Il 19 luglio 1992
la strage di via D'Amelio stroncò la vita di Borsellino e della scorta. Il
presidente Napolitano: "Non abbassiamo la guardia". Verdi: "Simbolo per il
riscatto della Sicilia"
Il
19 luglio 1992 a Palermo un potente ordigno nascosto in
una 126 parcheggiata di fronte al portone del palazzo di Via Mariano
D'Amelio, dove abitava la madre del giudice Paolo Borsellino,
esplose, stroncando la vita del magistrato e degli agenti della scorta
Claudio Traina, Emanuela
Loi, Agostino Catalano,
Vincenzo Li Muli e Eddie Walter
Cosina.
Un vile attentato, che
faceva drammaticamente seguito alla
strage di Capaci del 23 maggio 1992, in cui furono uccisi
Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo
e gli agenti Rocco Di Cillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
Il loro sacrificio, così come quello di Paolo Borsellino e dei suoi agenti
di scorta, deve restare “di monito a non abbassare mai la guardia nella
lotta per debellare le insidie, ovunque si annidino, di questo gravissimo
fenomeno criminoso", ha scritto il presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano in un messaggio alla signora Agnese
Borsellino in occasione del quattordicesimo anniversario della strage.
Per commemorare il
tragico evento è intervenuto anche il coordinatore dell’esecutivo dei
Verdi, Massimo Fundarò: “Il drammatico sacrificio di Paolo Borsellino
e della sua scorta dovrà essere sempre ricordato ed onorato come simbolo
di un riscatto possibile per l'intera Sicilia". “L'arresto del boss
Guttadauro – prosegue Fundarò -, è un ulteriore, importante segno che
la battaglia contro la mafia si può e si deve vincere grazie alla
progressiva crescita, specie nelle nuove generazioni, della cultura della
legalità come valore essenziale di progresso civile, nonché attraverso
l'impegno costante e quotidiano di tutti: Istituzioni, associazioni,
cittadini".
Nella lunga lettera
inviata alla vedova del magistrato ucciso nel ‘92, Napolitano ricorda
come “resta indelebile nella memoria l'angoscia e il dolore dei
giorni in cui il delirio di onnipotenza della cupola mafiosa, già
abbattutosi contro Giovanni Falcone, sua moglie e altri
coscienziosi agenti di polizia, culminò nel tentativo di
scardinare, colpendo le sue più ferme e intransigenti espressioni,
l'ordinamento dello Stato e delle sue istituzioni”.
“Possiamo dire oggi –
prosegue il capo dello Stato - che quella strategia si è rivelata
illusoria e che il sacrificio dei servitori dello Stato
non è stato vano. La concezione della giustizia e lo spirito di
servizio, che avevano animato le battaglie di Paolo Borsellino e di tante
altre vittime della mafia, hanno segnato una netta linea di
contrapposizione al terrore dell'anti-stato e costituito un esempio
costante e positivo per l'azione della Magistratura e delle Forze
dell'Ordine”.
“Questi valori hanno
consentito, di recente, di assicurare finalmente alla giustizia anche
i maggiori responsabili di molti efferati delitti e di infliggere duri
colpi alla stessa organizzazione mafiosa; sono stati di sprone alla
mobilitazione collettiva delle coscienze e delle forze sane di settori
sempre più ampi della società civile, dal mondo del lavoro a quello
dell'impresa, dalla scuola all'università, dalla cultura
all'associazionismo”.
“La consapevole
missione di uomini coraggiosi come suo marito – dice ancora il
Presidente nella lettera alla moglie del magistrato - aiuta a comprendere
i percorsi da seguire e contribuisce a non disperdere il clima di
nuova fiducia e speranza nelle istituzioni e nella loro rinnovata
responsabilità nell'azione per migliori condizioni di sicurezza, di
convivenza e di crescita sociale ed economica. Mai come oggi - conclude
Napolitano - avvertiamo che la determinazione nella lotta a tutte
le mafie non può conoscere alcuna scissione dall'impegno comune
per superare arretratezze e squilibri in favore di una società più
giusta, più solidale, aperta ai giovani, fiduciosa nel futuro. Sono
certo che questi obiettivi sono oggi più vicini e possibili
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