Occupazione tradizionale. Forte flessibilità degli
orari. Alta disuguaglianza dei redditi. Difficoltà di accesso al
mercato del lavoro per i giovani. E un milione e mezzo di lavoratori che
vivono a basso reddito in famiglie disagiate. Sono i dati sul panorama
lavorativo e sociale che emergono dal Rapporto Istat 2005 presentato oggi a
Roma. LAVORO. "Il modello occupazionale italiano è ancora
caratterizzato da tassi di occupazione nettamente inferiori a quelli medi
europei - ha detto il presidente dell'Istat Luigi Biggeri - ed è fondato
sulla centralità dell'occupazione maschile adulta a tempo determinato, con
alti livelli di esclusione dei giovani, delle donne e degli anziani".
Nonostante una diffusione del part time inferiore alla media europea, la
flessibilità degli orari è forte soprattutto fra i lavoratori autonomi. Solo
un terzo dei dipendenti lavora full time da lunedì al venerdì, in ore diurne
e senza turnazioni. Sempre più italiani lavorano dunque con orari
flessibili: l'orario dalle 9 alle 17 vale solo per otto milioni di
lavoratori, circa un terzo del totale, mentre per gli altri sono sempre più
frequenti i turni, il lavoro nel week end e quello notturno. Grazie alla
crescita dell'impiego nei servizi e alla liberalizzazione degli orari nel
commercio è aumentato il numero degli addetti impiegati di sabato (il 48,8%
del totale) e della domenica (18,8% del totale) mentre il 22,1 è impegnato
di sera e l'11,2% di notte. Il 13,3% degli occupati fa i conti con i turni.
Il lavoro "full time standard" riguarda quindi il 36,1% della popolazione ed
è più alto tra i dipendenti (41%) che tra gli autonomi (22,6%) mentre
lavorano full time ma a volte anche nei week end il 26,9% degli italiani
(22,8 dei dipendenti e il 38,3 degli autonomi).
I soggetti più esposti a condizioni di vulnerabilità sono i
lavoratori a basso reddito e gli anziani, i giovani che hanno
difficoltà di acceso e stabilizzazione sul mercato del lavoro e i lavoratori
con bassi livelli di istruzione o che non possono valorizzare il loro
capitale umano. I giovani hanno difficoltà di accesso al mercato del lavoro
e presentano rischi di disoccupazione più elevati rispetto agli altri gruppi
demografici. Il differenziale fra il tasso di occupazione dei giovani fra i
20 e i 29 anni e gli adulti è di venti punti percentuali e superiore a
quello europeo. "Soltanto in Italia - ha detto Biggeri - si hanno tassi di
occupazione più bassi e tassi di disoccupazione più elevati per i giovani
laureati rispetto ai corrispondenti valori europei".
"Ci sono oltre 4 milioni di lavoratori a basso reddito (al di
sotto dei 700 euro mensili), di cui circa 1,5 vive in famiglie in
condizioni di disagio economico - rileva l'Istat - Si tratta in prevalenza
di giovani con redditi da lavoro autonomo; ma bassi redditi da lavoro sono
presenti anche tra dipendenti con orari standard e a tempo determinato". I
bassi redditi da lavoro sono più diffusi fra le donne (28 per cento contro
il 12 per cento degli uomini), fra i giovani al di sotto dei 25 anni (36 per
cento), fra chi ha un grado di istruzione inferiore alla licenza media (32
per cento) e fra lavoratori che operano nel privato (21 per cento).
Il nostro paese si trova fra i paesi europei con minore mobilità
sociale (Francia, Germania, Irlanda) a differenza di Norvegia,
Paesi Bassi e Svezia. È difficile passare da una classe sociale all'altra e
le donne hanno una probabilità maggiore di quella maschile di permanere
nella classe di origine. Nel 2005 "per la prima volta dalla metà degli anni
Novanta il contributo delle donne all'aumento dell'occupazione - sottolinea
l'Istat - è stato inferiore a quello degli uomini". La quota delle
lavoratrici sul totale degli occupati è scesa dal 39,2% del 2004 al 39,1%
del 2005 mentre nella Ue a 25 il trend è invece opposto. "Il contemporaneo
forte incremento del numero di donne inattive residenti nel Sud e nelle
Isole e di giovani che proseguono gli studi - evidenzia l'istituto di
statistica - indica il diffondersi di fenomeni di rinuncia a intraprendere
concrete azioni di ricerca di un impiego". Complessivamente "continua a
rallentare la crescita dell'occupazione" e aumenta il tasso di
disoccupazione, soprattutto tra i giovani (nel 2005 al 24%, con un
incremento sul 2004 dello 0,4%). Sostanzialmente "le forze di lavoro
risultano in crescita grazie agli stranieri regolarizzati".
REDDITI. Povertà stabile (7,6 milioni gli indigenti) negli ultimi
otto anni in Italia, che resta però fra i paesi europei con più
alto grado di sperequazione dei redditi. Questo vale soprattutto al
Mezzogiorno, dove le famiglie percepiscono circa 3/4 del reddito delle
famiglie che vivono al Nord. Pur con molta variabilità, una famiglia su due
ha un reddito mensile netto inferiore a 1.670 ma ben un milione e mezzo di
persone percepisce un reddito mensile basso, mediamente meno 783 euro, e
vive in contesti familiari economicamente disagiati. Nel 2003 il reddito
medio per famiglia è stato di 24.950 euro, circa 2.079 euro al mese. Il
reddito è composto per il 43,1% da lavoro dipendente e per il 32,9% da
trasferimenti pubblici (il 92% riguarda pensioni). Le famiglie che hanno
come fonte principale il reddito da lavoro autonomo possono contare, in
media, su entrate maggiori. Al sud di solito c'è un solo percettore di
reddito, mentre al nord due o più. Le famiglie povere sono 2 milioni e 600
mila: l'emergenza riguarda il Sud dove una famiglia su 4 è povera e dove le
persone povere nell'ultimo anno sono aumentate di circa 900 mila persone,
interessando oltre 1.800.000 famiglie. Ci sono quattro gruppi di famiglie
povere: coppie anziane, donne anziane sole, famiglie con persone in cerca di
occupazione nel Mezzogiorno e famiglie con lavoratori a basso profilo
professionale. Il modello verso cui si tende - rileva l'Istat - è quello in
cui entrambi i coniugi lavorano.
PREZZI. L'inflazione, che si è mantenuta sotto controllo negli
ultimi mesi, potrebbe risalire a causa delle pressioni salariali
dal mondo del lavoro. Rischi sull'inflazione possono derivare dall'aumento
del prezzo del petrolio e da un possibile rafforzamento dell'euro rispetto
al dollaro. L'aumento dei prezzi fa stringere la cinghia degli italiani
quando si tratta di cibo: il 25% delle famiglie compra meno pane e pasta
mentre oltre il 30% meno carne, frutta e verdura; il 37,2% riduce l'acquisto
di pesce; il 41,9% fa minori compere per l'abbigliamento e le scarpe. Il 15%
opta per alimenti di qualità più bassa.
SERVIZI SOCIALI. Nel 2003 la spesa delle Amministrazioni
pubbliche destinata agli interventi sociali (per le funzioni
sanità, istruzione, assistenza e beneficenza) è stata pari a circa 3.000
euro pro-capite, in crescita di oltre 900 euro nell'arco 1996-2003. "A
fronte di un valore medio per abitante di poco superiore a 3 mila euro annui
- rileva l'Istat - permangono ampi divari territoriali di spesa sociale, con
valori maggiori nelle regioni centro-settentrionali e minori in quelle
meridionali". Nella sanità emergono modelli differenziati e si osserva una
tendenza alla deospedalizzazione che però stenta a consolidarsi. Non accenna
invece a diminuire il fenomeno della mobilità ospedaliera, soprattutto dalle
regioni meridionali verso quelle del Nord. E nella maggior parte dei casi,
alla base della scelta di "migrare" per farsi curare vi è la mancanza di
centri adeguati nella propria regione, specie nel settore dei trapianti. Fra
il 1999 e i 2003, sottolinea infatti l'Istat, la mobilità ospedaliera
interregionale non diminuisce: la percentuale di dimissione di residenti
ricoverati in un'altra regione passa dal 6,7% al 7,1%. Così, nel 2003 quasi
600.000 ricoveri, il 7% del totale di quelli ordinari per acuti, sono
avvenuti in una regione diversa da quella di residenza del paziente. Le
regioni che hanno flussi in uscita più consistenti di quelli in entrata sono
quelle del Mezzogiorno (a eccezione di Abruzzo e Molise) e fra queste, le
regioni con una percentuale d'emigrazione superiore alla media sono
Campania, Basilicata e Calabria. La maggior parte delle regioni del nord e
del centro, invece, hanno al contrario flussi di entrata più consistenti di
quelli in uscita. Quanto ai tipi di interventi per cui la mobilità è
particolarmente elevata, al primo posto ci sono i trapianti.
Negli ultimi anni è aumentata l'offerta formativa delle
Università ma la riforma dell'università, afferma l'Istat, ha
puntato "troppo sull'attività didattica che non sempre corrisponde alla
richiesta del mercato" del lavoro; "è fondamentale - aggiunge -puntare sulla
ricerca, motore dello sviluppo delle conoscenze e dell'economia". In
generale, aumentano gli iscritti nell'anno accademico 2004/2005 e gli
immatricolati, aumentano gli studenti in corso, "anche se gli abbandoni
continuano a rappresentare un problema: circa uno studente su cinque non si
iscrive al secondo anno".
"Il sistema del welfare - ha detto Biggeri - rimane
caratterizzato da una forte incidenza delle spese per prestazioni monetarie,
tra queste in particolare quelle per le pensioni, a scapito della componente
dei servizi alla persona
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