Alla fine di settembre le
Commissioni parlamentari hanno fornito il necessario parere al
Governo sullo schema di attuazione della parte della legge delega
243/04 relativa alla previdenza complementare. Lo schema,
predisposto ai primi di luglio dal ministero del Lavoro, presentava
problemi così gravi da costituire un ostacolo anziché uno stimolo
allo sviluppo della
previdenza complementare. A parte modesti miglioramenti su punti
specifici, le modifiche suggerite dalle Commissioni peggiorano il
testo di luglio. La speranza, peraltro resa ancora più flebile
dall’inquietante rinvio di ieri, è che il Governo eserciti la delega
rigettando molti dei suggerimenti parlamentari e migliorando il
testo originario di inizio luglio.
Se così non fosse, il risultato sarebbe disastroso: (1) i
lavoratori più giovani, che sono destinati a ottenere
un’inadeguata copertura dal pilastro previdenziale pubblico,
sarebbero discriminati nell’adesione alla previdenza complementare;
(2) la concorrenza fra fondi pensione contrattuali (Fpc) e
adesioni collettive ai fondi pensione aperti (Fpa) sarebbe marginale
e si baserebbe sulla forzatura delle norme che regolano i contratti
di lavoro; (3) la governance dei Fpc e dei Fpa sarebbe
ridondante o contraddittoria, quella delle polizze previdenziali
assicurative insufficiente.
Breve storia di un disastro annunciato
Per capire perché si stia arrivando a un simile risultato, è
necessaria una rapida cronistoria di quanto è accaduto da inizio
luglio a oggi.
Lo schema di decreto legislativo è stato trasmesso al Parlamento
all’inizio di luglio prima del confronto fra Governo e parti
sociali. Si è trattato di un’evidente forzatura. Il ministro
Maroni aveva però sollecitato i sindacati, la Confindustria, altre
associazioni settoriali e le associazioni degli intermediari
finanziari ad avanzare proposte di modifica al testo entro i primi
di settembre. Arrivate da più di venti organismi rappresentativi di
varie fonti istitutive dei fondi pensione contrattuali sotto la
regia di Confindustria e dei tre maggiori sindacati dei lavoratori,
le richieste di cambiamento si sono caratterizzate per due aspetti:
un passo indietro rispetto all’apertura concorrenziale fra fondi
pensione contrattuali e fondi pensione aperti per le adesioni
collettive specie nelle piccolo-medie imprese; un impegno a fare sì
che, come previsto dalla legge delega, il trasferimento di flussi di
Tfr alle diverse forme pensionistiche complementari non comportasse
per le imprese alcun onere aggiuntivo sui finanziamenti sostitutivi.
Verso la metà di settembre il confronto con le parti sociali e con i
rappresentanti degli intermediari finanziari è sfociato in un nuovo
schema di decreto attuativo ancora carente, ma più equilibrato
rispetto a quello di luglio. Il ministro Maroni ha trasmesso questo
testo di compromesso alle Commissioni parlamentari; ha però
declinato ogni responsabilità in merito al suo recepimento e si è
dedicato a risolvere uno solo dei molti problemi rimasti aperti: la
costituzione del fondo di garanzia richiesto per allineare al
rendimento del Tfr il costo del finanziamento bancario sostitutivo.
Il risultato è stato quello più prevedibile: le Commissioni
parlamentari non hanno condiviso i contenuti essenziali del nuovo
schema di decreto attuativo e hanno emendato il testo di luglio,
peggiorandolo. Soltanto Confindustria appare soddisfatta del
risultato ottenuto: un corposo aiuto statale alla parte meno fragile
delle imprese e il possibile rafforzamento dei fondi pensione
contrattuali, già oggi più radicati.
Perché i lavoratori giovani sono discriminati
L’articolo 10 dello schema di decreto attuativo dei primi
di luglio prevedeva l’istituzione di "un fondo di garanzia per
facilitare l’accesso al credito, in particolare per le piccole e
medie imprese, a seguito del conferimento del Tfr alle forme
pensionistiche complementari". In conformità alla delega, la
facilitazione si è tradotta nell’impegno ad assicurare a tutte le
imprese interessate prestiti equivalenti all’allocazione dei Tfr al
secondo pilastro senza oneri finanziari aggiuntivi. Per vincere le
resistenze del sistema bancario alla concessione di un prestito
"semi-automatico" a un tasso vincolato verso l’alto, il Governo ha
però dovuto impegnarsi a coprire l’intero rischio di insolvenza
sui finanziamenti e ad assumersi l’onere della differenza fra i
tassi vincolati e i rendimenti del Tfr. Dovendo inspiegabilmente
coprire anche i flussi di Tfr già oggi destinati alla previdenza
complementare, il fondo di garanzia avrebbe comportato per lo Stato
un esborso assai superiore a quello previsto nella legge finanziaria
per il 2006 e a quello compatibile con i conti pubblici italiani. La
pilotata "osservazione al Governo" delle Commissioni parlamentari ha
semplificato il problema: "derogare, in via transitoria (...), alla
normativa sul conferimento del Tfr per le imprese che non abbiano le
condizioni per l’accesso al credito". Includendo tutte le imprese a
bassa patrimonializzazione e con significativi (ma non
necessariamente eccessivi) oneri finanziari, la deroga
rischia di interessare una fetta rilevante delle piccole e delle più
fragili imprese italiane. Almeno in una prima fase, ai lavoratori di
queste imprese non si applicherebbero né il meccanismo del
conferimento tacito del Tfr ai fondi pensione né la libertà di
scegliere la forma pensionistica complementare a cui destinare
esplicitamente il Tfr.
Il Tfr è una componente del salario (differito) dei lavoratori e non
una fonte di autofinanziamento delle imprese; dunque la previsione
del fondo di garanzia per una parte delle imprese rischia di porre
problemi di antitrust a livello europeo. Qui, però, è utile
sottolineare un altro elemento. Posto che abbiano un rapporto di
lavoro dipendente, i giovani meno protetti si concentrano nella
tipologia più debole di imprese. Pertanto, se il Governo facesse
propria questa osservazione, la nuova legge taglierebbe - almeno
temporaneamente - fuori non solo (le fasce deboli de)i lavoratori
autonomi, ma anche gran parte dei lavoratori dipendenti che più
avrebbero la necessità di integrare la pensione pubblica.
Incentiverebbe invece quella parte dei lavoratori dipendenti più
protetti che già oggi hanno elevati tassi di adesione ai fondi
contrattuali di riferimento.
Gli altri due problemi
Quasi altrettanto gravi sono le altre due novità segnalate in
apertura. In primo luogo, i suggerimenti delle Commissioni
parlamentari introducono ulteriori distorsioni alla concorrenza
nel mercato previdenziale.
La temporanea esclusione di una fetta significativa delle piccole
imprese elimina il terreno più proficuo di competizione fra fondi
pensione contrattuali (Fpc) e adesioni collettive ai fondi aperti. È
proprio in queste imprese che, oggi, i tassi di adesione ai Fpc sono
molto bassi. Per compensare tale fatto e soddisfare comunque il
principio di delega volto all’apertura del mercato previdenziale, le
Commissioni non hanno esitato a negare la portata generale dei
contratti collettivi di lavoro. Esse hanno infatti proposto di
considerare tali anche quelli limitati "ai soli soggetti o
lavoratori firmatari degli stessi". In linea di principio, ciò apre
una possibile competizione fra Fpc e adesione collettiva alle altre
forme pensionistiche complementari anche nelle imprese con
consolidata adesione alla previdenza complementare. Si tratta però
di una possibilità remota perché basata su un diretto e grave
conflitto con le rappresentanze sindacali.
Anche sulla governance dei fondi pensione aperti e di
quelli contrattuali, i suggerimenti delle Commissioni introducono
nuove distorsioni. Nel caso dei fondi aperti la ricerca di
terzietà del responsabile del fondo (o delle polizze
previdenziali assicurative) è, di per sé, auspicabile e
condivisibile. Rende, però, ridondante la presenza di un organismo
di sorveglianza con competenze analoghe e privo di qualsiasi
rappresentatività rispetto agli iscritti.
Il tentativo di superare il problema prevedendo la nomina di due
rappresentanti (l’uno per l’azienda e l’altro per i lavoratori) per
ciascuna adesione collettiva ai fondi aperti almeno pari a
cinquecento unità rischia poi di rendere ingestibile, e
dunque inutile, l’organismo di sorveglianza. Oltre a non tutelare le
adesioni al di sotto dei cinquecento aderenti, inflazionerebbe
infatti il numero dei membri di questo organismo qualora i fondi
aperti avessero successo. Nel caso invece dei fondi contrattuali, la
presenza del responsabile del fondo confligge con le competenze
dell’assemblea o del consiglio di amministrazione, a seconda che il
responsabile venga considerato un controllore dell’attività del
consiglio oppure una sorta di amministratore delegato. È dunque
improprio prevedere, come fa lo schema di attuazione di luglio, che
il responsabile del fondo possa essere un consigliere di
amministrazione. Il suggerimento delle Commissioni di conferire al
direttore del fondo la possibilità di fungere da responsabile
diventa, però, addirittura paradossale: la novità implica
infatti che il controllato possa controllare il controllore o possa
essere delegato a controllare se stesso
Indice
06/10/2005 Riforma del Tfr e Libertà di Scelta Le modifiche introdotte al decreto Maroni rispetto
06/10/2005 Le Osservazioni Pericolose Alla fine di settembre le Commissioni parlamentari hanno fornito il necessario parere al Governo sullo schema di attuazione della parte della legge delega 243/04 relativa alla
Le modifiche introdotte al decreto Maroni rispetto alla versione presentata a luglio al Consiglio dei Ministri hanno peggiorato il testo, eliminando la possibilità...
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