MOSCA.
In Russia li chiamano rusiny. Sono gli ultimi
appartenenti ad un gruppo etnico ucraino. Vivono in
diecimila nell’occidente delle terre subcarpatiche
conosciute come Galizia e Bucovina che sono le provincie
orientali di quella Slovacchia che dopo la Seconda guerra
mondiale venne annessa all’Urss col nome di Transcarpatia
e che è, oggi, una provincia dell’Ucraina. Sentiremo ora
sempre più parlare di questi rusiny che, di fatto, abitano
la regione che noi conosciamo come Rutenia che era il nome
della Russia nel medioevo, adottato poi dalla monarchia
austro-ungarica per designare il proprio territorio
carpatico. Perchè è qui, nel cuore di un’Ucraina che
guarda all’Ovest, che prende avvio un movimento che tende
all’autonomia e che potrebbe creare seri problemi alla
dirigenza di Kiev e a paesi come la confinante Polonia.
Eccoli, quindi, i ruteni-rusiny. Fratelli di razza e di
lingua degli ucraini della Galizia e della Bucovina e
anche degli ucraini russi, che vivevano per la maggior
parte nelle regioni montagnose del nord-est slovacco
dell'Ungheria. E che prima di riconoscersi come ucraini,
si diedero il nome di Rusiny.
Narrano le cronache che il risveglio della loro coscienza
nazionale fu assai tardo: la prima società per la
diffusione della cultura rutena venne creata nel 1834.
Dopo il 1848 il governatore, il conte Stadion, si impegnò
in Bucovina e in Galizia per migliorare la situazione dei
ruteni, che si trovavano in condizioni di maggiore
indigenza e sottosviluppo rispetto a tutte le altre
nazionalità dell'Austria-Ungheria, soprattutto nelle
regioni dove avevano subito la dura oppressione dei
proprietari polacchi... Ed ecco che ora si apre una nuova
pagina di storia che rischia di rimettere tutto in
discussione. Con precise richieste di libertà, uguaglianza
dei diritti e autonomia.
Vediamo cosa sta avvenendo all’interno di questi “piccoli
popoli” che sembrano dimenticati da tutti, ma che ora –
sulla base della nuova geopolitica che agita l’Europa –
tornano a farsi sentire. La storia più recente – quella
dei nostri giorni - prende avvio il 25 ottobre scorso,
quando a Mukacevo, al confine tra l’Ucraina e l’Ungheria
(nella grande sala del locale “Teatro russo”), si svolge
il congresso dei rusiny. E’ in quest’occasione che si
decide di fondare la “Repubblica Transcarpatica russa”
nell’ambito dell’Ucraina.
Portavoce di questa nuova iniziativa è il vescovo
ortodosso di Usgorod, Dimitrij Sidor, il quale annuncia ai
109 delegati (giunti da ogni regione dei Carpazi e dalla
Repubblica Ceca) che è giunto il momento di firmare l’Atto
definitivo relativo allo “Stato dei rusiny” riprendendo
iniziative analoghe del novembre 1938. Subito viene eletto
anche un “Comitato” chiamato ad organizzare concretamente
la nuova repubblica. E sempre a Mukacevo, nella piazza
centrale, si ritrovano quanti manifestano (con le bandiere
della Russia) per difendere i diritti dei rusiny.
Non mancano discorsi relativi alla storia della regione e
precise richieste di autonomia e di distanza da Kiev. A
tutti parla il sacerdote ortodosso Sidor il quale
annuncia: “Noi non siamo separatisti, ma lottiamo per
ottenere per la nostra regione lo status di repubblica
autonoma pur se nell’ambito dell’Ucraina. Questo è il
nostro obiettivo, questa è l’ereditè che ci è stata
lasciata dai nostri avi”. E poi seguono le proposte
rivolte a Kiev. “E’ necessario avviare trattative in
merito con tutti i rusiny della Transcarpatia. E se entro
il primo dicembre 2008 non si giungerà a riconoscere la
nostra autonomia nazionale noi siamo pronti a prendere una
decisione autonoma, forti anche del fatto che già questo
problema dei Carpazi è arrivato sui tavoli dell’Onu...”.
Questo potrà portare ad uno scontro con il governo
centrale dell’Ucraina, il paese che i rusiny considerano
come una potenza che ha “occupato” le loro terre. E i
rusiny, tra l’altro, contestano all’Ucraina i dati del
censimento. Fanno rilevare di essere, in totale, oltre
800mila, ma le autorità nazionali cercano di nascondere i
dati reali proibendo di essere censiti come rusiny.
Numerose sono poi le pretese nei confronti del Cremlino. A
Putin le popolazioni della Transcarpatia fanno sapere di
non aver bisogno di fondi, ma di gesti normali in
direzione della democrazia. “Perchè – dice il sacerdote
ortodosso – Putin tace come un coniglio di fronte alle
nostre rivendicazioni? Noi localmente siamo già
riconosciuti come rusiny, ma Mosca tace. Quindi sarebbe
bene per il futuro delle nostre relazioni che dal Cremlino
venisse una parola di condanna nei confronti di Kiev che
ci discrimina...”. E ancora: "Noi vogliamo – dice l’alto
prelato della Chiesa Ortodossa – che nella nostra terra si
parli la nostra lingua, che la televisione e la radio
divengano la nostra voce”. E soprattutto “nessuna Europa
delle tribù. Perchè una terminologia del genere porta ad
identificare la nostra regione come zona selvaggia e
primitiva, difficilmente assimilabile alla cultura
europea...”.
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