I problemi
strutturali del nostro mercato del lavoro sono tutti legati
all’ingresso. Difficile entrare nel mercato del lavoro formale per
giovani in cerca del loro primo impiego e per donne dopo la maternità o
lunghi periodi passati a lavorare a casa. Ma è difficile rientrare
anche per chi è costretto a uscirne durante una fase di una vita che diventa
sempre più lunga. Il rientro è difficile anche per chi sceglie di stare per
un po’ fuori dal mercato, cosa che avverrà in modo sempre più frequente. Per
non fare deprezzare il nostro capitale umano in un percorso lavorativo che
non può che allungarsi assieme alla vita vissuta, si può avere bisogno di
prendere, ogni tanto, dei "periodi sabbatici". Deve essere possibile entrare
prima, uscire e poi rientrare, senza trovarsi ogni volta di fronte a
ostacoli pressoché insormontabili.
I problemi
Queste difficoltà di ingresso sono particolarmente acute
al Sud e durante condizioni congiunturali difficili. Ma sono presenti
comunque. È un problema strutturale del nostro mercato.
Anche la questione del precariato è in parte legata all’ingresso. Le
riforme del mercato del lavoro che si sono succedute in questi anni hanno
certamente reso più facile il primo ingresso nel mercato, come dimostrato
dal calo strutturale della disoccupazione giovanile (circa 6 punti
percentuali nel periodo 1998-2005). Ma queste riforme hanno creato un
canale parallelo, una specie di mercato del lavoro secondario. E il
passaggio dal mercato del lavoro secondario a quello primario è
terribilmente incerto, senza sentieri e percorsi stabiliti.
Inoltre, ci sono problemi di sostenibilità di lungo periodo: in assenza di
correttivi, ce ne accorgeremo fra venti-trenta anni quando le prime
generazioni di lavoratori temporanei arriveranno all’età di pensionamento
con contributi insufficienti ad alimentare una pensione superiore ai minimi
sociali. Nel nuovo regime previdenziale, i contributi pagati dai co.co.co,
uniti a salari di ingresso che sono spesso al di sotto della soglia di
povertà (secondo i dati di Banca d’Italia, c’è quasi un 10 per cento di
lavoratori atipici che riceve
meno di 4
euro all’ora e a frequenti periodi di disoccupazione non coperti da
assicurazioni-ammortizzatori sociali e contribuzioni figurative, sono
infatti insufficienti a garantire una pensione adeguata. (1)
A questi problemi bisogna pensare quando si ragiona sui programmi da
realizzare nella nuova legislatura. Bisogna definire un percorso che
funzioni indipendentemente dall’età, non solo per entrare, ma anche per
rientrare nel mercato del lavoro. E deve essere un percorso ben definito,
senza salti nel vuoto. Infine, dati i vincoli di finanza pubblica, meglio
concepire un percorso che non implichi l’utilizzo di risorse pubbliche
aggiuntive. Non vorremmo che, domani, esigenze di quadratura dei bilanci
imponessero di cambiare il percorso, come ad esempio avvenuto con il taglio
al bonus assunzioni introdotto nel 2000. Il percorso di ingresso deve valere
per tutti ed essere sempre aperto.
Le soluzioni proposte
Ecco dunque le nostre proposte. Bisogna cercare di
attuarle simultaneamente perché fanno parte dello stesso disegno, volto ad
assicurare un ingresso sostenibile nel mercato del lavoro.
Il sentiero a tappe verso la stabilità. Il canale principale di
entrata nel mercato del lavoro deve prevedere un sentiero di lungo periodo
per i lavoratori, e al tempo stesso permettere alle imprese un assunzione
"flessibile". Nella nostra proposta, il sentiero ha tre fasi: la prova,
l’inserimento e la stabilità. Chi viene assunto con un contratto a tempo
indeterminato, dovrebbe essere soggetto a un periodo di prova
di sei mesi, come oggi avviene per alcune categorie e per il personale
direttivo. Serve a non scoraggiare il datore di lavoro che vuole essere
garantito circa le qualità del lavoratore. Successivamente, dal sesto mese
al terzo anno dopo l’assunzione, il lavoratore è coinvolto in un periodo
di inserimento in cui viene tutelato dall’articolo 18 per quanto
riguarda il licenziamento disciplinare e discriminatorio e dalla protezione
indennitaria (da due a sei mesi di salario) nel caso di licenziamento
economico. È questo il periodo in cui datore di lavoro e lavoratore
investono in capitale umano specifico all’azienda. Al termine del terzo
anno, la cosiddetta tutela reale (reintegra) viene estesa anche ai
licenziamenti economici. A questo punto per l’azienda che ha già investito
nel capitale umano del lavoratore sarebbe comunque molto costoso separarsi
da lui. Quindi, questa forte protezione dell’impiego non è tale da
dissuadere il datore di lavoro dall’assumere il lavoratore. Al contempo,
riteniamo che la durata massima del contratto a tempo determinato
(Ctd) debba essere ridotta a due anni, mentre si
dovrebbero aumentare i contributi per l’assicurazione contro la
disoccupazione versati da chi assume con Ctd, per coprire i costi scaricati
sulla collettività in termini di sussidi di disoccupazione pagati ai propri
ex-dipendenti il cui contratto non sia stato rinnovato
alla scadenza . Un’impresa che trasforma un contratto a tempo
determinato in uno a tempo indeterminato non potrà comunque fruire del
periodo di prova. In questo modo, si scoraggerà l’abuso di queste figure
contrattuali. I contratti temporanei saranno indirizzati soltanto a
prestazioni lavorative veramente a termine, mentre il periodo di prova lungo
permetterà alle imprese di decidere con maggior flessibilità l’assunzione a
tempo indeterminato.
Salario minimo. Coprirebbe i lavoratori oggi lasciati fuori dalla
contrattazione. Rimediando a una situazione in cui i datori di lavoro hanno
un potere di mercato eccessivo, potrebbe finire per creare più occupazione.
Come mostrato dall’esperienza dei paesi latino-americani, non è affatto
ovvio che crei lavoro nero.
Contributo previdenziale uniforme. Qualunque prestazione lavorativa
deve avere la stessa copertura previdenziale, indipendentemente dal tipo di
contratto di lavoro, il che significa uniformare le aliquote contributive
tra lavoro dipendente e lavoro autonomo, a partire dai contratti a progetto.
Questi standard devono garantire un’adeguata copertura previdenziale. Il
legame fra contributi e pensioni future va reso più trasparente mandando a
tutti i lavoratori rendiconti che documentino l’evoluzione dei propri
diritti previdenziali, così
come avviene in Svezia. Questo permette che contributi più alti non
vengano percepiti come tasse, ma come risparmi, accantonamenti obbligatori
per garantirsi una pensione adeguata.
(1) Rosolia e Torrini (Rosolia, A. e Torrini, R., "Il divario
generazionale", mimeo, Banca d’Italia, giugno 2005) documentano inoltre come
la forbice fra salari di ingresso e salari medi, fra retribuzioni dei
giovani e degli anziani si sia fortemente ampliata nell’ultimo decennio.
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