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25/12/2007 Il debito pubblico degli Stati Uniti (Daniele John Angrisani, http://altrenotizie.org)
Introduzione
E’ stato sempre detto che viviamo in un mondo nel quale gran
parte delle risorse del pianeta sono consumate da poche persone. Questo è vero
anche di più, oggi che la principale potenza economica e politica mondiale vive,
di fatto, sui prestiti che gli sono garantiti dall’estero. Se non fosse per
questi, infatti, l’ American
Way of Life sarebbe già
stata consegnata definitivamente alla storia da tempo. Ma dipendere dall’estero
ha anche dei rischi piuttosto alti.
E’ per questo motivo che abbiamo pensato di scrivere questo
dossier sul debito pubblico americano; crediamo che una comprensione di ciò che
significa a livello macroeconomico avere un debito così alto, possa aiutare a
capire in modo più profondo alcune scelte prese da questa Amministrazione o da
quelle precedenti.
A questo proposito, prima di passare ad una disamina
dell’aspetto più prevalentemente economico, ci preme fare alcune considerazioni
più prettamente politiche. Come potrete leggere di seguito, gli Stati Uniti sono
stati un Paese sempre indebitato sin dalla loro nascita. Ma è innegabile che il
vero picco di indebitamento si sia avuto a seguito della
reaganomics,
quando, abbandonata definitivamente la strada del keynesianesimo e del
New Deal,
l’America decise di immolarsi sull’altare della liberalizzazione selvaggia.
I profondi tagli alle tasse decisi in quel periodo, quasi
tutti a favore dei più ricchi, la distruzione di ciò che rimaneva dello Stato
Sociale americano e l’aumento esponenziale delle spese militari per la corsa
agli armamenti degli anni ottanta, ha portato infatti il debito pubblico
americano a triplicarsi in meno di 10 anni. L’idea sulla quale era fondata (e lo
è ancora oggi) questa balorda politica economica, è quella per cui se si da di
più a chi ha di più, ne verrebbero a beneficiare anche coloro che hanno di meno,
perché il benessere dall’alto tenderebbe a scendere verso il basso, come una
specie di cascata.
Ovviamente come era stato facile attendersi, tale politica
economica ha invece portato solo all’aumento esponenziale della forbice tra i
pochi ricchi che sono diventati sempre più ricchi e la sempre più folta
rappresentanza di poveri, che man mano si è arricchita di elementi provenenti
dalla classe media che, nel corso del tempo, è andata impoverendosi accrescendo
le fila dei poveri. Per di più, questa netta distinzione sociale è
preoccupantemente analoga alla divisione etnica del Paese: coloro che hanno
infatti maggiormente subito il disastro sociale derivante da queste politiche,
sono infatti i neri e gli ispanici, i quali solo oggi iniziano a rendersi conto
della loro importanza all’interno del sistema economico e sociale americano, che
senza il loro lavoro cadrebbe come un castello di carte al primo soffio di
vento.
Il punto che bisogna tenere a mente quando si parla del debito americano è
comunque che, attraverso l’aumento dell’indebitamento, le classi dirigenti
americane sono riuscite ad ottenere subito dei vantaggi immediati (tagli alle
tasse, deregulation), spostando sui meno abbienti e soprattutto sulle
generazioni future, il peso di questa politica.
Durante gli Anni Novanta comunque, grazie alla fine della
guerra fredda, alla diminuzione delle spese militari ed ad un certo aumento
della pressione fiscale per ridurre il deficit e risanare il bilancio federale,
anche il debito pubblico ha smesso di crescere ed in rapporto al PIL ha iniziato
addirittura a diminuire all’inizio del 2000. Va dato atto alla politica
economica dell’era clintoniana di aver ottenuto almeno questo risultato,
nonostante tutti gli orrori e gli errori che anche essa ha causato, vedi ad
esempio il non aver fatto nulla per evitare lo scoppio della bolla speculativa
in Borsa ed il conseguente deprezzamento dei corsi azionari, che ha significato
niente altro che l’andata in fumo di miliardi di dollari di risparmi americani,
scomparsi nel fango delle speculazioni finanziarie.
Ciò che di buono era stato ottenuto durante la presidenza
Clinton è andato però subito perso da quando George W. Bush è stato "eletto"
alla Casa Bianca, grazie anche ad un programma che prevedeva un
reply
delle politiche economiche dell’era Reagan e quindi soprattutto profondi e
strutturali tagli alle tasse per i più ricchi. Da questo punto di vista, non si
può dire che Bush non abbia mantenuto le sue promesse: anche di fronte ad un
Paese colpito al cuore dal terrorismo internazionale, all’aumento esponenziale
delle spese militari e per l’intelligence
a causa della guerra al terrorismo, Bush ed il
Congresso repubblicano sono andati avanti come nulla fosse accaduto ed hanno
approvato diverse migliaia di miliardi di dollari in tagli alle tasse: tutti o
quasi a favore dei più ricchi, ovviamente.
Oggi il debito pubblico americano ha raggiunto la cifra
astronomica di 8,4 mila miliardi di dollari e la sua crescita non mostra alcun
segno di volersi fermare. Entro la fine dell’anno fiscale corrente, molto
probabilmente il debito raggiungerà e supererà la cifra di 9 miliardi di
dollari, di cui una quota sempre maggiore è posseduta da soggetti esteri. Questo
significa quindi per gli Stati Uniti dipendere pesantemente dall’estero, con i
rischi che ciò comporta: in primis il fatto che Paesi come la Cina, di cui
l’America è sempre più debitore, possano già oggi decidere,
de facto,
di alzare i tassi di interesse americani semplicemente decidendo di non comprare
più titoli americani, con effetti pesanti sulla crescita dell’economia
americana.
Soprattutto però, questo significa pagare ogni anno una quota
sempre maggiore di interessi, bloccando in tal modo voci di spesa che potrebbero
invece essere usate per finanziare un sistema sanitario degno di questo nome,
oppure per investimenti nel settore scolastico, cosa di cui gli Stati Uniti
avrebbero immenso bisogno. Ciò che viene speso per interessi sul debito, altro
non è infatti che la dissipazione di quelle risorse a cui l’America ha abdicato
nel futuro per garantirsi oggi di vivere al di sopra delle proprie necessità. Ma
quanto potrà continuare tutto questo?
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