Con il
rallentamento della crescita dell’occupazione, certificato dalle ultime
indagini sulle forze lavoro, vengono al pettine i nodi irrisolti
delle riforme del mercato del lavoro degli ultimi quindici anni. Se la
disoccupazione continua a calare è soprattutto perché diminuiscono le
persone in cerca di lavoro. Aumentano i "lavoratori scoraggiati", quelli
che rinunciano a cercare lavoro, più che gli occupati. Il Mezzogiorno
registra un vistoso calo del suo tasso di occupazione. Al persistente
dualismo territoriale del nostro mercato del lavoro, si sovrappone il
dualismo fra contratti permanenti e contratti temporanei. La quota
di lavoratori temporanei sul totale del lavoro dipendente è
ulteriormente aumentata nell’ultimo anno, portandosi al 13,4 per cento.
Per le donne l’incremento è stato quasi di un punto e mezzo: oggi
una donna occupata alle dipendenze su sei ha un contratto a tempo
determinato. Molte altre donne gonfiano le fila del lavoro
parasubordinato. I lavoratori duali si avviano a superare la soglia dei
4 milioni. Sono la maggioranza tra i più giovani. Questo nuovo
dualismo non può essere considerato un problema marginale, come
sostenuto recentemente da Alberto Bombassei, vicepresidente di
Confindustria. Secondo noi è un problema reale che deve essere
affrontato con ben altro passo e determinazione rispetto a quelli
mostrati dall’attuale governo e da quello precedente.
Qualcosa si muove
Il senatore Tiziano Treu ha inserito nella bozza di
programma del Partito democratico un esplicito riferimento a un
contratto di lavoro unico con tutele crescenti nel tempo, in
sintonia con una parte della proposta di riforma per combattere il
dualismo elaborata e discussa su www.lavoce.info da più di due
anni, e accolta allora con notevole apertura dal sindacato. Walter
Veltroni, candidato alla leadership del costituendo partito, ha mostrato
interesse nei confronti della proposta. Da allora molti lettori ci hanno
chiesto delucidazioni a riguardo. Alcuni hanno addirittura formulato
proposte integrative per renderla maggiormente incisiva. Nel
ringraziarli per il loro interesse, vogliamo qui offrire risposte ad
alcuni dei quesiti più frequenti.
Oltre al contratto unico, rimane tutto come prima?
No. Una strategia vincente contro il dualismo deve
imporre standard minimi che valgano per tutti i tipi di
contratti. Altrimenti ci saranno sempre delle asimmetrie. Per questo
riteniamo fondamentale che venga introdotto un salario minimo orario che
valga per ogni tipo di prestazione alle dipendenze offerta nel nostro
paese. Per tutelare il futuro previdenziale dei giovani, tutti i
contratti alle dipendenze dovrebbero, inoltre, garantire lo stesso
livello di contributi previdenziali. Infine, per dissuadere un uso
eccessivo dei contratti a tempo determinato, riteniamo che chi assume
con contratti a termine debba pagare contributi più alti per le
assicurazioni contro la disoccupazione, dato che più forte è il rischio
che il contratto sfoci in un periodo di disoccupazione.
Come può il contratto unico conciliare flessibilità e tutele?
Il contratto unico permette alle imprese
un’assunzione "flessibile", aumentando gradualmente le tutele del
lavoratore, senza forti discontinuità. Nella nostra proposta, il
contratto ha tre fasi: la prova, l’inserimento e la stabilità.
Chi viene assunto con un contratto a tempo indeterminato, è soggetto a
un periodo di prova di sei mesi, come oggi avviene già per alcune
categorie. Serve a non scoraggiare il datore di lavoro, che vuole essere
garantito circa le qualità del lavoratore. Successivamente, dal settimo
mese al terzo anno dopo l’assunzione, il lavoratore è coinvolto in un
periodo di inserimento in cui viene tutelato dalla protezione
indennitaria (da due a sei mesi di salario) nel caso di
licenziamento economico e deve essere reintegrato in azienda nel caso di
licenziamento discriminatorio o lesivo di diritti fondamentali. In
questo periodo di inserimento, datore di lavoro e lavoratore investono
in capitale umano. Al termine del terzo anno, l’obbligo di
reintegrazione (la cosiddetta tutela reale) viene esteso anche ai
licenziamenti economici senza giusta causa.
Non sono troppi tre anni?
Nella nostra proposta la prova dura solo sei mesi.
Dopo questi sei mesi, l’interruzione del rapporto di lavoro dà diritto a
un indennizzo. Oggi i lavoratori a progetto non hanno diritto ad alcun
indennizzo e i contratti a tempo determinato hanno sempre una scadenza,
al termine della quale non vi è alcuna compensazione monetaria nel caso
in cui il rapporto di lavoro si interrompa. Nel contratto unico, dopo i
sei mesi di prova c’è sempre quanto meno un indennizzo monetario. In
questo senso, la nostra proposta è decisamente migliorativa.
Ma non c’è già l’apprendistato?
Il contratto unico a tempo indeterminato può essere
offerto a tutti, non solo ai lavoratori con meno di 30 anni, per
facilitare il reingresso nel mercato di donne dopo il periodo di
maternità e di lavoratori più anziani. Non ha limiti di durata. E non
prevede riduzioni dei contributi previdenziali, come oggi avviene per
l’apprendistato. La nostra proposta non comporta oneri per il
contribuente, come invece avviene per l’apprendistato. Quindi è davvero
molto diverso.
Il contratto unico è la stessa cosa del Contrat de Premiere Embauche
(Cpe) che ha scatenato le proteste nelle piazze francesi?
Niente affatto. Semmai, il contratto unico ha qualche similitudine
con il
Contrat Nouvelles Embauches (Cne) in vigore in Francia dal 2005,
dove ha contribuito a stabilizzare i rapporti di lavoro. A differenza
del Cpe, il contratto unico è a tempo indeterminato e non
riguarda solo i giovani. Nel caso di licenziamento economico durante il
periodo di inserimento, il datore di lavoro è comunque tenuto a fornire
una motivazione e a offrire un risarcimento, cosa non prevista nel Cpe
(e nello stesso Cne) in cui, nei primi due anni, il licenziamento non
richiede alcuna giustificazione e solo un breve periodo di preavviso.
Cosa succede agli altri contratti?
Rimangono, ma devono essere compatibili con gli standard
minimi definiti sopra, in termini di salario minimo orario e contributi
previdenziali obbligatori.
Cosa impedisce a un datore di lavoro di allungare il periodo
flessibile?
Se un datore di lavoro assume un lavoratore con un
contratto a tempo determinato (o un contratto a progetto) e, al termine
di questo contratto, vuole assumere il lavoratore con un contratto a
tempo indeterminato, il contratto partirà dal periodo di stabilità,
non potrà contemplare né periodo di inserimento, né periodo di prova.
Cosa impedisce a un datore di lavoro di interrompere il rapporto di
lavoro prima dell’inizio della terza fase?
Il datore di lavoro che vuole interrompere il rapporto di lavoro nel
periodo di inserimento dovrà compensare il lavoratore offrendogli
fino a sei mensilità. Come abbiamo detto, tale onere oggi non è presente
nei contratti a progetto e a tempo determinato giunti alla scadenza. In
altre parole, anche nei primi tre anni aumenta la protezione dei
lavoratori rispetto allo status quo, la modalità di gran lunga dominante
di assunzione dei lavoratori con meno di 40 anni.
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