Anche
quest’anno James Tucker è riuscito a sapere dove e quando si riunirà il gruppo
Bilderberg: nel lussuoso albergo Brook Street Resort, appena fuori Ottawa,
dall’8 all’11 giugno.
Tucker è un giornalista dell’American Free Press e ha dedicato la vita a carpire
qualche segreto del Bilderberg, il segretissimo consesso dei potenti
euro-americani.
A questo club esclusivo, fondato nel 1954 dai Rockefeller e da Bernardo d’Olanda
per fare affari nell’ambito della NATO (il principe Bernardo fu coinvolto nello
scandalo Lockheed) si accede solo per inviti.
Gli invitati sono un centinaio o poco più fra i maggiori capitalisti, banchieri
e miliardari vari dell’Occidente, con il loro seguito di servitori di lusso:
ossia politici, analisti strategici, sindacalisti di riferimento.
Ogni
anno si trovano in un posto diverso, guardato da un muro impenetrabile di
guardie private. Regolarmente, apre il convegno la regina d’Olanda, Beatrice.
Alla fine, nessun comunicato stampa.
I giornalisti non sono graditi.
Salvo qualcuno, gradito a lorsignori perché tiene la bocca chiusa.
David Rockefeller, membro permanente del Bilderberg, ringraziò questo tipo
speciale di giornalisti muti nel ‘91 con queste parole: «ci sarebbe stato
impossibile sviluppare il nostro progetto per il mondo se fossimo stati sotto i
riflettori mediatici in tutti questi anni».
Ma grazie agli eletti amici della stampa, aggiunse, «il mondo oggi è più
sofisticato e preparato ad avanzare verso un governo mondiale. La sovranità
sovrannazionale di banchieri mondiali ed un’èlite intellettuale è preferibile
all’autodeterminazione praticata nei secoli passati».
Questi
rari giornalisti che non scrivono una riga sul convegno, poi, diventano
regolarmente direttori di grandi quotidiani.
Come Martin Wolf, direttore del Financial Times.
O come furono per anni Ugo Stille (Il Corriere della Sera) e Arrigo Levi (
La Stampa ).
Belle carriere che vengono dalla qualità più apprezzata da lorsignori: non dare
al pubblico le notizie.
Ma
andiamo avanti.
Che cosa deciderà quest’anno il Bilderberg riunito in Canada?
Vale la pena di chiederselo.
L’anno scorso, riuniti a Rottach-Egern in Germania, i 120 miliardari auspicarono
un sostanzioso aumento del petrolio: misteriosamente, da allora, il barile è
passato da
40 a 70
dollari.
E ci è andata ancora bene: Henry Kissinger in quella sede raccomandò un rincaro
di 150 dollari.
La cosa non stupisce, perché le petrolifere stanno facendo un sacco di quattrini
dal rincaro, e gli interessi petrolieri sono molto ben rappresentati al
Bilderberg: dai Rockefeller (Exxon) all’olandese Jeroen van der Veer (Shell) a
Franco Bernabè, vicepresidente del gruppo Rotschild per l’Europa.
Sicchè quest’anno il Bilderberg discuterà come risolvere «il problema
dell’America latina»: specificamente, di quel Chavez ed Evo Morales che hanno
nazionalizzato il petrolio in Venezuela (dove i Rockefeller hanno parecchi
pozzi) e in Bolivia.
Danno
un cattivo esempio, che potrebbe essere seguito da altri capi sudamericani.
E un cattivissimo esempio da Nestor Kirchner, presidente dell’Argentina: ha
smesso di pagare i debiti al Fondo Monetario, e il Paese scoppia di salute.
Si discuterà sicuramente anche del problema-Iran e di come «sistemarlo».
Questione non facile: già nel 2003, sull’invasione dell’Iraq, si produsse una
frattura fra i soci europei e quelli americani del Bilderberg.
Si discuterà molto dell’Europa.
Di come
fare ingollare agli europei la costituzione europea confezionata dal socio
Bilderber Giscard D’Estaing e bocciata dalle opinioni pubbliche.
Ma è stato il Bilderberg a creare questa Europa dei burocrati, e non vuole
lasciare il lavoro a metà. Come disse nel 2005 Zbigniew Brzezinsky, ex
consigliere della sicurezza nazionale USA e membro influentissimo del Bilderberg,
si tratta di continuare ad assicurare che «l’Europa occidentale resti in larga
misura un protettorato americano».
Disse anche che l’Europa «deve risolvere il problema causato dal suo sistema di
redistribuzione sociale», ossia dai sistemi sanitari a pensionistici.
Bisogna abolirli, e sostituirli con più «flessibilità» e privatizzazioni.
Questo vi dice qualcosa?
E’ il
programma di governo promosso da un preciso gruppetto di politici nel mondo e in
Italia.
Naturalmente, i grandi giornali - diretti da direttori cooptati come abbiamo
visto - vi diranno che il Bilderberg non decide le sorti del mondo, che è solo
un forum di discussione tra ricchi benintenzionati.
Sarà.
Ma Tucker fa notare la regolarità magica di certe belle carriere politiche.
Bill Clinton fu invitato alla riunione del Bilderberg che si tenne in Germania
nel 1991.
Nel 1992, ebbe la nomination come candidato presidenziale; qualche mese dopo,
eccolo presidente degli Stati Uniti.
Tony Blair fu invitato al Bilderberg in Grecia nel ‘93.
Nel ‘94, spontaneamente, i laburisti inglesi lo scelgono come capo del partito;
e nel ‘97 diventa primo ministro: primo tipo di socialista ultraliberista.
Un altro socialista, il francese Lionel Jospin, fu invitato al Bilderberg nel
1996.
L’anno
seguente diventò capo del governo francese e lo è stato fino al 2002.
Come Michel Rocard, membro assiduo del Bilderberg, e primo ministro dal 1988 al
1991.
O come Paul Wolfowitz, viceministro USA al Pentagono.
Nel 2005 è stato invitato a parlare al Bilderberg, e poche settimane dopo -
miracolo - è diventato capo della Banca Mondiale.
La lista non è completa.
L’amico
giornalista Tucker (un giornalista che dà le notizie, e quindi non fa carriera)
ci fa notare che Romano Prodi fu invitato alla riunione del Bilderberg in
Portogallo nel giugno del 1999: a settembre dello stesso anno, è diventato
presidente della Commissione europea.
Il nostro Prodi non è solo un invitato al convegno dei miliardari.
È stato addirittura, negli anni ‘80, un membro dello «steering committèe», ossia
dell’importantissimo ufficio del Bilderberg che definisce i temi delle
discussioni segrete e gli inviti da diramare.
Sicché
è molto istruttivo anche solo vedere quali italiani sono stati membri di questo
«steering committèe», il comitato-guida.
Umberto e Gianni Agnelli ne hanno fatto parte fino alla morte.
E così molti personaggi dell’ambiente Fiat: da Renato Ruggiero, poi elevato alla
presidenza del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, il poliziotto del
governo mondiale e della globalizzazione, a Paolo Zannoni, vicepresidente Fiat
(membro del committèe nel 1989) a Stefano Silvestri dell’Istituto Affari
Internazionali, influente centro-studi finanziato dagli Agnelli.
Per finire - non c’è da stupirsi - con Mario Monti, bella carriera giocata fra
il pubblico e il privato, dalla Banca Commerciale Italiana alla Goldman Sachs
alla Commissione Eruopea, ed oggi nel governo della cosiddetta «sinistra».
La
sinistra dei capitalisti alleati agli zapateros.
Altri noti italiani sono invitati al Bilderberg, più o meno regolarmente.
Anche questa lista spiega molte cose.
Diamola qui, con l’avvertenza che può essere incompleta.
Alfredo Ambrosetti, presidente del gruppo Ambrosetti e fondatore del Forum di
Cernobbio, che è un Bilderberg in piccolo, dove le direttive del Bilderberg
vengono notificate ad una platea un poco più vasta e un poco più italiana.
Franco
Bernabè, vicepresidente della Rothschild Europe, che è stato anche
rappresentante speciale per la ricostruzione dei Balcani (un sacco di soldi) su
mandato Confindustria.
Emma Bonino: convocata al Bilderberg nel ‘97, e diventata commissaria europea.
Giampiero Cantoni, presidente della Banca Nazionale del Lavoro.
Innocenzo Cipolletta, direttore generale Confindustria.
Mario Draghi (poteva mancare?) e Paolo Fresco, successore di Romiti alla
poltrona suprema della Fiat, già vicepresidente della General Electric, sezione
europea.
Nella lista troviamo anche Rainer Masera, dell’IMI.
Marco Tronchetti Provera.
E persino Walter Veltroni, invitato una sola volta, quand’era direttore de
L’Unità.
Dimentichiamo forse qualcuno?
Ah, ecco: Tommaso Padoa Schioppa, il gran banchiere europeo, uno degli inventori
dell’euro, eurocrate al cento per cento, ed oggi nostro ministro, spontaneamente
scelto da Prodi per renderci più economici davanti alla competizione mondiale.
Un bel governo: un po’ Bilderberg e Goldman Sachs, un po’ Diliberto e Bertinotti.
Uniti nella lotta coi banchieri internazionali.
Maurizio Blondet
Da «La Padania»
Archivio Massoneria
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