Spicca un dato fondamentale nel panorama dell’economia internazionale di
questi ultimi venti anni. Come illustrato dal grafico qui sotto, dai primi anni
Ottanta a oggi, la quota in rapporto al Pil delle passività finanziarie (foreign
asset liabilities) degli Stati Uniti verso il resto del mondo è aumentata
di più del 400 per cento, arrivando finora attorno all’87 per cento
del Pil. (1)
Parallelamente, la quota di attività finanziarie ha raggiunto il 62 per
cento , con una posizione netta pari a -25 per cento.

Due perché per un deficit
Questi numeri ci suggeriscono una conclusione semplice, ma centrale.
L’economia internazionale è molto più sensibile oggi rispetto al passato
alle fluttuazioni dei prezzi delle attività. In particolare, variazioni nei
tassi di cambio possono determinare trasferimenti di ricchezza tra paesi
impensabili fino a qualche decennio fa.
L’accumulazione netta di passività finanziarie è uno dei due
motori principali che hanno guidato l’inasprirsi del deficit di parte corrente
della bilancia dei pagamenti americana nell’ultimo ventennio. L’altro
fattore, ben noto protagonista soprattutto degli ultimi quattro anni, è il
deficit fiscale federale, pilotato dalle recenti politiche espansive
dell’amministrazione Bush. Il surplus (deficit) della bilancia dei pagamenti
è la differenza tra risparmi (privati e pubblici) e investimenti dell’intera
economia. Mentre nei primi anni Novanta l’inasprirsi del deficit aveva natura
"benigna" (cioè dipendeva da un’eccezionale dinamica positiva degli
investimenti), oggi è guidato da una forte caduta del risparmio pubblico, cioè
dall’inasprirsi del deficit fiscale. Ma anche la prima fase benigna,
quella del boom dell’information technology e della scommessa sulla nuova
economia americana, presenta oggi il conto. Il dato sulle passività finanziarie
sottolineato all’inizio non è che l’altro lato della medaglia del boom
degli investimenti dei primi anni Novanta.
Il processo di aggiustamento
Rudimenti di economia internazionale ci suggerirebbero che questo stock di
passività finanziarie richieda prima o poi di attivare un surplus della
bilancia commerciale, cioè dal lato del saldo tra importazioni ed esportazioni
di beni. In un interessante studio, Pierre-Olivier Gourrinchas e Hélène Rey ci
dicono invece che le cose non stanno proprio così. (2)
Nel breve e medio periodo il fattore primario che guida l’aggiustamento del
conto corrente è quello dei rendimenti attesi sulle attività finanziarie.
In particolare, in questo caso, lo spread tra il rendimento atteso sulle attività
americane detenute dal resto del mondo e le attività estere detenute dagli
americani. In termini ancora più semplici, questo significa un canale di
aggiustamento che opera soprattutto tramite variazioni del tasso di cambio
nominale. Il riequilibrio dal "lato reale" (cioè della bilancia
commerciale, importazioni ed esportazioni di beni) sembra giocare un ruolo solo
nel lungo periodo (e, soprattutto, in modo inversamente proporzionale
all’aggiustamento dal lato finanziario).
Basti un dato per renderci conto delle proporzioni. Poiché tutte le passività
finanziarie detenute dagli americani sono espresse in dollari mentre circa
la metà delle attività sono espresse in valuta estera, un deprezzamento
del 20 per cento del dollaro (in termini effettivi, cioè in media rispetto al
resto del mondo) rappresenta un trasferimento di ricchezza verso gli Stati Uniti
dell’ordine di quasi il 7 per cento del Pil.
Le implicazioni sono molteplici. Innanzitutto l’attuale deprezzamento del
dollaro appare come un fatto quasi fisiologico. Non solo, ma questa dinamica,
dati i numeri in gioco, è solo agli inizi. Molto spesso, per sdrammatizzare la
situazione, si paragona l’attuale scenario atteso di deprezzamento del dollaro
con quello che avvenne nella seconda metà degli anni Ottanta, considerato quasi
neutrale. Appare qui chiaro che gli scenari sono molto diversi. La "via
finanziaria" al riequilibrio della bilancia dei pagamenti americana che
possiamo attenderci nel futuro prossimo apre scenari di redistribuzione
internazionale della ricchezza impensabili fino a venti anni fa.
Nuovi dilemmi per la politica monetaria
Riconoscere esplicitamente questi "effetti ricchezza" generati
dalle fluttuazioni dei tassi di cambio diventa importante anche per la condotta
della politica monetaria, sia della Bce che della Fed. In linea di principio,
interdipendenze finanziarie di così grande scala suggeriscono ragioni di coordinamento
delle politiche monetarie e di cambio. Dall’altro lato, però, per evitare
probabili eccessi di turbolenza e distorsione delle aspettative in mercati
finanziari altamente reattivi, diventa difficile pensare a una condotta
sistematica di intervento sui mercati da parte delle banche centrali. Nuovi,
interessanti dilemmi dell’integrazione finanziaria mondiale.
(1) Per attività (passività) finanziarie nette si
intende un portafoglio costituito essenzialmente da debito (emesso sia da
imprese che dal governo), azioni e investimenti diretti (FDIs).
Per saperne di più:
(2) Si veda P-O Gourrinchas e H. Rey, "International Financial
Adjustment", http://www.princeton.edu/%7Ehrey/ifasept04.pdf.
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