L' imprendotore calabrese Giuseppe (Pino) Masciari testimone di giustizia lascia la località protetta senza scorta per recarsi in Calabria come forma estrema di protesta in attesa della risposta delle istituzioni e contemporaneamente chiede per la famiglia asilo politico o adozione ad altro stato
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29/05/2007 Chi sono. Masciari, il costruttore divenuto superteste (http://www.pinomasciari.org)
Sentenze
Sono un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959,
sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997,
unitamente a mia moglie Salerno Marisa (medico odontoiatra) e due bambini,
perché ho denunciato la criminalità organizzata “ ’ndrangheta ” e le sue
collusioni .
La criminalità organizzata, insieme a personaggi di spicco del mondo
politico ed istituzionale, ha distrutto le mie floride imprese di
costruzioni edili. Come? Bloccandone le attività, rallentando le pratiche
nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i
rapporti con le banche con cui operavo. Tutto ciò dal giorno in cui ho detto
basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.
Le mie imprese occupavano mediamente qualche centinaio di persone, cui va
aggiunta l’occupazione di ditte specializzate in vari settori (idraulico,
impiantistico,di pavimentazione, lavorazione intonaci, ecc.) e svolgevano
attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato.
Una delle due, nello specifico la “ Masciari Costruzioni ” operava con
gli appalti pubblici: dunque era orientata alla costruzione di: Case
Popolari, Impianti Sportivi, Scuole, Strade, Restauri di Centri Storici,
ecc. Lavoravo bene, avevo anche dieci cantieri aperti contemporaneamente .
Nel contempo, l’altra impresa societaria lasciatami da mio padre, in cui
avevo l’incarico di amministratore, costruiva Abitazioni Civili destinati
alla vendita e realizzava lavori privati per conto terzi.
Inizialmente mio padre e poi successivamente io, riferivamo alle Forze
dell’Ordine le pressioni di natura estorsiva che la ‘ndrangheta esercitava
sulle nostre imprese e del pericolo cui eravamo esposti.
Le risposte erano sempre le stesse: “ stia attento prima di denunciare,
si rischia la vita, non si esponga troppo”.
Nel 1988, il mese di febbraio, venne a mancare mio padre. Mi trovai
completamente solo, con una famiglia numerosissima di nove fratelli e per
poter continuare a lavorare dovetti cedere alle richieste estorsive: il SEI
per cento ai politici, il TRE per cento ai mafiosi. Ed i soprusi che dovetti
sopportare, le angherie, le assunzioni pilotate, le forniture di materiali e
di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore,
nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso,
regali di appartamenti, l’acquisto di autovetture, e persino la costruzione
di cappelle cimiteriali ecc….
A questo si aggiunge che la soggezione al potere mafioso era imposto
soprattutto dall’atmosfera di invivibilità che si era creata in quegli anni
su tutta la Calabria ed in particolare nel mio territorio, dove, per
supremazia di interesse da parte delle famiglie malavitose, scoppiò la
cosiddetta “ FAIDA DEI BOSCHI “, che apportò decine di morti e diffuse il
terrore nei cittadini onesti ed in particolar modo in chi esercitava
un’attività imprenditoriale, vittime di atti intimidatori e di
taglieggiamenti.
Ma il senso di ribellione alla prepotenza e all’ arroganza che subivo era
presente in me, solo che non avevo alternative e la responsabilità che
sentivo verso la mia famiglia, verso i miei dipendenti, verso me stesso, era
enorme.
Dal 1990, decisi di non sottostare alle pretese estorsive dei politici
che consisteva nell’elargizione di denaro e di lavori gratuiti, di
conseguenza non si fecero attendere le prime ripercussioni sulla mia
azienda. Gli stati d’avanzamento lavori mi venivano pagati con notevole
ritardo che arrivava a superare anche l’anno e addirittura non mi venivano
considerati i lavori eseguiti che dunque non erano nè contabilizzati nè
pagati. Cercavo di resistere a queste forme di ostruzionismo con molta
difficoltà e le banche, dal loro canto, facevano la loro parte aggravando
l’azione d’intralcio.
Dal 1992 con durezza e determinazione decido di non elargire più somme di
denaro alla ‘ndrangheta.
Incominciava così la disfatta totale delle mie imprese: fioccarono i
danni dolosi come furti, incendi, danneggiamenti dei mezzi di lavoro e di
attrezzatura sui cantieri, per passare poi alle esplosioni d’arma da fuoco (
LUPARA ), alle minacce personali, alle telefonate minatorie che mettevano in
subbuglio la vita quotidiana di una intera famiglia.
Nel 1993, mese di Aprile, giorno di pasquetta uno dei miei fratelli fu
avvicinato da sconosciuti e sparato alle gambe . Se la cavò. Fui fermato da
malavitosi che mi costrinsero a non costituirmi parte civile. E così dovetti
fare.
Le banche subdolamente mi consigliavano di rivolgermi agli usurai per
ottenere quella liquidità che mi era venuta meno dai mancati pagamenti dei
lavori già realizzati e per i quali io avevo investito le mie risorse.
Un circolo vizioso dunque!
Nel settembre 1994, con grande amarezza, decisi di licenziare tutti gli
operai della mia impresa pur avendo diversi cantieri in opera, lavori in
fase di ultimazione, nuovi appalti aggiudicati e altri di cui stavo per
stipulare i contratti, appalti che comprendevano lavori anche in Germania a
cui dovetti rinunciare, il tutto per un importo di circa 25 miliardi di lire
.
Fu nel mese di novembre dello stesso anno e precisamente giorno 22
(compleanno di mia moglie) che incontrai il maresciallo LO PREIATO NAZARENO,
comandante allora della stazione dei Carabinieri di Serra San Bruno, mia
località di residenza e, sapendo del suo sentito impegno, incominciai ad
avere fiducia, raccontando in linee generali le mie vicende e quanto mi
stava succedendo; fiducia che mi era venuta meno dal comportamento che
dopotutto si preoccupavano per me ma nello stesso tempo esprimevanoanimo di
rassegnazione non confacente al ruolo che rivestivanodelle persone che lo
avevano preceduto, i quali erano da me informati circa le mie vicissitudini.
Ma le ripercussioni non furono limitati ai fatti sopra descritti. Nell’
ottobre del 1996 mi fu notificata la sentenza di fallimento di una delle mie
imprese della quale ero titolare, la “MASCIARI COSTRUZIONI di Masciari
Giuseppe “ ditta individuale. Dunque la mia ribellione era ulteriormente
punita: inverosimilmente il fallimento era decretato per un importo di lire
134.000.000, avverso l’azienda che vantava crediti, possedeva immobili e
numerose attrezzature edili.
Ma non è tutto.
Il fallimento è stato dichiarato dal giudice Patrizia Pasquin, giudice
presidente della sezione fallimentare di Tribunale di Vibo Valentia.
A distanza di anni, l’ 11 novembre 2006 veniva data notizia in tutte le
testate giornalistiche a mezzo stampa eTv la seguente notizia: “arrestato il
giudice Patrizia Pasquin” . Si riscontra sul sito internet “ la REPUBBLICA.
It - CRONACA : Riceveva dalla mafia una stabile remunerazione”; Vibo,
interrogato il giudice Pasquin ; Mastella: “Seguivo il caso da tempo”.
Le mie denuncie sono state consacrate presso la Direzione Distrettuale
Antimafia di Catanzaro.
I giudici della Distrettuale Antimafia che accosero le mie denuncie,
valutarono la vastità dei miei racconti e dei personaggi accusati,
personaggi del mondo politico, amministrativo e mafioso, ma soprattutto,
considerato il grave ed imminente pericolo di vita cui ero esposto io e la
mia famiglia quale conseguenza delle mie denuncie, mi prospettarono
l’assoluta necessità di allontanarmi con la mia famiglia dalla mia Regione e
di entrare quindi sotto tutela del Servizio Centrale di Protezione,
lasciando così in tronco la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, il
mio ruolo sociale e di riflesso anche mia moglie e i miei due bambini hanno
subito con me l’ esilio.
20/05/2007 Masciari, il costruttore divenuto superteste (http://www.pinomasciari.org)
Rassegna stampa
Dalla relazione conclusiva della Commissione parlamentare antimafia, XIV
legislatura.
«Il signor Masciari è un imprenditore edile di Serra San
Bruno che fu sottoposto al programma speciale di protezione previsto per i
testimoni, in data 18 ottobre 1997, poiché esposto a rischio concreto a
seguito della decisione di rendere testimonianza all’Autorità giudiziaria in
ordine alle richieste estorsive di cui era fatto bersaglio. Il signor
Masciari ha raccontato di essere iscritto sin dal 1983 alla Camera di
commercio e di avere ottenuto nel 1984 l’iscrizione all’Albo nazionale
costruttori per varie categorie di lavori; nel 1985 iniziò l'attività in
proprio, nel settore degli appalti pubblici, con l’impresa individuale
“Masciari Costruzioni”. Nel 1988 divenne amministratore della società in
accomandita semplice “Masciari Francesco sas”, nata per trasformazione
dell’impresa individuale del padre all’atto della sua morte; la “Masciari
Francesco sas” operava nel settore degli appalti privati, non ché nel
settore della costruzione e della commercializzazione di immobili. Da subito
il Masciari dovette fare i conti con le pressanti richieste estorsive che
gli provenivano dall’agguerrita criminalità organizzata, nonché da parte di
pubblici amministratori locali (in sede di audizione dell’11 novembre 2004
ha dichiarato che le richieste estorsive avanzate dai criminali erano pari
al 3% dell’importo del lavoro, quelle avanzate da appartenenti al settore
politico-amministrativo erano pari al 6% dell’importo dei lavori).
Il Masciari racconta di aver riferito all’Autorità giudiziaria ed alle Forze
dell'ordine delle intimidazioni e delle richieste estorsive ricevute,
ricevendo in cambio solo consigli sull’opportunità di non esporsi con la
denuncia dei fatti, per gli eccessivi rischi cui conseguentemente sarebbe
stata esposta tutta la famiglia (il Masciari ed i suoi otto fratelli). A
partire dal 1990, Masciari tentò di sottrarsi alle pretese dei politici, ma
non tardarono ripercussioni con pregiudizievoli effetti di natura economica
sulle sue aziende; gli stati di avanzamento dei lavori gli venivano pagati,
infatti, con notevoli ritardi ed a ciò si aggiunsero le difficoltà frapposte
dalle banche nella concessione del credito. Le difficoltà economiche cui si
trovava esposto lo costrinsero a ricorrere al prestito usurario e nel 1992
decise di non corrispondere più alle richieste estorsive avanzate dalla
criminalità organizzata locale; ciò causò una lunga serie di conseguenze che
giunsero a sconvolgere la vita dell'intera famiglia (furti, incendi,
danneggiamenti a danno dei mezzi di lavoro, minacce personali, telefonae
minatorie, colpi d’arma da fuoco, fino al ferimento del fratello, avvenuto
nel mese di aprile del 1993).
Nel mese di settembre 1994 licenziò gli ultimi 58 dipendenti ed il 22
novembre 1994 presentò la sua prima denuncia formale al Comando stazione
carabinieri di Serra San Bruno. Le ritorsioni, conseguite quasi naturalmente
alla decisione di sottrarsi al giogo delle estorsioni e di denunciare gli
autori di tali azioni, determinarono lo stato di dissesto delle imprese ed
il fallimento dell’impresa “Masciari Costruzioni”, avvenuto nell’ottobre
1996 per un passivo accertato di 134 milioni di lire, a fronte di contratti
di appalto stipulati per un valore di 25 miliardi di lire. In merito alla
procedura fallimentare, è opportuno riferire che la Dda di Catanzaro –
dottor Bianchi e dottor D'Agostino –, con note inviate nel 1997 e nel 2000
alla Commissione centrale ed al giudice delegato al fallimento del Tribunale
di Vibo, ha affermato l'esistenza di rapporto di causalità tra le vicende
estorsive cui è stato soggetto Masciari e lo stato di dissesto finanziario
che ha condotto alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Nella memoria integrativa presentata in data 15 dicembre 2004, il Masciari
riporta la relazione redatta dal sostituto procuratore della Repubblica Dda
di Catanzaro, dottor Luciano D'Agostino nella quale si legge, in ordine allo
stato di insolvenza, che (...) ciò è avvenuto sulla iniziale richiesta e
maggiori pressioni di un creditore, Tassone Antonio, legato alla famiglia
dei «Viperari» (...) è chiaro, quindi, che il tutto è stato ordito dalla
famiglia «Vallelunga», poiché il Masciari (...) non ha voluto più sottostare
al sistema di ricatto (...) i motivi dello stato di insolvenza non sono
ascrivibili allo stesso neanche a titolo di colpa (...). Le dichiarazioni
testimoniali rilasciate da Giuseppe Masciari confluirono in numerosi
procedimenti penali, aperti presso diverse Procure del territorio...
Complessivamente, a seguito delle denunce del Masciari sono state rinviate a
giudizio 42 persone, tra cui un magistrato amministrativo, nei confronti
delle quali sono stati instaurati 6 procedimenti nei quali il Masciari
risulta parte offesa e si è costituito parte civile. Dagli atti della
Commissione centrale prodotti dal Masciari si rileva il giudizio di forte
attendibilità e credibilità che l’Autorità giudiziaria dà del Masciari. Le
esigenze di sicurezza, determinate dal crescente concreto pericolo cui si
trovava esposto il Masciari determinarono nell’ottobre 1997, l’applicazione
del programma speciale di protezione nei riguardi dell’intero nucleo
familiare…».
Articolo originale da Calabria ora:
pagine-38-del-11-gennaio-calabria-ora.pdf
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