Gli enti di previdenza privatizzati rappresentano oggi una porzione
consistente della previdenza obbligatoria di base. Oltre un milione di iscritti,
quasi 300mila pensionati e un patrimonio complessivo che si aggira sui 24
miliardi di euro. A questo si aggiunga che sono circa due milioni e mezzo i
professionisti iscritti agli Ordini o praticanti negli studi professionali. A
completare il mosaico intervengono, infine, le associazioni professionali non
riconosciute - aderenti al Cnel - che annoverano già oltre 300mila persone
iscritte. (1)
Libere professioni crescono
La crisi dell’industria, a cui si associa una tendenziale riduzione del
lavoro dipendente, ha garantito negli ultimi anni nuova linfa al mercato delle
professioni, tanto quelle regolamentate e riconosciute quanto quelle "orfane" di
Albo o svincolate dal punto di vista legale dal possesso di un titolo di studio
determinato. La spinta delle professioni intellettuali, quindi, ha permesso di
incrementare la base contributiva delle singole casse professionali. Le
buone performance di oggi sono però soltanto la logica conseguenza di
gestioni ancora lontane da una piena "maturità" previdenziale. Rispetto, alle
gestioni previdenziali pubbliche il rapporto tra iscritti e pensionati si
mantiene ancora elevato. Tuttavia, se alcune categorie continuano a guardare al
futuro con fiducia, per altre l’ottimismo è solo di facciata perché ormai
avviate verso la stabilizzazione degli ingressi. Avvantaggiarsi di un trend
positivo delle immatricolazioni all’università, oltre che di buone prospettive
occupazionali, non aiuta a correggere le anomalie che sono state lasciate sul
tavolo della privatizzazione (decreto legislativo 509/94). Infatti, prima o poi
agli iscritti corrisponderanno altrettante pensioni e saranno di certo pensioni
generose, perché ancora erogate in base alla media dei redditi dichiarati.
Sarebbe dunque alquanto paradossale pensare di poter reggere su un modello a
ripartizione e retributivo, quando nessuna categoria può pensare di crescere
all’infinito.
Inoltre, ai favorevoli andamenti demografici (grafico 1) spesso non
corrispondono altrettanto positivi saldi di gestione (grafico 2). Si
impone perciò una riflessione, onde evitare che realtà che somigliano sempre più
a "mine vaganti" nel panorama previdenziale italiano possano accentuare gli
attuali vincoli alla crescita economica e allo sviluppo complessivo
dell’occupazione.
Il patrimonio immobiliare non basta
Categorie virtuose hanno optato con coraggio per pensioni più eque. La
scelta saggia del contributivo è proposta in questo caso come rimedio per
arginare un debito che in prospettiva avrebbe assunto proporzioni difficilmente
controllabili. Non è stata però una scelta condivisa da tutti: una larga
maggioranza ritiene che con la gestione virtuosa del patrimonio si possano
coprire i disavanzi prodotti da un sistema pensionistico alquanto generoso e un
trend demografico avverso. E in alcuni casi particolari sono le tensioni
politico-sindacali interne a far sembrare insormontabili le difficoltà da
superare per arrivare all’equità attuariale.
Tuttavia, a meno di rendimenti che abbiano del miracoloso, non è credibile che
si possano generare livelli di patrimonio sistematicamente sufficienti a
compensare gli squilibri finanziari dovuti all’incoerenza delle regole rispetto
alla struttura demografica ed economica. Ai patrimoni è tutt’al più ascrivibile
la funzione di "paracadute" in caso di correzioni strutturali.. Tanto più che le
casse non sono imprese, né società di capitali, che hanno come fine ultimo
quello di distribuire i dividendi. La funzione previdenziale viene prima di
tutto. Non sono accettabili politiche d’investimento rischiose per i
contribuenti, quando lo stesso quadro normativo non garantisce tranquillità agli
iscritti e la certezza di mantenere nel tempo l’equilibrio finanziario del
sistema. Ne deriverebbe un uso "improprio" dell’autonomia, in funzione non tanto
della tutela previdenziale degli iscritti quanto degli utili derivanti dagli
investimenti patrimoniali.
L’apertura verso i fondi immobiliari rappresenta una strada alternativa
per valorizzare i patrimoni accumulati, soprattutto quando i rendimenti netti in
questa circostanza sono spesso molto contenuti e limitati da costi diretti,
imposte e ammortamenti. A chi, come gli enti con elevati patrimoni immobiliari,
sta cercando soluzioni innovative per riqualificare i propri cespiti
patrimoniali la legge n. 351 del 2001 ha fornito un nuovo prodotto finora
parzialmente sviluppato, in una congiuntura economica che spinge sempre più
verso i "beni rifugio". I fondi immobiliari, provenienti dal mercato
statunitense, hanno ampi margini di crescita anche grazie alla favorevole
disciplina fiscale. Sono in grado di frazionare ciò che per natura non è
divisibile e possono avvantaggiarsi di un discreto grado di liquidità, oltre che
delle più lente oscillazioni del mercato a cui sono soggetti.
Tuttavia, seguire una linea di condotta di questo tipo può favorire le entrate
del sistema solo in misura minima. Gli accorgimenti e gli aggiustamenti che di
tanto in tanto vengono proposti per recuperare risorse utili a coprire il debito
pregresso ottengono il solo risultato di rinviare alle amministrazioni che
verranno decisioni fondamentali per la sopravvivenza del sistema.
La sostenibilità finanziaria sarà la vera scommessa per le casse
professionali. Ancor prima di discutere dell’efficienza della gestione - o anche
del benessere dei pensionati - sarebbe bene adoperarsi per rendere credibili
le promesse del passato. La produzione di previsioni e proiezioni -
strumenti che all’inizio sono mancati - è stata notevole nell’ultimo periodo.
Tuttavia, ciò non è stato sufficiente perché prendesse le giuste contromisure
chi dal 1994 ha cominciato a operare, forse troppo frettolosamente, in piena
autonomia.
Non vorremmo trovarci in un futuro non troppo lontano di fronte a voragini nei
piani pensionistici simili a quelle che sono state individuate di recente nella
"corporate America" dei fondi pensione. Proposte concrete e costruttive possono
essere valutate positivamente, purché non vengano messe in atto strategie che
evochino i fantasmi della finanza creativa.
(1) Il Cnel stima che l’universo rappresentato da queste associazioni
e dai loro iscritti può raggiungere in prospettiva il milione e mezzo di
persone.
Grafico 1 - Casse di previdenza: rapporto tra iscritti e pensioni. Dati
retrospettivi.

Fonte: elaborazioni su dati Sole24Ore.
N.B.: sono state considerate le categorie per le quali i dati erano disponibili
e attendibili.
Grafico 2 - Casse di previdenza: rapporto tra contributi e prestazioni. Dati
retrospettivi.

Fonte: elaborazioni su dati Sole24Ore.
N.B.: sono state considerate le categorie per le quali i dati erano disponibili
e attendibili.
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