e aggravati con l’introduzione
delle cosiddette quote.
Come l’Italia del 1995, così tutti i paesi che hanno scelto il modello
Ndc, in Europa e altrove, hanno individuato un intervallo di età
pensionabili. Talora l’intervallo è "aperto a destra" nel senso
che, pur indicando un estremo superiore, quest’ultimo può essere
oltrepassato fino al punto in cui il datore di lavoro non si opponga
esplicitamente. Ad esempio, la Svezia ha scelto un intervallo aperto che
prende avvio dal sessantunesimo anno e la Polonia dal
sessantacinquesimo.
Si prova imbarazzo a spiegare agli esperti internazionali di pensioni
che il modello Ndc italiano, oltre che per altre anomalie, si distingue
ora per consentire:
a) agli uomini di andare in pensione a 61 anni
con 36 di anzianità, oppure a 62 con 35, oppure a 65 con qualunque
anzianità, oppure a qualunque età con 40 anni di anzianità;
b) alle donne di andare in pensione a 60 anni con
qualunque anzianità.
Per quanto peculiari, tali regole a macchia di leopardo hanno uno
scopo, quindi un significato, in ambiente retributivo,
mentre non ne hanno alcuno in ambiente contributivo
dove i coefficienti hanno esattamente il compito di garantire
l’indifferenza delle età di pensione, ovvero di assicurare che le scelte
di pensionamento non abbiano effetti sull’equilibrio finanziario e la
sostenibilità del sistema.
Quel "60 per cento" garantito
Altro aspetto curioso dell’accordo del 23 luglio, confermato dalla
nuova intesa di mercoledì scorso, è la previsione di meccanismi di
solidarietà e di garanzia (che potrebbero portare indicativamente il
tasso di sostituzione al netto della fiscalità ad un livello non
inferiore al 60 per cento) fatto salvo l’equilibrio finanziario
dell’attuale sistema pensionistico. A quadrare tale cerchio dovrebbe
essere, entro il 31 dicembre del 2008, una sventurata "commissione di
esperti".
Per il 2050, la Ragioneria generale dello Stato prevede 0,842
pensioni dirette per ogni occupato. Moltiplicando questo dato
per la copertura minima del 60 per cento "garantita" dall’accordo, si
deduce un’aliquota di equilibrio del 51 per cento. In
realtà, si profila la necessità di una pressione contributiva ben
superiore, in grado di finanziare anche le pensioni di reversibilità.
"Al netto della fiscalità" il conto è un po’ più complicato, ma ci vuol
poco a capire che più degli "esperti" servono i maghi
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