L'Indonesia si prepara a rimborsare il suo debito verso il Fondo
monetario internazionale per rispondere con una politica finanziaria
drastica alla crisi che si è abbattuta sul mercato asiatico nei mesi
di aprile e maggio. La grave speculazione dei fondi investimento
bruciò in una sola giornata 200 milioni di dollari, molti listini
chiusero in anticipo per evitare il collasso dei titoli iscritti e
così anche dell'intera borsa asiatica.
Il crollo viene sfiorato ormai da decenni, e per tale motivo gli
"investitori istituzionali" si mostrano sempre diffidenti nei
confronti di mercati emergenti che non hanno trovato ancora una loro
stabilità, o sono comunque sottoposti all'ingerenza di entità
esterne sovranazionali sul governo. L'Indonesia, ultimo dei paesi
asiatici colpiti dalla crisi del 1997/98, si libererà così delle
prescrizioni politiche del FMI, che, nel momento in cui non sono
state rispettate hanno portato poi al ritiro dei fondi stessi.
Rimborseranno 3,5 miliardi di dollari dei 7,8 miliardi accumulati in
questi anni, grazie all'eccedenza di valute derivante dalla bilancia
commerciale attiva, anticipando così la scadenza nel 2010 in modo da
ottenere un risparmio di 200 milioni di dollari di interessi e
ridare una più grande autonomia al governo.

A partire dal 1997, quando il FMI ha approvato in favore
dell'Indonesia un finanziamento di 7,3 miliardi di dollari, sono
state imposte una serie di misure destinate a stabilizzare
l'economia, come una politica monetaria e fiscale restrittiva, con
particolare attenzione alla salute del settore bancario e del
mercato borsistico. Le speculazioni sulla rupia aumentano, e così il
governo decide di acconsentire ad ulteriori misure di
ristrutturazione del settore bancario con maggiore liberalizzazioni
per i pagamenti all'estero. Ciò nonostante il FMI taglia di 3
miliardi il finanziamento,per via del non rispetto dei parametri
concordati precedentemente sui correttivi al sistema bancario.
L'Indonesia firma così l'ennesimo memorandum, e il presidente della
Banca Centrale dà le dimissioni nel maggio del 1998, ottenendo però
un 1 miliardo di dollari, e una serie di accordi bilaterali con i
creditori esteri. Su tale scia del governo continuano i
finanziamenti, anche da parte del Giappone, che si arrestano nel
momento in cui si interrompe la serie di riforme al sistema
bancario, fino al punto che scoppia un grave scandalo di corruzione
della Banca Bali che vede coinvolto anche il governatore della Banca
Centrale. Così nel gennaio del 2000 il governo si impegna a
mantenere un tasso di inflazione tra il 5% e l'11%, per ottenere un
ulteriore finanziamento. Il resto è storia abbastanza conosciuta,
perché la storia si è protratta barcamenandosi tra speculazioni e
finanziamenti, sino a conoscere il crollo di questi anni e la paura
che nei prossimi shock sarebbe stato un trauma irreparabile. La
risposta di questo governo ha un perché molto profondo, forse è
andato a intervenire su quella che tutti aspettavano come crisi
asiatica del nuovo millennio.

Ormai
nessuno crede ad una ripetizione della crisi asiatica, però il FMI
non accetta la proclamazione dell' Indipendenza del Governo,
nonostante i partner asiatici vicini abbiano visto questa decisione
traumatica ma non nociva. Le agenzie di rating internazionale hanno
compreso che è stata una decisione politica, prima di essere
economica, in quanto l'ingerenza nel settore bancario o monetario ha
le sue ripercussioni soprattutto sul lato della spesa sociale.
Il Governatore della Banca Centrale Indonesiana si dichiara
soddisfatto, potendo ora operare con indipendenza senza la necessità
di una supervisione, o della necessità di dismettere imprese
pubbliche ai privati. Anche se, alcuni analisti sono convinti che
non si riuscirà a migliorare la situazione e che i politici
continueranno a seguire la politica economica fissata dagli standard
del FMI.
La manovra ha comunque destato preoccupazioni tra gli investitori
che paventano il rischio che i politici perdano di vista gli
interessi speculativi, dando più peso al deficit di bilancio
rispetto che alle fughe di capitali. Infatti una delle prime
decisioni prese è stata quella di fermare la privatizzazione, punto
chiave del programma FMI per risanare il bilancio senza per tenere
conto delle scelte politiche, proponendo anche il riscatto delle
azioni delle ditte importanti per la politica sociale. In questi
anni è stato fatto inoltre un abuso della leva dei tassi di
interesse per dare sicurezza ai mercati e togliere il panico
provocato dalla crisi economica, derivante però dalle speculazioni
petrolifere.
La risposta alla crisi in realtà viene dall'intera regione che ha
intenzione di continuare a sviluppare la sua rete regionale di
scambi bilaterali mediante il baratto e le compensazioni, in modo da
utilizzare le reciproche risorse, che fungerebbero da finanziamento
alle importazioni, e difenderebbero la loro moneta in quanto
eviterebbero il movimento di valute tra gli stati e dunque una loro
svalutazione in caso di eccesso di offerta.La nuova strada che si
apre all'Indonesia una realtà soprattutto di cooperazione regionale,
al di fuori dei sistemi del FMI, in quanto il rimborso anticipato
non elimina del tutto il rischio che il problema si ripresenti.
Questa può essere un'ipotesi giusta, se si pensa all'esperienza in
Sud America, in cui l'Argentina è riuscita a pagare il proprio
debito e ha poi cominciato ad intessere dei rapporti sempre più
stretti con gli altri Stati Sudamericani con l'intenzione di creare
un polo sia energetico che monetario. Molti hanno già accennato alla
creazione di una borsa e di un mercato finanziario panasiatico,
sulla scia della proposta di quella Europea. Occorrerà tuttavia
tener conto dell'introduzione della moneta elettronica che
trasformerà in bit le transazioni, e farà cambiare anche il contesto
in cui avverranno i controlli, le limitazioni, gli embarghi
finanziari. Se oggi si può pagare un debito e onorare il proprio
creditore, domani ciò non basterà per rendere indipendente uno
Stato, in quanto il sistema sarà virtuale e dunque invisibile. In
Europa ciò che tiene insieme gli Stati non è il debito verso il FMI,
né l'euro, ma è il sistema di leggi dell'Ue, che troverà il suo
braccio esecutivo nel cervello che gestirà la Borsa Europea.
Cambieranno gli strumenti, ma forse non l'esito se si incorrerà
sempre nello sbaglio di delegare ad un cervello centrale il
controllo di tutti i poteri degli Stati.
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