Lo "spacchettamento"di
diversi ministeri attuato dal nuovo Governo Prodi ha portato alla nascita
del "ministero delle Politiche europee e commercio internazionale": di fatto
è stato ripristinato il vecchio ministero per il Commercio con l’estero,
peraltro arricchito dalle competenze che nel precedente esecutivo facevano
capo al ministero delle Politiche comunitarie.
È una ulteriore sconfessione della riforma Bassanini, la quale, tra i vari
accorpamenti, aveva unito il Commercio estero al ministero dell’Industria,
sulla base del presupposto che le politiche commerciali costituissero una
parte sempre più rilevante delle politiche industriali di un paese. La
scelta appariva coerente con quella, peraltro discutibile, effettuata dallo
stesso ministro, di inserire nella riforma del Titolo V della Costituzione
anche la promozione commerciale all’estero da parte delle Regioni.
Il quadro attuale
Come valutare questo nuovo assetto organizzativo voluto
dal Governo Prodi? La risposta non è semplice, né credo esista una soluzione
ottimale al problema. Negli altri paesi, le competenze delle politiche
commerciali sono assegnate per lo più ai ministeri dell’Industria e in
qualche altro caso ai ministeri degli Esteri. Tuttavia, l’importanza che il
commercio estero riveste in un paese come l’Italia, nonché la complessità
del nostro sistema istituzionale, fa sì che la scelta di un ministero a se
stante non debba necessariamente essere considerata una soluzione
inefficiente.
In realtà, il problema principale non appare tanto quello di stabilire in
quale ministero debbano confluire le burocrazie competenti, quanto piuttosto
di individuare un assetto complessivo delle politiche per
l’internazionalizzazione più ordinato ed efficiente di quello attuale. Da
questo punto di vista, c’è molto da fare e c’è da sperare che il nuovo
Governo proceda con decisione.
In questi ultimi anni si è assistito a una poderosa crescita del
numero degli attori pubblici impegnati a vario titolo nell’attività di
promozione all’estero, con nove enti e con ben sette ministeri che
svolgono azioni in favore dell’internazionalizzazione del paese. A livello
locale, poi, l’attivismo intorno a eventi promozionali ha assunto caratteri
patologici: non solo le Regioni con proprie agenzie e spesso con
sportelli all’estero, ma anche province e comuni, per non parlare delle
Camere di commercio locali.
Questo fermento determina la dispersione delle risorse pubbliche in
una miriade di attività la cui utilità effettiva si rivela pressocché nulla
e che certo non contribuisce a rafforzare l’immagine del "sistema Italia"
all’estero. Di recente, qualche passo avanti è stato fatto: l’accordo tra
ministero degli Esteri, delle Attività produttive e Istituto per il
commercio estero per la creazione di sportelli unici all’estero, sta
portando in alcuni paesi a un graduale accentramento logistico delle diverse
istituzioni in una unica sede operativa.
Tuttavia, un altro elemento di particolare debolezza caratterizza le
politiche per l’internazionalizzazione: l’attuale assetto
giuridico-amministrativo che governa le istituzioni deputate allo scopo.
Il processo decisionale è eccessivamente lento e caratterizzato da numerosi
e spesso inutili passaggi burocratici: tavoli, commissioni, cabine di regia
vengono istituite a livello ministeriale con troppa frequenza finendo per
rallentare e complicare decisioni che per loro natura dovrebbero essere
agili e tempestive. Inoltre, meccanismi decisionali basati su modalità di
tipo "concertativo" rendono più difficile scelte selettive e strategiche
favorendo, al contrario, meccanismi inerziali basati su una distribuzione a
pioggia delle risorse su un numero elevato di azioni promozionali.
Allo stesso tempo, le attuali norme che regolano i rapporti di lavoro
all’interno della pubblica amministrazione e un elevato tasso di
sindacalizzazione ostacolano un processo di selezione dei nostri
rappresentanti nei vari uffici italiani all’estero basato esclusivamente sul
merito.
La soluzione più efficiente di questi problemi sarebbe, presumibilmente,
quella di trasformare enti come l’Ice e l’Enit da enti pubblici non
economici in agenzie governative a capitale pubblico, sottoposte a una
attenta valutazione di efficacia e di efficienza da parte di un organismo
neutrale.
Linee per una riforma
Una riforma del commercio estero italiano dovrebbe perciò
essere incentrata su quattro linee di intervento.
1) Riportare allo Stato centrale la competenza esclusiva della
promozione internazionale: le Regioni contribuirebbero comunque alla
definizione delle linee guida nazionali e potrebbero competere liberamente
nell’attrazione degli investimenti dall’estero e nel marketing territoriale.
2) Creare una
cabina di regia presso la presidenza del Consiglio per la
formulazione delle linee guida e per il controllo sull’attività degli enti.
Vi parteciperebbero sia i ministeri e gli enti interessati che i
rappresentanti del mondo imprenditoriale e delle Regioni.
3) Trasformare l’Ice in una agenzia governativa con competenze
esclusive su promozione del commercio e investimenti italiani all’estero e
degli investimenti esteri in Italia, promozione del turismo. Ciò
implicherebbe l’eliminazione di "doppioni" (Enit, Buonitalia) e un più
stretto collegamento con le agenzie specializzate nella promozione del
territorio.
4) Proseguire nella creazione di "sportelli unici" all’estero con la
partecipazione di tutti i soggetti coinvolti e nel rispetto delle relative
specializzazioni. Si richiederebbe la chiusura degli uffici esteri delle
Regioni le quali, tuttavia, potrebbero avere una presenza all’interno degli
"sportelli Italia". Le ambasciate e i consolati, la cui distribuzione sul
territorio andrebbe ridisegnata, dovrebbero concentrarsi su attività di
diplomazia economica, lasciando agli altri enti compiti di diplomazia più
strettamente commerciale di promozione e di consulenza.
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