Vent’anni
fa, quando migliaia di manifestanti pagarono con la
propria vita la contrarietà al nuovo governo militare,
molto era diverso. A guidare la Birmania era sempre il
capo dell’esercito (Saw Maung allora, Than Shwe oggi),
come uguali erano le motivazioni economiche che fecero
esplodere le proteste contro un regime tra i più
illiberali del pianeta. Uguale è anche uno dei centri più
attivi: la pagoda di Sule, da cui nel 1988 partì la
rivolta degli studenti. Ma a fare la differenza tra quella
strage - priva di forti conseguenze per chi la portò
avanti - e questa, che ieri ha fatto le sue prime sei
vittime (oltre a centinaia di feriti), non c’è “soltanto”
un diverso equilibrio tra nazioni, ma soprattutto una
tecnologia che oggi consente a molti - non solo leader
politici e servizi segreti - di conoscere e far conoscere
quanto accade praticamente ovunque. “Tutto il mondo può
seguire, grazie a Internet, quanto sta accadendo in
Birmania. Il governo non può isolare il Paese dal resto
del mondo”, ha detto Said Win, capo redattore di
Mizzima News, un gruppo diretto da alcuni birmani in
esilio in India. Una differenza che deve avere un suo peso
se in questi ultimi nove giorni la marcia dei monaci è
arrivata sulle prime pagine dei giornali, diventando una
delle principali preoccupazioni dell’Onu.
Ieri, circa centomila persone hanno scelto di scendere in
piazza in diversi luoghi del paese. Per le strade di
Yangon, contravvenendo al divieto del governo birmano,
sono stati circa diecimila, con alla testa monaci buddisti
seguiti da studenti ed esponenti del partito di
opposizione guidato dal premio Nobel Aung San Suu Kyi.
Questo, nonostante un coprifuoco notturno dalle 21 alle 5
con tanto di controllo militare e divieto di riunione per
gruppi superiori alle cinque persone. E soprattutto,
nonostante la certezza di andare incontro a una
repressione armata. Le paure della vigilia si sono presto
rivelate esatte. Tra gas lacrimogeni, manganelli e colpi
d’avvertimento, infatti, sei persone, tra cui un monaco,
sono state uccise dalle cariche dell’esercito. Secondo la
Voce democratica di Birmania (una radio con sede
a Oslo) tre persone sono morte a causa dei colpi d’arma da
fuoco sparati di fronte alla pagoda di Shwedagon, la più
importante della capitale. Altre due sarebbero state
colpite nei pressi di quella di Sule. Accanto ai morti,
anche numerosi feriti e centinaia di arrestati. In più di
trecento persone sono state caricate sugli autocarri e
portate in cella.
Fin dalle prime ore del mattino i soldati avevano dedicato
particolare attenzione alla pagoda Shwedagon, il luogo dal
quale negli scorsi giorni era partita la protesta. Sono
stati chiusi tutti e quattro gli ingressi principali. Più
tardi, poi, alcuni mezzi militari hanno sbarrato la strada
ai manifestanti intenzionati a dirigersi verso il tempio
di Sule. Ma l’offensiva della giunta militare non si è
fermata a Yangon. A Mandalay, la seconda città della
Birmania, soldati e agenti di polizia hanno impedito a
centinaia di monaci buddisti di entrare nella pagoda
Mahamuni Paya, innalzando una barricata e completando
l’opera con il filo spinato. Il corteo, però, non si è
arreso, cambiando direzione e dirigendosi verso il centro
cittadino. Ma anche qua l’esercito ha spiegato le sue
forze e impedito ai manifestanti l’accesso ai templi.
L’esercito, in realtà, aveva iniziato a lavorare fin dalla
notte. Ad essere arrestati nell’ex Rangon, durante il
coprifuoco che concede mano libera all’esercito, due
figure pubbliche: Winn Naing, uomo politico moderato, e
l’attore Zaganar. Il primo sarebbe stato catturato dopo
aver offerto cibo al alcuni monaci buddisti. Accusa simile
a quella rivolta a Zarganar che, insieme ad altri
intellettuali birmani, garantiva beni essenziali ai
monaci.
La rivolta dei monaci, alla quale ieri si sono unite anche
altre frange della popolazione civile, ha avuto il merito
di portare all’attenzione delle potenze occidentali il
problema di un regime militare che dal 1988 viola
sistematicamente i diritti umani. Di fronte agli eventi di
ieri, il premier britannico Gordon Brown ha richiesto una
seduta straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu.
Bernard Kouchner, ministro degli Esteri della Francia (che
ha la presidenza di turno per il mese di settembre) ha
deciso di fissarla al più presto possibile, ossia alle 21
di ieri. Verosimilmente, George W. Bush non perderà
l’occasione per ribadire quando dichiarato già due giorni
fa: l’intenzione di inasprire le sanzioni economiche che
dal 1997 gli Stati Uniti praticano contro tutte le
esportazioni birmane, gli investimenti nel paese e
qualsiasi altro prodotto finanziario. Da parte europea non
si vedono segnali concreti e il dibattito all’Onu
difficilmente produrrà alcunché. Niente di nuovo e niente
di speciale, ma soprattutto niente di efficace. Del resto
la Birmania non produce petrolio…
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