Senza
revisione dei coefficienti, il modello contributivo non avrebbe più
ragion d’essere. Ciò nonostante, si sta facendo molta fatica per portare a
casa la prima revisione, vitale per la praticabilità delle successive. È
possibile che, alla fine, ci si riesca con molte contropartite fra cui
l’adeguamento delle pensioni in essere. Ma lo scambio fra revisione e
adeguamento non può essere ridotto ai termini semplicisticamente ipotizzati.
Prima pensione versus indicizzazione
In ogni sistema pensionistico si pone, a parità di spesa,
la scelta del profilo temporale della rendita. I profili piatti
possono permettersi partenze più alte. Come dire: indicizzazioni più avare,
ad esempio che garantiscono il recupero parziale o totale dell’inflazione,
fanno spazio a tassi di sostituzione (prima pensione/ultimo salario) più
generosi.
Tuttavia, i profili piatti sono rischiosi per l’equilibrio finanziario dei
sistemi a ripartizione in quanto generano pensioni d’annata, cioè
differenziate per anno di decorrenza. Col tempo, il fenomeno può assumere
dimensioni originariamente insospettate dal sindacato in sede negoziale e
indurre quest’ultimo a ‘recedere dal contratto’ rivendicando adeguamenti.
Perciò i governi dovrebbero propendere per ‘accordi’ in cui il trade-off
fra l’indicizzazione e il tasso di sostituzione sia risolto a favore della
prima.
In ‘ambiente contributivo’ i profili possono essere disegnati in modo
rigoroso. Per spiegare come, occorre ricordare che il sistema a ripartizione
è ivi concepito come una banca virtuale che a ciascun lavoratore
intesta un conto corrente personale in cui vengono prima depositati i
contributi e poi prelevate le pensioni. I prelievi sono ammessi nel limite
dei depositi (aumentati degli interessi) così da garantire la
corrispettività. È dimostrato che quest’ultima si tira dietro la
sostenibilità e cioè garantisce l’uguaglianza (tendenziale) fra la somma dei
contributi depositati in un anno dai lavoratori e la somma delle pensioni
nello stesso anno prelevate dai pensionati. In realtà, il teorema vale a una
condizione tanto sufficiente quanto necessaria: che la banca virtuale
remuneri i conti personali con un interesse uguale alla crescita economica.
Perciò è chiamata ‘interesse sostenibile’.
Il modello contributivo accredita l’interesse sostenibile sia ai lavoratori
(i cui saldi di conto corrente crescono in ragione dei contributi
depositati) sia ai pensionati (i cui saldi calano in ragione delle pensioni
prelevate). Per i lavoratori, l’accredito non produce effetti visibili prima
del pensionamento: solo allora determina un montante contributivo (saldo
finale) superiore alla somma dei contributi consentendo la liquidazione di
una pensione più generosa. Per i pensionati, invece, l’accredito
dell’interesse sostenibile produce effetti immediati sotto forma di
indicizzazione della rendita in godimento.
Tutto ciò premesso, parte dell’interesse sostenibile spettante dopo il
pensionamento può essere ‘pagato in anticipo’. Quando questo non
accada, il coefficiente di conversione è, mi sia consentita
l’approssimazione, il reciproco della durata della rendita. Infatti, la
pensione deve risultare dalla divisione del montante contributivo per gli
anni che restano da vivere al pensionato e al suo superstite. Nel caso di
specie, invece, il coefficiente è maggiore per dar conto che, sugli stessi
anni, va spalmato non solo il montante ma anche l’interesse prepagato. La
corrispettività e il pareggio di bilancio restano impregiudicati se
l’anticipazione è poi dedotta dalla indicizzazione (per non pagarla due
volte). In conclusione, l’anticipazione di una parte dell’interesse
sostenibile spettante al pensionato si configura come lo strumento per
governare il profilo temporale della rendita: anticipazioni maggiori
generano pensioni inizialmente più elevate ma a crescita più lenta.
La scelta svedese e l’errore italiano
La scelta del profilo può essere fatta centralmente
dal legislatore, oppure demandata ai lavoratori. La riforma
italiana accolse la prima opzione. In particolare fu scelto, sia pure in
forma reticente e confusa, di prepagare 1,5 punti allo scopo di garantire
pensioni contributive non troppo diverse da quelle retributive. Con le
stesse finalità, la riforma contributiva svedese, entrata in vigore nel
1998, decise di prepagare 1,6 punti.
Pur in presenza di scelte analoghe, solo l’Italia dimenticò di adottare
un’indicizzazione coerente. Infatti, alle pensioni contributive fu estesa l’indicizzazione
ai prezzi in essere per quelle retributive. La correzione dell’errore
implicherebbe, nel periodo transitorio, l’adozione di una ‘indicizzazione
duale’, cioè la coesistenza di due diverse indicizzazioni: l’una
(interesse sostenibile diminuito di 1,5 punti) riservata alle pensioni
contributive, compresa la componente contributiva delle pensioni miste; e
l’altra (inflazione) riservata alle pensioni retributive, compresa la
componente retributiva delle pensioni miste.
L’insostenibilità sociale del doppio regime è l’obiezione che, nel 1995, fu
sollevata da esponenti del governo quando, da consulente, indicai la
necessità che le pensioni contributive avessero un appropriato regime di
indicizzazione. Due anni dopo lo stesso problema si pose in Svezia
dove fu ragionevolmente risolto con una scelta opposta a quella italiana:
l’indicizzazione propria delle pensioni contributive, pari all’interesse
sostenibile diminuito di 1,6 punti, fu estesa a quelle retributive così da
evitare che, dopo il periodo transitorio, il sistema riformato resti dotato
di un’indicizzazione estranea alle sue logiche. L’Italia dovrebbe ugualmente
evitare un esito così paradossale anche valutando, in alternativa alla
soluzione svedese, la possibilità di dualizzare l’indicizzazione. L’attuale
fase congiunturale potrebbe favorire lo scopo, visto che l’indicizzazione ‛contributiva’
supererebbe l’inflazione.
L’odierna richiesta
Nello scenario descritto, viene calata la richiesta di
adeguare le pensioni in essere che, sganciate dai salari nel 1992, si sono
tanto più impoverite rispetto ad essi (nonostante la moderazione salariale)
quanto più lontana nel tempo è la loro decorrenza. L’adeguamento a beneficio
delle pensioni di oggi sembra curiosamente richiesto in contropartita della
revisione dei coefficienti, destinata a tagliare ulteriormente le pensioni
di domani.
Sebbene riduttiva rispetto alla complessità delle questioni ricordate, la
richiesta di adeguamento è almeno istruttiva dimostrando, ancora una
volta, che le pensioni d’annata sono socialmente intollerabili. Lo sono
perfino nell’attuale fase di cambiamento in cui anche quelle di più lontana
decorrenza restano privilegiate rispetto alle pensioni che, in un futuro
ormai prossimo, saranno liquidate con la formula contributiva. Di tale
intolleranza si dovrebbe prendere atto. In ambiente contributivo lo si può
fare in un modo soltanto: riducendo, o azzerando, gli 1,5 punti attualmente
anticipati. La conseguenza sarebbe una seconda riduzione dei coefficienti
più rilevante di quella, ancora pendente, deputata a dar conto
dell’accresciuta longevità.
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