L’evoluzione
della copertura pensionistica (pensione/retribuzione) nella prima
metà del secolo dipenderà dalle modalità e i tempi con cui il legislatore
vorrà sciogliere i nodi riguardanti l’indicizzazione di tre parametri:
· il tetto di retribuzione pensionabile deputato, nella
fase transitoria, a contenere le pensioni retributive medio-alte;
· il tetto di retribuzione imponibile deputato, a
regime, a delimitare la quota di retribuzione coperta dall’assicurazione
contro la vecchiaia;
· la pensione minima destinata a scomparire quando il
sistema contributivo sarà a regime (1), ma ancora deputata, nella
fase transitoria, a soccorrere le posizioni assicurative più deboli,
oltreché inopportunamente utilizzata, anche a regime, come unità di misura
degli scaglioni di pensione a indicizzazione differenziata. (2)
Le incertezze e le ipotesi
Ma il nodo maggiore riguarda le revisioni decennali dei
coefficienti di conversione: l’omissione della prima (2006)
pregiudica la seconda (2016) e perciò, a cascata, tutte le successive. Le
mancate revisioni scardinerebbero il principio di corrispettività che è alla
base della riforma contributiva, ma questo non sembra costituire un
deterrente in un paese che di quella riforma non ha mai fatto una bandiera.
Alle incertezze del quadro normativo si sommano quelle riguardanti
l’evoluzione delle variabili demo-economiche. Le scoperte in campo
bio-medico annunciano shock rilevanti nel trend crescente della vita media,
così da rendere imprevedibile l’evoluzione dei coefficienti. In un paese che
deve fare i conti con la globalizzazione dilagante e la metamorfosi
dell’economia mondiale nonché, all’interno, col calo demografico più acuto
al mondo, densa di incognite appare anche la crescita economica in ragione
della quale il sistema remunera i contributi.
Ciò premesso, il malcapitato previsore delle coperture in futuro offerte dal
primo pilastro, è costretto a lavorare sotto ipotesi. Nel loro contributo al
recente volume collettaneo curato da Marcello Messori (3), gli
scriventi assumono lo scenario seguente:
· sarà dato corso alle revisioni decennali dei
coefficienti, compresa quella omessa nel 2006;
· il tetto di retribuzione pensionabile potrà restare
indicizzato ai soli prezzi, parendo che il conseguente contenimento delle
pensioni medio-alte possa preparare la strada alla decurtazione, ben
maggiore, che esse dovranno subire quando calcolate con la formula
contributiva;
· anche la pensione minima potrà restare indicizzata ai
prezzi, parendo che il conseguente contenimento delle integrazioni possa
preparare la strada alla loro definitiva scomparsa;
· il tetto di retribuzione imponibile dei lavoratori
contributivi sarà, invece, agganciato ai salari, parendo che la parziale
esclusione dall’assicurazione contro la vecchiaia non debba riguardare le
retribuzioni medio-basse;
· la sopravvivenza si evolverà come previsto dall’Istat
ai fini della proiezione centrale della popolazione italiana;
· la produttività e l’occupazione si evolveranno come
previsto dal modello macro-econometrico di lungo periodo del Cer. (4)
Gli esercizi svolti
Fatto riferimento ad un lavoratore con 37 anni di
anzianità contributiva e 63 di età, le coperture offerte dal primo pilastro
sono state calcolate per quattro coorti e tre carriere caratterizzate da
altrettante dinamiche retributive. I risultati sono esposti nella tavola 1.
(5) La drastica caduta delle coperture è dovuta non tanto all’avvento
della formula contributiva, quanto al fatto che essa, diversamente da quella
retributiva che genera pensioni immutabili nel tempo, sa essere tanto
generosa quanto lo consentono le compatibilità macroeconomiche
generali. Il calo demografico frenerà la crescita del Pil, e perciò la
remunerazione dei contributi, mantenendola inferiore a quella della
produttività e dei salari. Scenari un po’ più ottimisti di quello assunto,
che maggiormente confidino sull’aumento della partecipazione femminile,
riuscirebbero a migliorare le coperture marginalmente.
Tav.1: le
coperture per anno di pensionamento e tipologia di carriera |
|
|
anno di pensionamento |
|
|
2005 |
2015 |
2030 |
2045 |
crescita del salario per anzianità(*) |
bassa (0,75%) |
70% |
66% |
52% |
41% |
--- |
(9%) |
(17%) |
(21%) |
media (2%) |
65% |
60% |
45% |
34% |
--- |
(12%) |
(22%) |
(28%) |
alta (5%) |
43% |
43% |
29% |
20% |
--- |
(0%) |
(21%) |
(31%) |
(*) che si aggiunge alla crescita da contrattazione nazionale e
integrativa |
|
Entro parentesi, la tavola 1 reca anche le aliquote
‘compensative’ (tutte attestate ben oltre la devoluzione del
Tfr) che i lavoratori destinati ad andare in pensione nel 2015, nel 2030
e nel 2045 dovrebbero, da subito, versare al secondo pilastro per preservare
(con l’aggiunta della pensione complementare) le coperture di cui hanno
beneficiato i lavoratori andati in pensione nel 2005. Le stime sottintendono
l’ipotesi che i rendimenti finanziari supereranno di 1,5 punti la crescita
economica e che i coefficienti di conversione del secondo pilastro
seguiranno l’evoluzione della sopravvivenza prevista dall’Istat.
Infine, limitatamente alle retribuzioni a crescita bassa (operai e
impiegati) la tavola 2 mostra, lungo le colonne, la rapida caduta che,
stante il meccanismo di indicizzazione, le coperture subiranno dopo il
pensionamento (pensione/salario del pari grado in attività). Lungo le
righe, si osserva l’incipiente (ma non trascurabile) fenomeno delle
‘pensioni d’annata’ (compresenza di pensioni a importo diversificato per
anno di decorrenza) destinato ad esplodere nella seconda metà del secolo,
quando le pensioni in essere saranno tutte contributive e le coperture
iniziali saranno state perciò simili.
Tav.2.:
retribuzioni a crescita bassa - evoluzione della copertura oltre il
pensionamento |
pensionati
del 2005 |
pensionati
del 2015 |
pensionati
del 2030 |
pensionati
del 2045 |
2005 |
70% |
|
|
|
2010 |
67% |
|
|
|
2015 |
62% |
66% |
|
|
2020 |
55% |
59% |
|
|
2025 |
50% |
53% |
|
|
2030 |
45% |
48% |
52% |
|
2035 |
40% |
42% |
46% |
|
2040 |
35% |
37% |
40% |
|
2045 |
|
33% |
35% |
41% |
2050 |
|
30% |
33% |
37% |
2055 |
|
|
30% |
34% |
2060 |
|
|
27% |
32% |
2065 |
|
|
24% |
29% |
2070 |
|
|
|
26% |
2075 |
|
|
|
23% |
2080 |
|
|
|
21% |
Conclusioni
Il messaggio tranquillizzante indirettamente lanciato
dalle proiezioni a legislazione vigente della spesa pensionistica,
deve fare i conti con la sostenibilità sociale degli spaccati offerti
dalle tavole 1 e 2. Il quadro previsionale potrebbe radicalmente cambiare
ove insorgessero resistenze alla caduta tendenziale delle coperture al
pensionamento così come di quelle successive. Se i coefficienti non fossero
aggiornati e fossero introdotte (anche con cadenza irregolare) forme di
perequazione delle pensioni superiori all’inflazione, il profilo della
annunciata ‘gobba’ sarebbe diverso, fino a portare la spesa ben oltre il 20
per cento del Pil (anziché al 16 per cento). Gli avvenimenti in corso
testimoniano che le resistenze sono già cominciate: la prima revisione
decennale dei coefficienti è stata omessa e il sindacato giudica non più
procrastinabili interventi per meglio tutelare il potere d’acquisto delle
pensioni.
La caduta tendenziale delle coperture non può essere contrastata impedendo
la revisione dei coefficienti. Si tratterebbe di una strategia perdente
perché destinata, nel lungo periodo, a essere sopraffatta dalle esigenze di
bilancio indotte dai mutamenti demografici. Occorre, invece, l’esatto
contrario: la revisione indurrà i lavoratori a elevare spontaneamente
l’età media di pensionamento. E, dal punto di vista macroeconomico, ciò
conterrà la crescita dei pensionati liberando le risorse necessarie a
preservare al meglio le pensioni.
(1) Nella visione individualistico-assicurativa che il modello
contributivo assume, si ritenne non vi fosse più spazio per la pensione
minima. L’assistenza ai cittadini anziani (pensionati e non) fu posta a
carico della fiscalità e demandata all’assegno sociale (anche ponendo fine
al dibattito sulla natura – assistenziale ovvero previdenziale - delle
integrazioni al minimo).
(2) Anche quando le pensioni retributive saranno estinte e le
integrazioni al minimo saranno solo un ricordo, la pensione minima dovrà
essere mantenuta ‘artificialmente in vita’ sol perché in termini di essa
saranno ancora definiti gli scaglioni.
(3) S. Gronchi e F. Gismondi (2006), "Quanto è necessario il secondo
pilastro?" in M. Messori, La Previdenza Complementare in Italia,
Bologna, Il Mulino.
(4) Vedi S. Gronchi e F. Gismondi, op. cit., pp. 528-529.
(5) Stanti l’età e l’anzianità ipotizzate, i pensionati del 2005 sono
interamente retributivi; quelli del 2015 sono retributivi al 49 per cento
(18 anni di anzianità contributiva su 37) e contributivi al 51 per cento (19
su 37); quelli del 2030 sono retributivi all’8 per cento (3 anni su 37) e
contributivi al 92 per cento (34 anni su 37); quelli del 2045 sono
interamente contributivi.
Archivio Pensioni
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