10 mila cave
abbandonate e 5.725 in funzione. Per regolarne la gestione un regio
decreto del 1927 e metà delle Regioni senza un piano cave. Tariffe di
concessione bassissime, addirittura inesistenti nel Meridione, a fronte
di un giro di affari di circa 5 miliardi di euro l'anno per il solo
settore degli inerti. E' la situazione delle cave in Italia nel 2008. Un
panorama che, dalle Alpi Apuane alla Sicilia, passando per Caserta e
l'alta Murgia, il far west calabrese e la costa toscana, riflette un
preoccupante stato di caos e arretratezza amministrativi e degrado del
territorio. La fotografia è scattata da Legambiente, in un dossier
presentato questa mattina a Ferrara nell'ambito del Festival della città
e del territorio, che raccoglie tutti i numeri sulla gestione
dell'attività estrattiva in Italia. Nell'intento di fare il punto su
politiche e competenze e capire le spinte che muovono un settore
strettamente intrecciato con quelli dell'edilizia e delle
infrastrutture.
I numeri contenuti nel Rapporto sono impressionanti. L'estrazione di
inerti e la produzione di cemento sono in Italia in costante aumento. Le
cave attive in Italia sono 5.725 mentre sono 7.774 quelle dismesse nelle
Regioni in cui si è fatto un monitoraggio. Si possono stimare in oltre
10 mila quelle complessivamente abbandonate se si considerano anche le 9
Regioni in cui non sono disponibili dati. La Puglia, con 617 cave
attive, è la Regione che ne totalizza il maggior numero. Seguono Veneto
(594), Sicilia (580), Lombardia (494), Sardegna (397), Piemonte (332),
Lazio (318). In testa alla classifica delle cave dismesse c'è la
Lombardia, con 2.543 aree abbandonate. Impressionante il numero nelle
Marche (1.041) e in Sardegna (860). Il primo posto per quantità estratta
spetta alla Sicilia con oltre 113 milioni di metri cubi nel 2006,
all'interno della quale spicca il dato della provincia di Palermo (più
di 57 milioni) dove l'estrazione di calcare raggiunge livelli altissimi,
superiori alla maggior parte delle Regioni italiane. In Lombardia sono
oltre 71 milioni i metri cubi cavati, oltre 32milioni nella Provincia di
Trento.
Nel 2006 sono state consumate quasi 47 milioni di tonnellate di cemento,
per una media di 813 chili per ogni cittadino a fronte di una media
europea di 625. Tra i grandi Paesi europei, solo la Spagna presenta una
situazione peggiore della nostra. Tra il 1999 e il 2006 in Germania e
Regno Unito il consumo di cemento diminuisce. La normativa nazionale di
riferimento è ancora un Regio Decreto del 1927, un testo che rispecchia
l'idea di un settore da sviluppare, sfruttando le risorse del suolo e
sottosuolo al di fuori di qualsiasi considerazione territoriale,
ambientale o paesaggistica. Le regole per l'attività estrattiva
dovrebbero essere dettate dalle Regioni, a cui sono stati trasferiti i
poteri in materia nel 1977.
La fotografia aggiornata della situazione nelle Regioni italiane vede un
quadro normativo completo, con l'eccezione della Calabria, e invece
l'assenza di piani in ben 10 Regioni, Veneto Friuli e tutte quelle del
centro-sud (Lazio, Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Calabria,
Sicilia, Sardegna) con l'eccezione della Puglia che lo ha approvato nel
2007. In Calabria non esiste una legge, né un piano, il potere di
autorizzazione è stato trasferito ai Comuni e in Regione non conoscono
nemmeno il numero delle centinaia di cave, moltissime illegali, aperte
nel territorio. In almeno metà del Paese, dunque, la situazione è di
grave emergenza. L'assenza dei piani cava ha come conseguenza di
determinare una enorme discrezionalità in chi deve autorizzare le nuove
cave e nello stesso controllo del territorio, e in cui si fa sentire
tutto il peso delle Lobby dei cavatori e delle ecomafie.
Sono pochissime, poi, le Regioni che escludono dall'attività estrattiva
aree di rilevante interesse ambientale. Un'altra anomalia è
rappresentata dalle tariffe di concessione. A fronte di guadagni
miliardari per il settore, i canoni che si pagano alle Regioni sono
bassissimi, in media di pochi centesimi di euro. Per sabbia e ghiaia si
va, per esempio, dai 0,10 euro a metrocubo pagati in Campania ai 3,33
Del Friuli. Ma in Sicilia, Sardegna, Puglia e Basilicata cavare è,
addirittura, un'attività gratuita. Un dato stupefacente, considerati i
danni arrecati all'ambiente e i guadagni del settore, che muove un giro
d'affari di circa 5 miliardi di euro l'anno solo per gli inerti. E se si
considera il peso che le ecomafie hanno nella gestione del ciclo del
cemento e nel controllo delle aree di escavazione è particolarmente
preoccupante una situazione praticamente priva di regole in troppe zone
del Paese. Per Legambiente ridurre il prelievo di materiali e l'impatto
delle cave nei confronti del paesaggio è quanto mai urgente e possibile.
“Ridurre il prelievo di cava si può, come dimostrano le esperienze di
altri Paesi europei - spiega Edoardo Zanchini, responsabile del settore
urbanistica di Legambiente -. Le quantità più rilevanti di materiali
estratti ogni anno in Italia sono utilizzati per l'edilizia e le
infrastrutture: quasi il 60% di quanto viene cavato sono inerti,
principalmente ghiaia e sabbia e altri materiali per il cemento. Occorre
ridurre il prelievo di materiali dal suolo grazie al riciclo degli
inerti e rivedere profondamente i canoni di concessione. In molti Paesi
europei il riciclo di inerti ha già superato il 90%; l'Italia è solo al
10% ma grazie a macchinari e centri di riciclo più grandi e organizzati
può fare un salto di qualità a standard europei”.
E' necessario definire al più presto un nuovo quadro normativo. Ridurre
il consumo di inerti di cava nell'industria delle costruzioni,
rafforzare controllo e tutela del territorio, spingere l'innovazione del
settore sono gli obiettivi prioritari. Per garantire una gestione
dell'attività estrattiva rispettosa dell'ambiente è necessario definire
per tutto il territorio nazionale alcuni standard minimi relativi alle
aree in cui l'attività di cava è vietata ed estendere le procedure di
VIA a tutte le richieste di cava, senza limiti di dimensione. Per
ridurre l'impatto sul paesaggio e quello idrogeologico vanno anche
definiti urgentemente criteri per il recupero delle diverse tipologie di
cave. Il controllo delle attività di cava sul territorio e della
legalità è una condizione essenziale per monitorare l'evoluzione del
fenomeno cave, responsabilizzare le Regioni all'esercizio delle loro
funzioni e sostituirle quando inadempienti, anche per garantire chi
lavora in maniera onesta. Va rivisto il meccanismo di fiscalità. Non
solo perché è assurdo che il costo del prelievo sia così basso o
addirittura pari a zero, ma anche per il costo eccessivo del
conferimento in discarica dei rifiuti provenienti dall'edilizia. Grazie
a un'attenta incentivazione, occorre favorire il riutilizzo dei
materiali di scavo e di demolizione come aggregati riciclati per tutti
gli usi compatibili.
La prospettiva è quella di una moderna filiera dove, al posto del
conferimento in discarica, siano le stesse imprese a gestire il processo
di demolizione selettiva e di riciclo dei materiali, che correttamente
lavorati possono diventare una eccellente alternativa agli inerti e agli
aggregati per il cemento. E' la strada intrapresa nei principali Paesi
europei.
http://www.korazym.org
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