Benjamin Franklin ha detto che nella vita niente è certo, eccetto la
morte e le tasse. In realtà, negli ultimi venti anni abbiamo capito che,
seppure la morte resta un fatto inevitabile, la lunghezza della
vita è una variabile sempre più incerta.
Il problema delle assicurazioni
Quando il moderno welfare state fu introdotto in Gran Bretagna nel
1948, gli uomini ricevevano la pensione a 65 anni e avevano una vita
attesa di 67 anni, solo alcuni sopravvivevano l’età di 70. Ora una
buona percentuale di donne vive oltre gli 80 anni.
In tutti i paesi sviluppati si sono registrati aumenti significativi della
longevità, che hanno messo in luce il problema di una mancanza di strumenti
finanziari adeguati a rispondere alla domanda di assicurazione
proveniente dai singoli risparmiatori e dal mercato
assicurativo-previdenziale.
Gli assicuratori in Gran Bretagna si trovano a far fronte a pagamenti di
vitalizi e pensioni per i quali la speranza di vita era stata sottostimata
in media di due anni, con notevoli perdite. D’altra parte, per restare
nel mercato, le compagnie hanno tenuto bassi i margini di profitto: molte
dichiarano di essere in perdita nel “ramo previdenza”, esiste quindi
un serio pericolo di scomparsa di tali forme assicurative. Ma i vitalizi e
le pensioni sono lo strumento finanziario per eccellenza nella stipula di
contratti previdenziali, proprio perché condizionali alla sopravvivenza
dell’assicurato, e quindi in grado di coprire il “rischio
longevità”.
I titoli longevity-linked
Il problema si può risolvere costruendo titoli, strumenti finanziari e
anche derivati “longevity-linked”, cioè titoli i cui rendimenti siano
legati a uno o più indici di sopravvivenza.
Il caso più semplice è un “survivor-bond”: è un titolo che paga
solo cedole senza restituzione del capitale, i pagamenti delle cedole
diminuiscono in linea con un indice di mortalità.
Questo potrebbe essere basato sulla esperienza di mortalità di
una coorte di individui prefissata, ad esempio la popolazione dei
sessantacinquenni viventi al momento della stipula. All’assottigliarsi
della coorte le cedole calano, ma i pagamenti continuano fino a che
l’ultimo individuo di quella coorte è vivo. Se, fatti cento gli
individui della coorte all’inizio del contratto, in un anno la coorte è
scesa a 98 individui, anche il pagamento della cedola è decurtato al 98
per cento del suo ammontare iniziale.
Il proprietario del titolo (ad esempio la compagnia
assicuratrice che lo acquista) è quindi protetto dal rischio aggregato di
longevità che effettivamente si trova a sostenere dal lato dei suoi
esborsi.
Ma il problema è: chi può emettere tali titoli? Chi è pronto ad
assumersi il rischio-longevità date le tendenze in atto?
Il primo titolo longevity-indexed è stato emesso nel
novembre 2004 dalla European Investment Bank. Il valore iniziale era di
540 milioni di sterline e la cedola iniziale di 50 milioni con una durata
di venticinque anni. La cedola decresce nel tempo in linea con la mortalità
degli uomini (inglesi o gallesi) che avevano 65 anni nel 2003.
L’emissione ha ovviamente riscosso notevole successo tra i fondi
pensione in Gran Bretagna.
Si noti tuttavia che questo nuovo strumento finanziario non è la
soluzione finale: non copre il rischio-longevità delle donne ed
è comunque limitato a una durata di venticinque anni, escludendo quindi
la speranza di vita della “coda” dei longevi di quella coorte.
Qualcuno ha suggerito che siano le imprese farmaceutiche a
emettere questi titoli, dato che i loro profitti salgono notevolmente
quando gli individui, invecchiando, fanno maggiormente ricorso a
medicinali. Il loro bilancio rappresenta quindi la naturale copertura per
i titoli longevity-indexed.
In conclusione, l’introduzione di questi prodotti può contribuire a
fermare il declino dei mercati assicurativi di tipo previdenziale che sono
essenziali per il funzionamento dei fondi pensione.
* Adattato da “Longevity Indexed products: The new Investment products
of the 21st Century”, manoscritto di David Blake, Londra, 2005.
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