Il risparmiatore investe in
fondi azionari nell’ambito della decisione globale di
allocazione del suo capitale. Per decidere in maniera ottimale, è
fondamentale capire rischi e opportunità offerte dai vari fondi.
Centomila euro da investire
Supponiamo che un investitore, dopo aver considerato il suo
tenore di vita, le sue prospettive per il futuro, il suo reddito da
lavoro, le sue proprietà immobiliari, abbia deciso di impiegare
centomila euro in un fondo azionario europeo che investa in azioni a
larga capitalizzazione.
Si noti che questa scelta ci proietta immediatamente a uno stadio
molto avanzato del processo di allocazione di portafoglio e quindi
delimita in maniera precisa, ma notevole, il campo di interesse del
nostro contributo.
Quali sono gli elementi utili per scegliere tra gli innumerevoli
fondi presenti sul mercato?
Da dove cominciamo? La tentazione è quella di recarsi presso la
propria banca e chiedere. Questa scelta è molto limitante: le
banche italiane in generale hanno nel loro gruppo una società di
gestione e offrono ai clienti esclusivamente i fondi gestiti dalle
loro società. Per avere una valutazione più completa, gratuita (e
disinteressata) è meglio partire consultando il sito
www.morningstar.it che permette di
analizzare comparativamente l’intero universo dei fondi di
investimento presenti sul mercato.
A titolo di esempio, se cliccate su "Fund Selector" e impostate tra
i parametri di ricerca nel campo "Categoria Morningstar" "Azionario
Euro Large Cap", lasciando liberi tutti gli altri parametri, vengono
selezionati duecentonovantadue fondi.
Cos’è il benchmark
Il punto di partenza ovvio per la valutazione dei fondi
sono i loro rendimenti e il loro rischio.
Per facilitarne la valutazione da parte del potenziale acquirente,
ogni fondo è obbligato a indicare con precisione un "benchmark", un
paniere di riferimento, solitamente costituito da uno o più
indici generali di mercato.
Il suo ruolo fondamentale è indicare il rischio e il rendimento
della cui responsabilità il gestore si sente sollevato nei confronti
dell’acquirente. Ipotizziamo di aver investito in un fondo azionario
europeo, che ha come benchmark l’indice generale dei mercati
europei, per il periodo 2000-2005. In questo periodo il benchmark ha
avuto l’andamento riportato nella figura 1.

Dunque, nell’arco di tempo 2000-2005 il gestore si è sollevato
dalle responsabilità delle perdite per un ammontare del 29 per
cento. Dal suo punto di vista, il risultato della gestione è
positivo a cominciare da perdite inferiori al 29 per cento.
Il benchmark è utile per capire il rischio dell’investimento: il
nostro investitore che ha 100mila euro nel fondo azionario accetta
di tollerare fluttuazioni giornaliere fino al 3 per cento
dell’ammontare totale investito. Tale è infatti la volatilità dei
rendimenti giornalieri del benchmark.
Ma c’è un fatto importante che non è comunemente percepito dagli
investitori, ed è illustrato nella figura 2.

Il rendimento totale dell’investimento azionario è ottenuto
sommando alle variazioni dei prezzi i dividendi percepiti dal
possessore delle azioni. Esistono però due tipi di indici: gli
indici che considerano solo le variazioni di prezzo nel calcolare i
rendimenti e gli indici che sommano alle variazioni di prezzo i
dividendi (noti come "total return index"). Ovviamente i rendimenti
calcolati sugli indici che includono i dividendi sono superiori a
quelli sugli indici che li escludono.
La figura 2 illustra come nel caso dell’indice europeo riferito al
periodo 2000-2005 tale differenza sia pari circa al 10 per cento.
La pratica comune dell’industria dei fondi in Italia è quella di
escludere i dividendi dal benchmark. Il risultato è che un
gestore che ha replicato esattamente il benchmark nel periodo
2000-2005 si presenta al cliente illustrando una performance
migliore rispetto al benchmark pari a circa il 10 per cento.
Incidentalmente, questa pratica "disinvolta" diventa ancor più tale
se i fondi hanno commissioni di performance e se tali
commissioni sono proporzionali all’eccesso di rendimento rispetto a
un benchmark che non contiene i dividendi.
Una volta compreso il ruolo del benchmark, è immediato analizzare la
performance passata dei vari fondi considerando il rendimento dei
fondi (al netto delle commissioni) e quello del benchmark. Il sito
Morningstar considera per tutti i fondi della stessa categoria un
benchmark comune, appunto l’indice Msci Euro.
Tra i duecentonovantadue fondi considerati, negli ultimi cinque anni
il rendimento più elevato registrato è stato pari al 31,5 per
cento (con una deviazione standard del 13,2 per cento) mentre il
rendimento più basso è stato del -61,4 per cento (con una
deviazione standard del 13,9 per cento)
A questo punto, la questione fondamentale diventa capire quanto la
performance passata di ogni fondo in termini di rischio e
rendimento è stata determinata dal caso piuttosto che da fattori
sistematici legati all’abilità del gestore. Ciò determina la
rilevanza del passato per la nostra scelta.
Nessuno infatti desidera pagare commissioni di gestione a un gestore
solo perché è stato fortunato, senza avere nessuna garanzia che
potrà continuare a esserlo nel futuro. Ma di questo ci occuperemo in
un prossimo articolo
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