Anche oggi trascureremo le questioni planetarie, come
l’epocale distinzione tra sinistra riformista e sinistra radicale, per occuparci
di un problemuccio che, ce ne rendiamo ben conto, è del tutto marginale: la
corruzione. La Corte dei conti la indica anche quest’anno come il cancro che
divora la politica e la pubblica amministrazione, ma l’allarme dei giudici
contabili ha avuto, sui media italioti, la stessa audience che riscuote
l’annuale allarme dell’Onu sull’imminente morte del pianeta terra con la
tracimazione, fra l’altro, del Mediterraneo (alla peggio ci giochiamo mezza
dozzina di regioni, che sarà mai).
La corruzione c’entra con l’evasione fiscale, di cui è compagna inseparabile.
C’entra persino con le pensioni, visto che l’economia sommersa provoca evasione
contributiva e alimenta il buco dell’Inps costringendo i governi a tagliare
continuamente la previdenza a chi ne ha diritto. Guardacaso proprio oggi
l’Espresso pubblica l’elenco degli ex onorevoli che percepiscono dallo Stato,
cioè da noi, pensioni da favola anche se son rimasti in Parlamento mezza
legislatura: a lorsignori bastano due anni e mezzo per intascare più di un
normale cittadino dopo 40 anni di lavoro.
E la loro pensione è cumulabile con qualunque altro emolumento, visto che non
c’è ex parlamentare che non si accomodi subito su almeno un‘altra poltrona,
perlopiù a spese nostre. Ma il bello deve ancora venire: nella lista delle
onorevoli pensioni d’oro spiccano quelle dei disonorevoli protagonisti di
Tangentopoli. Limitandoci ai condannati, abbiamo Altissimo, Di Donato,
Pillitteri, La Malfa, La Ganga, De Lorenzo, Pomicino, Martelli, Tognoli. Senza
dimenticare i falsi testimoni Carra e Formica, e gli avanzi delle Tangentopoli
primigenie: Pietro Longo, Franco Nicolazzi e Mario Tanassi.
Completano il quadro Vittorio Sgarbi, pregiudicato per truffa allo Stato, e Toni
Negri, che lo Stato non lo derubava, ma lo voleva addirittura sovvertire con la
violenza: oggi, da quello stesso Stato, non disdegna una pensioncina, nella
migliore tradizione nazionale. Se non fossimo in Italia e questi discorsi non
venissero immediatamente silenziati con la parolina magica del “giustizialismo”,
si potrebbe domandare che razza di Stato è quello che paga profumate pensioni a
quanti l’han depredato per anni e decenni. Domanda è tutt’altro che peregrina se
si dà un’occhiata alla stampa estera.
La Washington Post informa che prima il Senato degli Stati Uniti, e subito dopo
la Camera dei rappresentanti, all’unanimità, hanno deciso di negare la pensione
ai parlamentari condannati per corruzione, spergiuro e altri reati contro la
pubblica amministrazione. Avete capito bene: all’unanimità. Anzi, qualcuno ha
protestato perché non è stata inclusa la frode fiscale.
«I politici corrotti ha spiegato il promotore della legge, Nancy Boyda -
meritano condanne alla prigione, non pensioni pagate dal contribuente».
L’unanimità è agevolata dal fatto che, negli Usa, chiunque sia sospettato di
corruzione viene cacciato dal Parlamento: per questo, in tema di corruzione, non
passano mai leggi salva-ladri, ma sempre anti-ladri.
La solidarietà di partito non fa mai premio sul principio di legalità e sulla
questione morale: il partito repubblicano, infatti, ha votato in massa per
questa legge sebbene alcuni (ormai ex) deputati repubblicani siano stati
condannati per corruzione.
Anzi, proprio per questo: per prenderne le distanze e riacquistare credibilità
agli occhi dei cittadini. In Italia, com’è noto, una mano (sporca) lava l’altra
(ancora tre giorni fa il Senato ha votato a gran maggioranza l’insindacabilità
del senatore-diffamatore Jannuzzi, mandando a monte una denuncia di Gian Carlo
Caselli e del pool di Palermo, mentre Jannuzzi veniva condannato a 1 anno e 4
mesi definitivi dalla Cassazione per aver scritto un sacco di balle sul caso
Andreotti nel libro «Il processo del secolo»).
Così la corruzione diventa il passepartout per la carriera politica: se in
America chi ruba perde il seggio, dunque lo stipendio,ma pure la reputazione, e
infine la pensione, in Italia si guadagna un posto in prima fila nelle liste
bloccate, con garanzia di essere eletto e riconfermato la volta successiva. Poi,
che lo scoprano o che la faccia franca, che resti in Parlamento o che ne esca,
ha il vitalizio assicurato. Anche se momentaneamente è agli arresti.
Se poi muore, lascia il seggio in eredità ai figli. E, se tutto va bene, gli
fanno il monumento. Se va male, gli intestano una via.
Marco Travaglio
da l'Unità del 3 febbraio 2007
Archivio Pensioni
|