Nei giorni scorsi si è riaccesa la discussione sull’assenteismo dei
dipendenti pubblici. A un articolo dell'
Espresso
intitolato “Brunetta bluff” è seguita la riposta del ministero per la
Pubblica amministrazione e l’innovazione sul sito ufficiale di Palazzo
Vidoni.
DATI IN DISCUSSIONE
Titolo e sommario dell’Espresso (“Ha vantato risultati
clamorosi contro gli assenteisti. Ma ora si scopre che purtroppo non
sono diminuiti”) “promettono” più di quello che poi effettivamente si
ritrova nel testo. In sostanza nell’articolo si dice che 1) i dati
diffusi dal ministero sopravvalutano il fenomeno
della riduzione dell'assenteismo, che in realtà è molto inferiore; 2)
anche se c'è stato, l'effetto Brunetta negli ultimi
mesi si sta esaurendo.
Il punto 2 è una sciocchezza. L’Espresso sottolinea come la
riduzione delle assenza per malattia, dal picco di settembre 2008
(meno 44,6 per cento), sia inesorabilmente scesa a meno 41 a novembre,
meno 33 ad aprile, meno 27 a giugno per finire con il meno 17 di
luglio 2009. È ovvio che la riduzione delle assenze non poteva
continuare all'infinito con tassi così elevati. Anzi, ha ragione il
ministero a ritenere, al contrario, eccezionale che le assenze
continuino ancora a diminuire in misura così forte un anno dopo
l’emanazione del decreto legge 112 del giugno 2008. In realtà, lo
stesso articolo dell’Espresso ammette il punto quando dice
che “le assenze non possono continuare a calare all’infinito”. E
allora? Misteri del giornalismo.
Più interessante, e controversa, è la contestazione dei dati
del ministero. Si basa su un po’ di aneddotica (dal comune di Napoli a
quello di Sondrio) e su due studi.
Il primo, di Giulio Zanella, discute le caratteristiche del
campione su cui si fonda il monitoraggio condotto dal ministero.
Benché il campione sia molto ampio, comprende un
numero di amministrazioni pari a poco meno della metà del totale,
soffre pur sempre del difetto indicato dagli statistici come
“selection bias”: non è un campione casuale, ma include solo le
amministrazioni che volontariamente partecipano all’indagine. Non è
detto che le assenze per malattia nelle amministrazioni che hanno
scelto di non partecipare abbiano la stessa dinamica di quelle incluse
nel campione. Anzi, ci si dovrebbe attendere il contrario: è
plausibile che rispondano al questionario del ministero le
amministrazioni che hanno ottenuto buoni risultati nella lotta
all’assenteismo; invece, non rispondono le amministrazioni dove le
assenze non sono diminuite o sono diminuite poco. Se così fosse,
sostiene Zanella, le stime del ministero della
riduzione delle assenze dovrebbero essere dimezzate (al limite, meno
20 per cento delle assenze nel 2008 nel campione autoselezionato,
niente nell’altra metà della popolazione, quindi la vera riduzione è
del 10 per cento). È così? Sarà possibile rispondere solo quando
saranno disponibili i dati per tutte le amministrazioni: il fatto che
il campione sia molto grande o che sia stato ricalibrato dall’Istat
per renderlo rappresentativo della popolazione, come fa rilevare la
risposta del ministero, è irrilevante. Certo è che aggregando i dati
del ministero su tutto il periodo settembre-luglio si ottiene una
diminuzione delle assenze nel 2008-2009 rispetto al 2007-2008 del
36,5 per cento. Difficile immaginare che questa
sparisca quando si avranno i dati per l’intera popolazione.
L’Espresso cita poi un lavoro di due ricercatori dell’Istat,
Riccardo Gatto e Andrea Spizzichino, basato sui dati della
rilevazione Istat sulle forze di lavoro: il numero di
individui con assenze per malattia sul totale dei dipendenti della Pa
passa tra il terzo trimestre del 2007 al terzo trimestre del 2008
dall’1,8 all’1,3 per cento; nel quarto trimestre il fenomeno non
mostra significative variazioni dopo l’introduzione della nuova
normativa. Insomma, effetti modesti e solo
transitori. A dire il vero, una sintesi dello studio è pubblicata nel
sito del ministero, insieme però con altri lavori (non considerati
dall’Espresso) che giungono a conclusioni diverse. Ad
esempio, uno studio di Leonello Tronti, usando la stessa base dati, e
confrontando l’andamento delle assenze per malattia nel settore
pubblico e in quello privato (nell’ipotesi che su entrambe le serie
agiscano fattori epidemiologici comuni), stima in una riduzione di
22,3 punti percentuali l’effetto delle nuove norme
sulle assenze per malattia nel settore pubblico nel quarto trimestre
2008.
UNA RIFLESSIONE PIÙ SERIA
Cosa dire in conclusione? Nel pubblico impiego, l'assenteismo è
tradizionalmente più alto che nel settore privato. È un
malcostume. Combattendolo con sistemi draconiani, e
certamente discutibili, l'assenteismo si riduce. Di quanto? Per ora
non lo sappiamo con certezza. Naturalmente, la riduzione
dell’assenteismo di per sé non migliora la produttività degli
impiegati pubblici, né la qualità dei servizi. Ma è difficile non
essere d’accordo sul fatto che riportare l’assenteismo a livelli
fisiologici sia un pre-requisito per un recupero di efficienza nella
pubblica amministrazione. Insomma, va riconosciuto che è un risultato
positivo e rimarrebbe tale anche se la riduzione fosse molto inferiore
a quanto si rileva sulla base del monitoraggio del ministero. Non
fosse altro perché è stato riportato alla ribalta un fenomeno negativo
con il quale ormai ci eravamo abituati a convivere. Naturalmente è
importante valutare esattamente la dimensione dei risultati ottenuti
con gli strumenti fin qui utilizzati. Ma è una questione secondaria
rispetto ad altre che sembrano più importanti: 1) è possibile
ridurre l’assenteismo nel settore pubblico senza ricorrere a
strumenti di contrasto con aspetti “odiosi”? 2) come si garantisce che
la riduzione dell’assenteismo si traduca effettivamente in un
miglioramento della produttività del lavoro pubblico?