La recente manovra economica estende alle società partecipate dagli enti
locali le regole sul contenimento delle spese di personale. Le società
devono così sostenere un carico di rigidità operativa difficilmente
compatibile con la loro missione. Scompare la contrattazione di secondo
livello, con inevitabili ricadute sulle politiche di incentivo alla
produttività. Ma il paradosso è che da un lato il legislatore vuole
assoggettare a regole pubbliche soggetti di diritto privati mentre
dall'altro cerca di imporre agli enti pubblici la privatizzazione del
rapporto di lavoro.
I dubbi sulla concreta efficacia delle misure volute dal ministro
Brunetta per aumentare la produttività del personale pubblico sono
confermate, indirettamente, dalla recente manovra economica. Estende
alle società partecipate dagli enti locali e
affidatarie senza gara di servizi pubblici locali o di attività
strumentali le regole che debbono seguire gli enti detentori del
capitale in tema di contenimento delle spese del personale. PIÙ
BUROCRAZIA
Immediatamente, gli esperti del campo hanno osservato l’insanabile
contrasto tra le regole di finanza e gestione del personale proprie
degli enti pubblici con le flessibilità
caratteristiche della strategia di impresa di tipo
privatistico. Si sottolinea, in particolare, che le società a
partecipazione pubblica si trovano a sostenere un carico di rigidità
operativa maggiore e difficilmente compatibile con la propria
missione.
L’osservazione coglie nel segno, se è vero che lo stesso legislatore,
con l'articolo 18 della legge 133/2008, esclude le società quotate in
Borsa dall’estensione delle regole pubblicistiche
alle società a capitale locale. Non a caso, si è voluto esentare dalle
pastoie della gestione pubblicistica del personale soggetti che
operano nel mercato e rispondono all’azionariato dell’efficacia della
propria azione.
Un dato, allora, emerge con chiarezza: la gestione del personale, se
deve rispondere a regole di diritto pubblico, è pesante e burocratica.
Ora, per effetto delle riforme disposte dal legislatore, le società
partecipate dagli enti locali dovranno assumere sostanzialmente
mediante concorsi pubblici e contenere le spese relative alla gestione
delle risorse umane, esattamente come se fossero comuni e province.
Presto verranno al pettine i nodi di una simile commistione
tra regole pubbliche e private, un miscuglio che vorrebbe
unire flessibilità operativa, agilità nelle scelte e strategie di
mercato a vincoli operativi, controlli sul minuto atto gestionale,
come l’affidamento di una consulenza, responsabilità erariali per
l’erogazione di un’indennità contrattuale in più.
Si tratta però, a ben vedere, esattamente del medesimo – sia pur
simmetrico – coacervo di regole che, invano, da circa un ventennio il
legislatore crea nei riguardi delle amministrazioni pubbliche, con un
percorso opposto. Le amministrazioni, infatti, fermi rimanendo vincoli
e appesantimenti burocratici – conclamati proprio dai lai contro la
loro estensione alle società partecipate – sono chiamate, tuttavia, a
gestire il personale come se fossero soggetti privati. Il paradosso è
che, dunque, da un lato il legislatore vuole assoggettare a regole
pubbliche soggetti di diritto privati; dall’altro cerca di imporre
agli enti pubblici la privatizzazione del rapporto di lavoro.
Col risultato che la privatizzazione del lavoro pubblico è rimasta a
metà, non ha ancora prodotto quell’incremento di produttività che si
riteneva aprioristicamente dovesse derivarne; mentre le società
partecipate tra breve si vedranno soffocare da un mare di
burocrazia. Il medesimo che da sempre invade l’azione
pubblica, ma che si insiste nel non voler considerare come una tra le
cause principali dell’assunta scarsa produttività della pubblica
amministrazione.
INCENTIVI ORA IMPOSSIBILI
La controprova sarà presto data proprio dalla manovra economica
2009 e dai suoi effetti sulle società partecipate. Una delle “leve”
principali nella gestione operativa di queste società, come di tutti i
soggetti privati, è la flessibilità dell'utilizzo delle risorse della
contrattazione di secondo livello, allo scopo di
incentivare la produttività. Èil tema ampiamente dibattuto del legame
diretto tra incrementi di produttività e incrementi del salario e del
rilievo che assume la contrattazione di secondo livello per attivare
questo meccanismo, considerato virtuoso.
Per le società partecipate degli enti locali (altrettanto, chissà
perché, non varrà per quelle statali) non sarà più possibile, come non
lo è da sempre per le pubbliche amministrazioni. Uno tra i vincoli
normativi nella gestione del personale è la progressiva
riduzione della spesa legata ai dipendenti, anche se connessa
a politiche incentivanti la produttività. Dunque, ad esempio, un’azienda
di trasporto locale dovrebbe astenersi dall’ampliare la rete
e le corse, se ciò dovesse comportare un’assunzione in più o la
negoziazione di incentivi per l’incremento dei chilometri percorsi.
Ma, è così che si garantisce l’interesse pubblico allo sviluppo del
servizio di trasporto?
Insomma, efficienza e burocrazia non si sposano bene. Ma il
legislatore sembra ignorarlo o disinteressarsene.
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