A sei mesi dal varo della legge delega sulla previdenza, è utile fare
il punto sui provvedimenti che dovrebbero entrare in vigore prima del 31 gennaio
2007. Si tratta del bonus contributivo e del trasferimento del Tfr ai fondi
pensione. Per la verità, la riforma avrebbe dovuto avere anche un terzo effetto
immediato: allentare i vincoli del Patto di Stabilità e crescita, mettendo sul
piatto il varo di una riforma strutturale. Anche di questo effetto potenziale è,
dunque, lecito tenere conto. All’atto dell’approvazione della riforma, era parso
a molti come il più importante.
La riforma e il Patto
La legge delega difficilmente servirà al nostro paese per allentare i vincoli
del Patto di Stabilità e crescita. Anche se il
Consiglio europeo di metà marzo dovesse approvare una riforma del Patto
che premia i paesi che riescono a ridurre il debito implicito dei loro sistemi
previdenziali, anche se dovesse includere nella platea dei beneficiari di queste
deroghe i paesi con debito elevato come il nostro, non ci presenteremmo a
Bruxelles con le carte in regola. La riforma, infatti, ci lascerà a regime un
livello di spesa pensionistica sul prodotto interno lordo più alto di
quello che si sarebbe ottenuto in sua assenza. Non basterà, dunque, a ridurre il
debito implicito del sistema pensionistico, definito come il valore attuale
delle prestazioni previdenziali, il diritto alle quali è maturato in base alla
legislazione vigente. Ed è proprio a questo parametro che la Commissione sembra
intenzionata a guardare.
Il trasferimento del Tfr ai fondi pensione
Un altro effetto immediato della riforma doveva essere lo sblocco del
trattamento di fine rapporto (Tfr) verso la previdenza integrativa. Si tratta di
un flusso annuale pari a circa un punto e mezzo di Pil, in grado nel giro di
dieci anni di portare i nostri fondi pensione a gestire un patrimonio pari a
circa un sesto del nostro prodotto lordo. Non poco, tenendo conto del fatto che
oggi la previdenza integrativa gestisce attorno a 2 punti di Pil. Dato che il
Tfr oggi garantisce un rendimento reale dell’1 per cento, è legittimo pensare a
un rendimento dei fondi tale da aumentare in modo consistente la ricchezza
pensionistica dei lavoratori. Ma anche questo vantaggio della riforma
rischia di rivelarsi effimero se si dovessero continuare a ignorare le ragioni
che dissuadono i lavoratori che già oggi possono farlo, dal dirottare il Tfr ai
fondi pensione. Se in un’impresa solo alcuni lavoratori chiedono lo smobilizzo
del Tfr mentre gli altri trattengono i fondi presso l’impresa, il rischio di
licenziamento finisce per concentrarsi sui primi. Infatti il datore di
lavoro, chiamato a decidere su quale lavoratore mettere in esubero in caso di
crisi aziendale, ha un forte incentivo a non licenziare proprio quei lavoratori
cui dovrebbe, in caso di separazione, liquidare il trattamento di fine rapporto.
Inoltre, il lavoratore che decida di destinare il Tfr ai fondi pensione si trova
in mano uno strumento meno liquido, che difficilmente può coprire rischi
intercorsi durante la vita lavorativa. Nelle trattative con le parti sociali, il
Governo sta faticosamente cercando di trovare le risorse per compensare le
imprese che smobilizzano il Tfr. Ma le imprese potranno comunque avvantaggiarsi
dalla diminuzione del rischio di impresa associata allo
smobilizzo del Tfr , mentre nessuno sembra preoccuparsi di come convincere i
lavoratori ad alimentare col Tfr la previdenza integrativa. Utile rafforzare gli
incentivi fiscali, dato che il Tfr riceve oggi un trattamento molto
favorevole, ma occorre soprattutto ricordarsi della funzione genetica del Tfr
come
severance pay, dando risposte alla domanda di protezione di chi oggi
dovesse optare per i fondi pensione. Questo significa fare una vera riforma
degli ammortizzatori sociali e rendere la decisione sul dirottamento del Tfr una
scelta collettiva di tutti i lavoratori all’interno di un’impresa, affidata a un
referendum aziendale. Il cui esito servirebbe a determinare se tutti i
dipendenti trasferiscono il Tfr ai fondi pensione oppure nessuno lo fa, fatta
salva la libera la scelta dei lavoratori sul fondo cui eventualmente destinare i
propri risparmi.
Il bonus contributivo: chi attacca le pantofole al chiodo?
Veniamo infine all’unico aspetto della legge delega in via di attuazione. È
anche visibile al pubblico grazie allo spot delle "pantofole al chiodo" ….la
pensione può attendere. Si tratta del bonus contributivo (Superbonus) offerto ai
lavoratori dipendenti privati che, pur avendo maturato (entro il 2007) il
diritto alla pensione di anzianità, decidono di continuare a lavorare. Questi
lavoratori riceveranno in busta paga un aumento pari alla contribuzione totale
(32,7 per cento) dello stipendio lordo, mentre i loro diritti pensionistici
restano "congelati" a quelli a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto al
momento della richiesta di incentivo. Come osservato da
Sandro Gronchi, solo i lavoratori con redditi medio alti hanno un
vantaggio attuariale nel fruire del Superbonus, tenendo conto delle aliquote
fiscali di tassazione diretta e della perdita in termini di prestazioni
pensionistiche future. In altri casi, l’uovo oggi è peggio della gallina domani.
L’inverso, ovviamente, vale per le casse dell’Inps, che trarrebbero vantaggio
dall’accettazione del superbonus da parte di molti lavoratori con redditi bassi.
Quanti sono stati i beneficiari del "superbonus" e a quale fascia di reddito
appartengono? Complessivamente sono circa 30.000 le domande pervenute, di cui la
metà sono state accolte. Purtroppo non sono disponibili dati sui lavoratori che
acquistano il diritto alla pensione di anzianità. Secondo le nostre stime,
basate sul campione delle famiglie italiane rilevato dalla Banca d’Italia e sui
dati delle forze di lavoro, la platea dei potenziali beneficiari del bonus e’ di
circa 300.000 lavoratori dipendenti privati. Questo dato è in accordo con una
media di rinunce alla anzianità di 30/40 mila lavoratori all’anno e tiene conto
del fatto che al 2004 si è presentato uno stock di lavoratori già in possesso
dei requisiti nei mesi precedenti. Quindi le richieste accolte
riguarderebbero circa il 5% degli aventi diritto.
Tabella 1. Numero di domande pervenute (e accolte) per il Superbonus
Periodo di
riferimento |
Richieste Uomini |
Richieste Donne |
Richieste Totali |
Accolte Uomini |
Accolte Donne |
Accolte totali |
potenziali beneficiari |
fine ottobre 2004 |
11507 |
1044 |
12551 |
|
|
|
avevano maturato i requisiti di
anzianità al giugno 2004 o prima |
inizi novembre
2004 |
18073 |
1590 |
19663 |
|
|
|
avevano maturato i requisiti di
anzianità al giugno 2004 o prima |
Metà dicembre
2004 |
23130 |
2380 |
25510 |
9285 |
1214 |
10499 |
avevano maturato i requisiti di
anzianità al giugno 2004 o prima |
metà gennaio 2005 |
26700 |
2800 |
29627 |
13600 |
1711 |
15311 |
avevano maturato i requisiti di
anzianità al settembre 2004 o prima |
Fonte "Ministero del Welfare", comunicati stampa e materiale ai seguenti
link:
http://www.welfare.gov.it/SalaStampa/ComunicatiStampa/Elenco/2005/Default.htm
http://www.welfare.gov.it/SalaStampa/ComunicatiStampa/Elenco/2004/superbonus11000.htm
http://www.welfare.gov.it/SalaStampa/ComunicatiStampa/Elenco/2004/datibonus271004.htm
http://www.welfare.gov.it/SalaStampa/ComunicatiStampa/Elenco/2004/Superbonus19mila.htm
Come indicato dalla tabella 1, circa il 40% delle domande sono state
formulate all’atto stesso del varo dei regolamenti attuativi e 2/3 di quelle
accolte riguardano lavoratori che avevano maturato i requisiti per l’anzianità
prima dell’entrata in vigore del decreto (lo stock di potenziali beneficiari).
Si tratta, presumibilmente, di lavoratori che avevano deciso di non andare in
pensione comunque, anche prima dell’introduzione del superbonus.
Tabella 2: Distribuzione percentuale delle domande di superbonus per classi
di reddito da lavoro
Redditi lordi
(Euro) |
pervenute
ottobre 2004 (%) |
pervenute al
dicembre 2004 (%) |
accolte al
dicembre 2004 (%) |
pervenute a
gennaio 2005 (non definitivi) |
Distribuzione stimata dei
redditi da lavoro lordi dei dipendenti privati con piu’ di 50 anni |
0-30000 |
29,38 |
33,17 |
32,92 |
31,00 |
82,7 |
30000-40000 |
20,55 |
18,44 |
20,69 |
18,00 |
8.0 |
40000-50000 |
14,16 |
11,46 |
16,29 |
14,00 |
4.5 |
50000-100000 |
23,82 |
20,57 |
23,75 |
20,00 |
4.2 |
oltre 100000 |
12,07 |
16,33 |
6,34 |
17,00 |
0.6 |
Quanto al reddito dei beneficiari, la tabella 2 ci dice che si tratta, come
previsto da lavoce.info, soprattutto di lavoratori con redditi alti, di cui
circa 1.000 con redditi superiori ai 100.000 euro. Secondo l’indagine
Bankitalia, quasi l’85% dei lavoratori dipendenti privati in questa fascia di
eta’ ha redditi lordi inferiori ai 30.000 euro (vedi l’ultima colonna a destra
della tabella 2). Questo significa che il 70% dei beneficiari del superbonus
appartiene al 15% piu’ ricco dei lavoratori. Di piu’, solo lo 0,6 per cento
dei lavoratori in questa fascia di eta’ ha redditi superiori a 100.000 euro.
Dunque tra i lavoratori piu’ ricchi, circa uno su due potenziali beneficiari,
fruirà del superbonus mentre il restante 50% ha presumibilmente fatto domanda e
ne fruirà appena maturati i requisiti. Non sorprende la forte richiesta in
questa fascia di reddito, dato che questi lavoratori si troveranno una busta
paga aumentata di almeno 3.000 euro (con punte di 50.000 euro!) al mese.
Il Superbonus sembra percio’ avere fatto un regalo ai lavoratori con redditi più
alti che non sarebbero comunque andati in pensione, comportando una perdita
netta per le casse dell’Inps. Inutile dire che saremmo felici di essere smentiti
dai dati di cui forse unicamente il Ministero del Welfare oggi dispone.
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