La morte sul lavoro di Angelo Galante, portiere 51enne di uno
stabile romano, precipitato sul marciapiede da un’altezza di oltre 30 metri
mentre stava procedendo alla pulizia dei vetri, e rimasto alcuni minuti riverso
sul selciato con il cranio fracassato e lo straccio ancora stretto fra le mani,
ha “fatto notizia” non tanto per la tragica dinamica dell’accaduto, quanto per
il raccapricciante e surreale racconto di un gioielliere che dalla vetrina del
suo negozio ha assistito alla tragedia.
Per alcuni minuti, mentre il gioielliere Paolo che conosceva bene la vittima
tentava disperatamente di prestarle soccorso, la maggior parte dei passanti ha
continuato a camminare frettolosamente come se nulla fosse accaduto ed alcune
persone hanno scavalcato con noncuranza il corpo esanime senza mostrare alcuna
attenzione per il poveretto, né palesare la minima emozione.
Racconti di questo tipo, fino a qualche tempo fa relegati nel novero delle
leggende metropolitane concernenti le metropoli statunitensi, sempre più spesso
stanno diventando parte di una cruda realtà anche nella schizofrenica cacofonia
delle nostre città, dove la “massa” dei passanti inebetiti, sempre più schiava
dell’ipercinetismo, sembra estraniarsi da tutto ciò che la circonda per
rinchiudersi all’interno di migliaia di microcosmi atomizzati completamente
impermeabili rispetto all’esterno.
La progressiva disumanizzazione dell’individuo che il racconto di Paolo mette a
nudo nella sua dimensione più agghiacciante è parte integrante di un processo di
“robotizzazione” della persona che nella società postmoderna sta raggiungendo
livelli fino a qualche decennio fa inimmaginabili.
La crescita dell’individualismo di massa assurto allo status di valore
universale, la perdita di qualsiasi senso di appartenenza ad una comunità,
l’esasperazione della competizione divenuta l’unico strumento attraverso il
quale rapportarsi con gli altri, la sempre più spinta mercificazione
dell’esistente che determina la “cosificazione” dell’essere umano, sono solo
alcuni dei fattori che stanno contribuendo a rendere possibili accadimenti come
quello di ieri a Roma. Sempre più spesso l’uomo postmoderno è indotto a relegare
la sfera dei sentimenti e delle emozioni (che lo rendono vulnerabile) in una
sorta di universo virtuale, affrontando il contesto reale sotto forma di puro
cinismo, funzionale ad ottenere il massimo risultato in quell’arena deputata
alla competizione che costituisce la sua giornata.
Molte delle persone che hanno scavalcato il corpo di Angelo senza neppure
degnarlo di uno sguardo, una volta tornate a casa saranno pronte a versare calde
lacrime e valanghe di emozioni dinanzi alla rappresentazione virtuale costituita
dallo schermo della TV, magari osservando la morte dell’attore di una fiction o
un ricongiungimento famigliare strappalacrime costruito a tavolino. La maggior
parte di loro stanno perdendo la propria umanità senza neppure accorgersi che
qualcuno gliela sta rubando, per renderli sempre più efficienti e competitivi,
sempre più adatti a costituire un perfetto ingranaggio della macchina che vive
di produzione e consumo e gli ingranaggi non devono provare sentimenti ed
emozioni, altrimenti potrebbero rompersi, come accaduto al gioielliere Paolo che
al corpo esanime del portiere ha fatto caso eccome e intervistato dai
giornalisti ha dichiarato sconvolto “Quella di stamattina è una tragedia, una
immagine che non riuscirò a cancellare facilmente".
Marco Cedolin
ilcorrosivo.blogspot.com
http://www.canisciolti.info
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