La dicotomia
Guerra-Pace attraversa l’intera storia del pensiero. Da Eraclito ad
Einstein. Uso il termine pacifismo per indicare la corrente di pensiero che
considera la Pace un bene da perseguire, costi quel che costi, trattandosi
di valore positivo assoluto ed universale. Ovviamente,i filosofi non
pacifisti non sono da considerarsi, per questo, guerrafondai.
Essi,
per la massima parte, considerano la Guerra fenomeno naturale e,
pertanto, ineliminabile. Purtrioppo l’osservazione, anche
superficiale della natura, pone in evidenza i rapporti di violenza che
dominano la vita animale e, talvolta, anche vegetale (piante
carnivore)
I Cristiani
In epoca
imperiale i cristiani si oppongono alla visione ellenistico-romana
della violenza ed alla pena di morte, inconciliabili con la fede. Nei primi
tre secoli la contestazione si manifesta con forme d’opposizione
allo Stato del tutto pacifiche. Con i Cristiani nasce il pacifismo
antimilitaristico fondato sulle beatitudini evangeliche. Essi si rifiutano
di assistere alle esecuzioni dei condannati a morte. Si mostrano avversi
alle azioni armate. L’espansionismo militare è ritenuto spietata guerra
di conquista. In opposizione agli ideali e ai modelli degli eroi militari
della tradizione romana, costruiscono l’immagine del miles Dei,
chiamato a difendere la loro libertà dall'avversa politica degli
imperatori; a subire, se necessario, la tortura e la pena di morte essendo
la loro eredità non gloria patriottica ma sopravvivenza presso Dio
nell’aldilà.
Possiamo, quindi,
affermare che il pacifismo e la non violenza sono e sono stati aspetti
fondamentali del Cristianesimo.
Sant’ Agostino
(354 d.C.-430 d.C.) afferma che la pace è aspirazione universale
degli uomini ed è estensibile agli animali. Essa rappresenta la legge
stessa, sia della vita, intesa come convivenza civile, sia dell’universo,
armonicamente ordinato nella sua grandezza. La Pace, in quanto tranquillitas
ordinis, è connaturata a tutta la creazione animata o inanimata.
Durante il XVI
secolo, caratterizzato dalle guerre di religione scatenatesi in Europa a
seguito della frattura tra Chiesa Cattolica e Chiesa Protestante, si
diffonde in molti Stati la corrente filosofica del pacifismo umanistico, che
vede tra i suoi esponenti Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro.
Tema dominante
del pensiero di Erasmo è certamente evidenziare le nefandezze della guerra
e diffondere gli insegnamenti di pace del messaggio evangelico. Questo
argomento, discusso dal pensatore olandese negli "Adagia", sarà
poi ripreso poi nel 1517 nell’opuscolo pacifista del "Querela
pacis"..
Kant afferma che
"La guerra è il male peggiore che affligge la società umana ed è
fonte di ogni male e di ogni corruzione morale.[…]. Ad essa non è
possibile fornire una cura assoluta e immediata".
La forma
repubblicana è, quindi, l’unica che possa garantire la pace perpetua,
giacché essa è fondata su principi di libertà dei membri della società
(perché uomini); su principi della dipendenza da un’unica legislazione
comune (in quanto sudditi) ; sulla legge dell’uguaglianza di tutti (in
quanto cittadini)
L’istituzione
repubblicana è da preferirsi anche poiché lo Stato, guidato da un tiranno,
non consente di perseguire l’obiettivo della pace
Einstein è
pacifista dall’adolescenza fino al 1933, quando l’avvento di Hitler lo
spinge a mutare la propria ideologia; il suo pacifismo trova origine in
"un sentimento istintivo", "perchè l’omicidio è
ripugnante" ed ha le radici in un profondo orrore per ogni forma di
odio e crudeltà.
Dopo la conquista
del potere da parte di Hitler, egli muta la sua concezione pacifista.
Si definisce
"un pacifista militante ma non assoluto", contrario all’utilizzo
della forza in qualsiasi circostanza, salvo contro un nemico che persegue la
distruzione della vita come fine in sè.
I
FILOSOFI NON PACIFISTI ED I TEORICI DELLA GUERRA
Uno dei primi
filosofi dell’antichità che accenna al problema della guerra è ERACLITO.
Egli afferma: "Polemos (guerra) è di tutte le cose padre, di tutte re,
e gli uni rivela dei e gli altri uomini, gli uni fa schiavi e gli altri
liberi”
Per Eraclito non
può esistere una pace totale, assoluta ed eterna, esiste una pace perché
prima si è verificata una guerra, ed il fatto che ci siano pace e guerra
crea l’armonia nel divenire. stabilità, euritmia, equilibrio,
termini contrari che si completano secondo la legge del logos. L’armonia
che si realizza tra le cose presenti nella realtà consiste, infatt,i
nell’UNITA’ e IDENTITA’ degli opposti in tensione tra loro. Eraclito
sostiene che non si tratta solo di una successione di un opposto
all’altro, ma verità che attribuisce alla guerra un ruolo particolare: il
simbolo di tutto ciò che avviene nell’universo
PLATONE
concepisce la guerra indispensabile strumento per la più generale
arte politica; la guerra non è considerata da Platone qualcosa di negativo
o condannabile ma ciò che partecipa dell’attività di governo e ciò che
partecipa anche al mantenimento dell’ordine e della pace all’interno
della polis. Egli riconosce la naturalità e quindi la non eliminabilità
definitiva della guerra.
Per Machiavelli
la guerra è sia strumento di difesa sia di conquista, se necessario, e su
di essa si fonda l’esistenza stessa della Signoria
In questo brano
tratto da “Il Principe” è ben evidente che Machiavelli considera la
Guerra strumento indispensabile per il raggiungimento dei fini politici
"Un principe
non deve avere altro obiettivo, altro pensiero e altro fondamentale dovere
se non quello di prepararsi alla guerra e a tutto ciò che essa comporta.
Questa infatti è la sola prerogativa che ci si aspetta da chi comanda.
[…] Chi è
debole militarmente diventa disprezzabile...
Machiavelli, non
dimentichiamolo, vede l'universalità degi uomini, malvagia.
Il
Principe, per raggiungere il suo scopo deve tenere in debito conto
questa realtà. La guerra.è, quindi, inalienabile strumento per la
conquista ed il mantenimento del potere politico.
Su di essa e
sulla violenza si fonda l’esistenza stessa della Signoria; per Machiavelli
privarsi dello strumento guerra equivale a dichiarare morto lo stesso
principato
Clausewitz.
Per comprendere
l’importanza di questo grande filosofo occorre tener presente che
Benedetto Croce lo riterrà proprio maestro. Credo che sia il filosofo che
abbia analizzato cartesianamente il fenomeno guerra; il filosofo
maggiormente studiato da strateghi ed apprendisti strateghi, anche ai giorni
nostri.
I suoi scritti,
unitamente a quelli di Sun Tzu.e Machiavelli, sono oggetto di profondo
studio nelle più rinomate Università del Mondo che insegnano Management a
chi è destinato ad assumere elevate responsabilità politiche e
amministrative, sia pubbliche, sia private.
Il Mondo
Accademico, e non solo, si è reso conto dell' analogia tra i problemi che
pone la Guerra e quelli amministrativi in genere, carettarizzandosi essi per
l'elevato grado di incertezza conferitogli dalla imprevedibilità di un gran
numero di variabili.
Ove c'è scontro
tra volontà contrapposte la casualità è dominante come in Guerra,
considerata da Clausewitz “regno dell'imprevisto".
Egli definisce la
guerra: "Atto di forza che ha per scopo di costringere l’avversario a
sottomettersi alla nostra volontà".
Clausewitz
assimila la guerra ad un camaleonte per evidenziarne la mutevolezza, il
polimorfismo e l’imprevedibilità.
Egli ne
identifica i tre elementi compositivi in un triedro complesso, distinguendo
nel prodotto della loro combinazione tre diverse tendenze:
I. il "cieco
istinto" nella violenza, nell’odio e nell’inimicizia;
2. la
"libera attività dell’anima" nella probabilità e nel caso
3. la "pura
e semplice ragione" nella subordinazione allo strumento politico
Da ciò discende
una definizione più precisa dell’idea di guerra: essa è principalmente e
imprescindibilmente "violenza", non è possibile prevederne gli
esiti e ciò le conferisce "imprevedibilità", è, infine, calcolo
razionale.
Benché
l’applicazione di questi tre principi rispettivamente al popolo , al
condottiero e al suo esercito, e al governo, sia assolutamente riduttiva,
essa ci consente di dedurre e di comprendere non solo la nota formula
"La guerra non è che la continuazione della politica con altri
mezzi" quanto una serie di caratteristiche comuni ad ogni conflitto
imposte dalla realtà alla teoria.
Divide le guerre
in due grandi categorie a seconda dei finì che si pongono:
• guerre che si
propongono di "atterrare l’avversario, sia distruggendolo
politicamente, sia mettendolo semplicemente nell’impossibilità di
difendersi, imponendogli quindi la pace che si vuole" ;
• guerre che
hanno come obiettivo "qualche conquista lungo le frontiere di uno
stato, sia che si intenda conservarla, sia che si voglia sfruttarla come
mezzo vantaggioso di scambio nelle trattative" .
Secondo
Clausewitz, le guerre nella storia, pur appartenendo tutte ad uno stesso
"genus", si manifestano in una pluralità di situazioni
contingenti che possono essere ricondotte a diverse e specifiche
configurazioni locali, determinate dal livello di sviluppo dei soggetti
coinvolti nella guerra e dalla loro struttura organizzativa.
Nel corso dell'
evolversi del pensiero occidentale, il contrasto tra la visione
Pacifista e non pacifista non si è mai attenuato, e tutt'ora pervade le
concezioni filosofiche, ideologiche e politiche.
Chi ha ragione?
Lo sa solo Dio. Forse tutti hanno ragione. La tragedia umana , è proprio in
questo, altrimenti sarebbe Commedia.
Giuseppe
BrindisiLa dicotomia Guerra-Pace attraversa l’intera storia del pensiero.
Da Eraclito ad Einstein. Uso il termine pacifismo per indicare la corrente
di pensiero che considera la Pace un bene da perseguire, costi quel che
costi, trattandosi di valore positivo assoluto ed universale. Ovviamente,
i filosofi non
pacifisti non sono da considerarsi, per questo,
guerrafondai.
|