Non poteva essere più esplicito e più completo il fallimento
dell’operazione che mirava al trasferimento del TFR dei lavoratori dipendenti ai
fondi d’investimento. Su dodici milioni e mezzo di lavoratori interessati, nei
primi sei mesi dell’anno solo il 5% ha deciso di mettere il proprio TFR nei
fondi chiusi e solo il 2.5% nelle altre forme pensionistiche previste dalla
nuova normativa. A fornire il dato è stata qualche giorno fa la Covip
(commissione di vigilanza sui fondi pensione), dati che sono stati accolti da un
fragoroso silenzio. Dopo anni di lavoro per dirottare verso la finanza il
trattamento di fine rapporto dei lavoratori dipendenti, dopo mesi e mesi di
pubblicità tambureggiante ai nuovi “strumenti” pensionistici, meno di un
lavoratore su tredici è stato convinto ad abbracciare la splendida opportunità
che tanti soggetti si sono dannati per offrirgli. Diffidenza verso una finanza
troppo creativa per essere ritenuta degna di fede, anche quando l’investimento
sia più sicuro per effetto delle tutele offerte dalla legge, scarsa fiducia
nell’affidare il proprio denaro a soggetti creati ad hoc, scarsa dimestichezza
con strumenti finanziari poco trasparenti, ma anche una sana diffidenza verso
sindacati in crisi di credibilità, hanno determinato una vera e propria
Caporetto per i sostenitori della pensione fai-da-te.
Di fronte ad un esito del genere ci sarebbe da chiedersi quali siano le reazioni
dei tanti politici e sindacalisti che per anni hanno speso sudore e lacrime per
far passare una riforma dall’utilità tanto dubbia, ma non è dato di conoscerle.
A parte il Ministro del Lavoro Damiano, che ne ha l’obbligo istituzionale, non
si sono sentiti commenti al consuntivo presentato dalla Covip. Lo stesso Damiano
ha fatto l’illusionista giocando con i dati, provando a presentare la Caporetto
della riforma come un successo.
Damiano ha detto che i dati fanno ritenere che la riforma "sia una scommessa
riuscita", vantando l’incremento del 50 per cento dei lavoratori iscritti alle
forme pensionistiche complementari. Puro illusionismo, se la legge che imponeva
ai lavoratori la scelta ha portato ad un misero aumento del 50% della quota
molto modesta di iscritti ai fondi prima dell’entrata in vigore della legge, non
si capisce davvero dove sia il successo. Damiano dice che i fondi hanno reso e
stanno rendendo di più delle altre forme a disposizione dei lavoratori. Ma,
restando ai numeri, prima c’erano 1,8 milioni di iscritti, ora sono diventati
2,7 milioni, mentre oltre dieci milioni degli undici milioni di lavoratori che
avrebbero dovuto fare i salti dalla gioia abbracciando la riforma, si sono
guardati bene dal seguire i consigli di sindacati, partiti e media che li hanno
bombardati per mesi e mesi sulla splendida e moderna opportunità offerta loro.
Damiano ha detto di sperare che a fine anno sarà del 40% la percentuale di
lavoratori che ha aderito ai fondi, numero ottenuto partendo da un dato che
Luigi Scimmia (presidente della Covip) ha detto essere oggi del 32%. Questo però
vorrebbe dire che negli ultimi tre mesi (per i quali non ci sono dati
“ufficiali”), si sono iscritti ai fondi 1,3 milioni di lavoratori contro i
novecentomila dei primi sei mesi; un dato del quale è lecito dubitare, visto che
al netto delle ferie i mesi sono in effetti solo due.
Altra magia con i numeri che però cozza con la “speranza” di Damiano, secondo il
quale sarebbe un buon risultato se un altro milione di lavoratori si iscrivesse
nei prossimi quattro mesi. Avremmo così una sequenza abbastanza paradossale: da
gennaio a giugno hanno aderito (dati ufficiali) novecentomila lavoratori (0,9
milioni), da giugno a settembre 1,3 milioni (dato non ufficiale) più la speranza
di Damiano che nei prossimi quattro mesi vede un buon risultato nell’adesione di
un altro milione di lavoratori, per un totale a fine anno di cinque milioni. Di
questi fino ad ora ce ne sono ufficialmente solo novecentomila che secondo i
dati della Covip hanno aderito dall’entrata in vigore della legge a giugno, che
salirebbero a 2,2 milioni di nuove iscrizioni, sommandosi al dato di 1.8 milioni
di lavoratori già iscritti prima della riforma.
E’ vero che i numeri, soprattutto in Italia, spesso si prestano ad essere
manipolati, ma difficilmente questi possono essere considerati i numeri di un
successo e infatti è calato un silenzio di tomba sulla questione. Un silenzio
strano, visto che sulla riforma del TFR hanno parlato in tanti e tanto a lungo;
ma, come è noto, la vittoria ha molti padri mentre la sconfitta è sempre orfana.
Tacciono i confederali, tacciono i politici, tacciono i media. Ma non è il
silenzio degli innocenti, è tutto un altro film.
Mazzetta
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