Il titolo conta poco: il Foglio, l’Elefantino, Radio
Londra. Sarà un programma a soggetto: una telecamera, tre o cinque
minuti, tra il telegiornale di Augusto Minzolini e il varietà Affari tuoi.
E Giuliano Ferrara farà il suo editoriale quotidiano a
milioni di italiani su Rai1. Il direttore del Foglio avrà quel
pezzetto di palinsesto che fu del Fatto di Enzo Biagi e che
infastidiva così tanto Silvio Berlusconi.
Il Cavaliere chiuse la rubrica di Biagi, adesso ordina di riaprirla per
Ferrara, rientrato a corte, influente consigliere e nuovo editorialista del
Giornale. Ma la trattativa tra la Rai e l’ex ministro è curiosa. Ieri
il Foglio ha relegato a pagina 7 un’intervista a Mauro Masi.
Un paio di colonne innocue, memorabili soltanto perché il direttore generale
si definisce un civil servant. All’improvviso, le agenzie annunciano
l’avvento di Ferrara: “Torno, ho accettato l’offerta di rifare Radio
Londra (trasmissione di Mediaset)”. Troppo facile scoprire chi
corteggiava, i due s’erano visti il giorno prima per la chiacchierata sul
Foglio. Il consigliere Nino Rizzo Nervo racconta a Klaus Davi un episodio
interessante: “Quando si parlava di Maurizio Belpietro in un Cda, suggerii
a Masi di prendere in considerazione anche Giuliano per una trasmissione in
prima serata, ma allora il direttore del Foglio non era in trincea”.
E dunque Ferrara ha folgorato Masi in fretta, ancora in affanno per il debutto
di Vittorio Sgarbi e per l’ostruzionismo a Lucia Annunziata. Il direttore
generale da mesi rinvia l’inizio del settimanale sul potere dell’Annunziata
(sei puntate su Rai3), ma in una manciata di ore, senza avvisare nessuno,
regala a Ferrara un microfono aperto su Rai1, alla faccia del
contraddittorio e del pluralismo contestato ad Annozero per
Marco Travaglio. E sull’Annunziata ha mentito in Cda: “Domani ci vedremo
(ieri, ndr) per risolvere il problema”, eppure sapeva che la
conduttrice di In mezz’ora era all’estero per seguire la crisi
libica. Quando può, però, è svelto: altro che matricole bloccate, altro che
contratti dispersi. Masi ha mobilitato le strutture di viale Mazzini,
sempre puntigliose e burocratiche, per allestire la scenografia di Ferrara
entro il 7 marzo, al massimo il 14. Non c’è tempo da perdere per Masi, che
ormai è in uscita e con l’ultima operazione può garantirsi un approdo
migliore, non certo una vicepresidenza Eni. E non c’è tempo da perdere per
Ferrara, scelto dal Capo per tamponare l’emorragia di consensi e militarizzare
una fascia oraria da sei milioni di spettatori, già ben controllata da
Minzolini.
Il direttorissimo così smetterà di fare editoriali: il Tg1 filtrerà le notizie
a modo suo, l’ex ministro appunterà un commento. Per centinaia di serate quei
minuti che chiudevano la giornata politica erano di Enzo Biagi: “Non
guardo il Tg1 e non guarderò Ferrara – dice la figlia, Bice
– questa scelta non mi stupisce perché il momento è delicato per
il governo e il presidente del Consiglio”. Il sindacato dei giornalisti
Rai parla di propaganda: “Sì, aggiungo anche scandalosa
– dice il segretario Usigrai, Carlo Verna – Masi parla al
Foglio e cerca di rilanciare la sua immagine, disperatamente
aggrappato alla poltrona; Ferrara palesatosi consigliere del principe prenota
uno spazio di massima visibilità in Rai. E lo fanno con i soldi pubblici”.
Giovedì critico con Rai1 per il Festival di Sanremo, il consigliere
Antonio Verro (Pdl) è radioso: “Finalmente con Sgarbi e Ferrara
vedo realizzato il mio sogno di pluralismo”.
Il quadro è completo. Rai1? Occupata. Rai2? Quasi bonificata,
manca Annozero. Rai3? Immobile. Qui Roma, a voi (Radio) Londra.
26/02/2011 L’autodifesa di Vendola: mi sono fidato del Pd
(http://www.ilfattoquotidiano.it)
Parla il governatore della
Puglia dopo la pubblicazione delle intercettazioni dell'inchiesta sulla sanità
regionale: "Ho sostituito Tedesco anche se il suo partito ha fatto muro"

“Sono contento che la gente a me chieda di più. Che non mi facciano sconti.
E voglio chiarire ogni dettaglio”.
Presidente Vendola, non crede che i suoi sostenitori siano delusi
dalle intercettazioni, dalle parole del gip?
Ieri è stata una giornata terribile. Oggi no, sono felice. Il gip che si
occupava direttamente di me ha deciso l’archiviazione.
Restano i giudizi del gip De Benedictis, tutt’altro che lusinghieri…
Il giudice che conosce ogni dettaglio della mia posizione mi ha archiviato
senza ombre. Quanto all’altro gip, è singolare che entri nel merito di una
richiesta di archiviazione che pende di fronte a un altro giudice esprimendo
commenti che mi paiono affrettati. Ho la coscienza a posto e voglio chiarire
tutto.
Cominciamo allora. Nel provvedimento del gip De Benedictis si dice che
lei avrebbe sostituito manager per lo spoil system. Un modo diplomatico di
chiamare la lottizzazione?
Premetto: lo spoil system è effetto della legge che affida alle Regioni la
scelta dei manager. Ma quest’accusa non è fondata: ho sempre rifiutato lo
spoil system. Ho scelto i manager dai ranghi delle Asl, basandomi sui profili
professionali: se avessi voluto lottizzare non avrei scelto i manager tra i
dirigenti più esperti che lavoravano da anni nelle Asl. E soprattutto non
avrei dimezzato il numero delle Asl e delle poltrone da 12 a 6.
Il gip parla di “sistema clientelare” e di “lottizzazione
sistematica”. Com’è possibile che lei non si sia accorto di nulla? E se lo
sapeva, perché non l’ha denunciato?
Mi sono sempre basato su competenza e moralità. Leggetevi tutte le
intercettazioni. Si sente che io chiedo: “Ma è una persona per bene?”. Di più:
ai dirigenti dicevo di respingere le pressioni e di denunciarle.
Ma non è stato lei a nominare nel 2005 assessore alla Sanità Alberto
Tedesco, oggi senatore Pd per cui si chiede l’arresto?
Tedesco mi era stato rappresentato come l’unico profilo di alta competenza
sull’intricata sanità pugliese. La mia parola, il mio sguardo, mi parevano un
deterrente sufficiente per chi avesse intenti meno che leciti. Magari sono
presuntuoso: penso che chi lavora con me non possa essere sfiorato da dubbi
disonesti.
Il conflitto di interessi di Tedesco – che aveva figli con società che
operano nella sanità – secondo i magistrati era noto…
All’inizio del mandato Tedesco mi diede garanzia che avrebbe sciolto
il conflitto. Comunque l’ho sostituito alle prime voci di un coinvolgimento
nell’inchiesta. Lo stesso con il mio vice presidente Sandro Frisullo.
Tedesco e Frisullo… Ma un leader non dovrebbe saper scegliere i suoi
uomini?
Frisullo era il più autorevole rappresentante del Pd in Puglia, con lunga
militanza nelle istituzioni e indubbie capacità di amministratore. Tedesco era
un socialista uscito indenne da Tangentopoli, era apprezzato in ambienti
sanitari. Comunque l’ho sostituito anche se il Pd ha fatto muro per
difenderlo.
Capitolo intercettazioni: ai pm lei ha negato pressioni di Tedesco, ma
dalle telefonate sembra il contrario…
Mai ricevute pressioni.
E i colloqui in cui Tedesco parla di mettere al posto di Francesco
Sanapo qualcuno disposto a esaudire “ordini dall’alto”?
Mi segnalarono che Sanapo incontrava i cittadini nelle sue vesti di direttore
sanitario di Lecce negli uffici politici del mio vice. Andai in bestia, chiesi
subito la sua rimozione. C’è nelle intercettazioni. Poi ho saputo che Sanapo
aveva un grave problema personale, l’ho incontrato, si è scusato piangendo. Ho
accolto le sue scuse.
L’intercettazione più fastidiosa è quella in cui lei e Tedesco parlate
della nomina di un direttore generale senza i requisiti di legge. Lei dice: “O
Madonna Santa, la legge non la possiamo modificare?”.
Stiamo parlando dell’accorpamento delle due Asl di Lecce. C’era il commissario
Rollo che comunicava bene con personale e sindacati. La legge non consentiva a
un dipendente della Asl di fare il direttore generale. Abbiamo deciso una
modifica per evitare problemi agli ospedali. Non ci vedo niente di male, la
nuova norma in commissione è stata votata all’unanimità. Quale interesse
privato avrei avuto? Il mio solo interesse era quello pubblico.
Una norma ad personam, come Berlusconi…
Macché, le Regioni devono fare leggi. Abbiamo cambiato una norma desueta per
migliorare il servizio.
Al di là delle responsabilità penali il quadro non è confortante per
il Pd. Come fa a tenersi questo alleato?
Con il Pd abbiamo fatto scelte importanti. Abbiamo messo sui binari giusti i
criteri di scelta dei manager della sanità. Siamo l’unica regione con un
percorso di formazione e selezione per individuare i manager secondo
competenza medica e scientifica. Abbiamo dimezzato le Asl.
Come giudica la scelta del Pd di candidare Tedesco al Senato da
indagato?
Mi sia consentito di non dire parola.
No, non glielo consentiamo…
Tedesco è un protagonista della politica pugliese.
Ma adesso il Pd come deve votare sull’arresto?
Credo che nessuno si debba sottrarre al suo giudice naturale. Ma non voglio
mostrarmi sempre con la scimitarra.
Nel centrosinistra molti sperano in lei. Non saranno delusi?
Ho l’orgoglio di aver amministrato la Puglia che fino al 2005 era rassegnata,
dimenticata e oggi è una regione tra le più vive. Abbiamo sperimentato
politiche avanzate, soprattutto in campo sociale, guardate da tutta Europa.
Certo, queste accuse sono il dolore più grande della mia vita. Ma ora per gli
altri imputati non si parla più di associazione a delinquere. La mia seconda
archiviazione mi fa respirare. Non c’è cosa che non rivendichi. Ho agito
sempre nell’interesse pubblico
26/02/2011 Il Milleproroghe salva la Scala e
l’Arena di Verona. Ma non la Fenice di Venezia (http://www.ilfattoquotidiano.it)
Il governo stacca due assegni da
tre milioni di euro ai due teatri. Non un euro per l'ente lirico veneziano. Il
motivo? La città è amministrata dal centrosinistra
Il teatro La Fenice di Venezia
Questione di colore. Senza nessuna logica apparente, il governo, attraverso
il decreto Milleproroghe, ha staccato un assegno da tre milioni di euro all’Arena
di Verona e altrettanti alla Scala di Milano. Soldi
arrivati grazie a equilibri politici. Verona, marchiata Lega Nord,
e Milano saldamente in mano al Pdl. Così le fondazioni della
lirica guidate dai rispettivi sindaci, Flavio Tosi e
Letizia Moratti, portano a casa i soldi che sono stati negati a tutti
gli altri teatri italiani.
Ne avrebbe avuto meno diritto la Fenice di Venezia? No,
probabilmente. Ma Venezia ha scelto Giorgio Orsoni e la
sinistra. Quanto basta per essere esclusa. Lo ammette candidamente
Paola Goisis, deputata padovana e responsabile cultura del
Carroccio: “L’accordo l’ha portato avanti la Lega. Dunque a noi la
scelta. E siccome abbiamo più voti a Verona abbiamo scelto di escludere
Venezia”.
La decisione che ha mandato il capoluogo veneto su tutte le furie. La città e
la Fenice sono due simboli della cultura, ma la richiesta di essere inseriti
nel Milleproroghe non è stata neanche presa in considerazione. L’epilogo? Il
caos: Orsoni che se la prende col ministro Renato Brunetta,
colpevole di “disinteressarsi della sua città”, Brunetta che replica al
sindaco “incapace di tenere sotto controllo i conti della Fenice” e Tosi che
sorpassa tutti e propone per Verona una tassa sul turismo che andrebbe a
finanziare ulteriormente l’Arena inimicandosi albergatori e Confommercio.
Ma andiamo con ordine. Il primo grido d’allarme era stato proprio Tosi a
lanciarlo. Perdere l’Arena e la stagione lirica avrebbe voluto dire segnare
inesorabilmente il suo mandato. Così si era messo a girare per le stanze
ministeriali della “Roma ladrona” in cerca di quei soldi negati al
Fondo unico per lo Spettacolo. Prima un tentativo con Giulio
Tremonti, andato inesorabilmente a vuoto, poi la richiesta
d’intervento del “mediatore” Roberto Calderoli, infine la
minaccia di guidare una crociata contro i vertici del Carroccio se non
avessero costretto il governo e l’amico Giulio a mettere mano al portafogli.
Quando Tosi l’ha messa sulle dure Roma ha ceduto. Ok a tre milioni una tantum,
purché lo stesso trattamento venisse riservato alla Scala che, nel consiglio
d’amministrazione, annovera personaggi più influenti e vicini a Berlusconi,
tipo Bruno Ermolli, giusto per fare un nome.
La notizia ha fatto venire un attacco di bile a Orsoni, presidente della
fondazione lirica della Fenice e sindaco di Venezia. “Quando serve, Venezia è
il palcoscenico mondiale, tutti ne parlano riempiendosi la bocca – ha
denunciato dalle colonne del Corriere della Sera – poi, al momento
buono, la Fenice resta all’asciutto; mentre l’Arena, retta da Flavio Tosi,
sindaco leghista, si prende i quattrini. La prossima volta, Bossi non venga in
laguna a festeggiare la Padania, vada piuttosto a Verona. L’Arena è vero, è
un’istituzione conosciuta nel mondo, soprattutto per l’impatto popolare e per
la scenografia. Se, però, parliamo di qualità dell’opera lirica, si trova a
mille miglia di distanza dalla Fenice. Che, tra l’altro, nulla ha da invidiare
alla Scala di Milano”. Poi il bersaglio principale, il ministro Brunetta. “In
campagna elettorale ha promesso mari e monti, poi non ha fatto niente per la
sua città”.
Brunetta, da parte sua, ha risposto per le rime: “Avesse tenuto i conti in
ordine non saremmo a questo punto. Poi il sindaco è male informato: i suoi
colleghi di partito sapevano che, viste le condizioni in cui si trova la
fondazione che presiede, non avrebbe avuto diritto a nessun finanziamento”.
Polemica finita? Il sindaco di Verona ha detto sì alla tassa di soggiorno,
sulle orme di quanto fatto a Roma, con l’idea di girare i ricavi all’Arena. Ma
ha trovato subito il niet del presidente degli albergatori di Confindustria
della sua città, Gianni Zenatello. “Improponibile chiedere ai
turisti di pagare prezzi maggiorati, a Verona si arriva per piacere, non è una
tappa obbligata come Roma. Gli unici a rimetterci sarebbe gli albergatori”.
Tosi però non si è scoraggiato e ha promesso di calibrare la cifra a seconda
della struttura ricettiva: pochi centesimi per un bed & breakfast, 5 euro per
gli hotel di lusso. In questo modo non sarebbe penalizzato nessuno, dice lui.
Immediatamente smentito dalle associazioni di categoria che, conti alla mano,
hanno spiegato al sindaco che la sua operazione metterebbe in ginocchio gli
albergatori, alla fine del ciclo gli unici veri tartassati.
Per ora il capitolo si chiude. Verona e Milano in qualche modo pareggeranno i
conti. La Fenice vedrà un tabellone ridotto e il serio rischio di chiudere per
mancanza di soldi. Ma soprattutto perché governano Pdl e Lega e hanno trovato
un modo, tutto loro, per far capire alle città del centrosinistra che conviene
cambiare opinione.
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