Non c'è più un'alternativa tra rilancio e fallimento: l'Alitalia ha già
imboccato la strada della procedura di insolvenza, che si concluderà con la
vendita degli asset e il licenziamento dei lavoratori. Ma il fallimento avviene
con una procedura particolare. Che dà alla cordata costituita da Intesa San
Paolo uno straordinario potere contrattuale, frutto della ricerca a qualsiasi
prezzo dell'italianità. Mentre tutti i costi dell'operazione ricadono sui
contribuenti, si regala così un'altra fetta del mercato nazionale, con ampi
vantaggi oligopolistici, ai soliti noti.
Per quello che sappiamo oggi, lo scenario dell'immediato futuro di Alitalia si
snoda in tre passaggi: in breve tempo, la vendita da parte del commissario di
Alitalia delle rotte e degli aerei; in un tempo successivo, la vendita e il
realizzo del resto dell'attivo; come ultimo atto, la distribuzione ai
creditori di quanto è stato ricavato. Dato che l'attivo realizzato sarà
verosimilmente inferiore ai debiti, esso verrà distribuito in parti uguali a
tutti i creditori. Tentiamo di verificare, alla luce della legge, le
affermazioni più frequentemente lette sui media in questi giorni.
04/09/2008 Insolvenza alitaliana (Pietro Reichlin, http://www.lavoce.info)
Non c'è più un'alternativa tra rilancio e fallimento: l'Alitalia ha già
imboccato la strada della procedura di insolvenza, che si concluderà con la
vendita degli asset e il licenziamento dei lavoratori. Ma il fallimento
avviene con una procedura particolare. Che dà alla cordata costituita da
Intesa San Paolo uno straordinario potere contrattuale, frutto della ricerca
a qualsiasi prezzo dell' italianità. Mentre tutti i costi dell'operazione
ricadono sui contribuenti, si regala così un' altra fetta del mercato
nazionale, con ampi vantaggi oligopolistici, ai soliti noti.
È ormai chiaro che l’offerta Air France-Klm per Alitalia
dello scorso marzo, rifiutata dai sindacati e da Silvio Berlusconi,
era molto migliore dell’attuale piano di salvataggio predisposto da
Intesa San Paolo. Gli azionisti e i creditori avrebbero ottenuto un
sia pur limitato risarcimento, gli esuberi sarebbero stati
probabilmente inferiori e parzialmente a carico della compagnia
franco-olandese, non si sarebbe rischiata una procedura di infrazione
delle regole comunitarie, non si sarebbero gettati al vento 300
milioni di prestito ponte e non avremmo dovuto legare le mani
all’Autorità antitrust.
Arrivati al punto in cui siamo, però, l’alternativa al piano di Intesa
San Paolo non è la vendita ad Air France-Klm alle condizioni proposte
nel marzo 2008. Questa opzione è ormai scaduta e irripetibile. Non
resterebbe, allora, che il fallimento della nostra
compagnia di bandiera, un evento assai peggiore. Corrado Passera e
soci appaiono, dunque, come chi è in grado di salvare il salvabile,
prendendo ciò che vi è di buono e redditizio della vecchia compagnia e
rilanciando il marchio Alitalia.
UNA PARTICOLARE PROCEDURA DI FALLIMENTO
In realtà, non esiste più un’alternativa tra rilancio e fallimento.
L’Alitalia ha già imboccato la strada della procedura di insolvenza,
che si concluderà con la vendita degli asset e il licenziamento dei
lavoratori. Al contrario di ciò che accadde per Parmalat, la nostra
compagnia di bandiera non è un’impresa sostanzialmente sana, ma
finanziariamente dissestata. Può continuare a essere operativa (al
riparo dalle azioni dei creditori) solo per il tempo necessario alla
sua liquidazione.
Il piano implica, piuttosto, che il fallimento di Alitalia avvenga
mediante una procedura particolare. Il governo nomina un commissario
straordinario con il mandato di vendere a trattativa privata alcuni
asset (inclusi gli slot) e trasferire parte del personale della
vecchia compagnia a una nuova compagnia già pronta per l’acquisto.
Tutto ciò che non interessa alla newco, incluso il personale in
esubero, rappresenta un costo a carico esclusivo dei
contribuenti italiani. In base a questa transazione, sembra
che il commissario non potrà restituire alcun debito (compreso il
prestito ponte di 300 milioni) e che il marchio Alitalia verrà ceduto
a costo zero.
Mostrando qualche rimorso, il governo annuncia che troverà i soldi per
risarcire i piccoli risparmiatori. Dunque, chi non si è mai occupato
di Alitalia, neanche per sapere quanto valeva sul mercato, partecipa
alle perdite: i 300 milioni di prestito ponte che non saranno mai
risarciti, il mancato incasso per le azioni Alitalia e i costi per
assorbire gli esuberi di personale. Chi, invece, ha deciso di
rischiare, consapevolmente, i propri soldi in Alitalia sarà
parzialmente compensato. Èdifficile comprendere quale idea di
giustizia sia alla base di tale decisione. Infine, poiché la newco
assorbirà anche Air One e il governo ha deciso di bloccare l’Autorità
antitrust (per ragioni di “rilevante interesse nazionale”), essa sarà
in grado di garantirsi a costo zero un “premio da monopolio”
sulla tratta Roma-Milano.
COSTI VISIBILI E INVISIBILI
Sembra allora più corretto riformulare la domanda iniziale
(“rilancio o fallimento?”) nel modo seguente: “quale procedura sarebbe
stato meglio adottare per il fallimento di Alitalia?” La procedura
adottata dal governo Berlusconi ha la caratteristica di trasferire
tutti i possibili ricavi, al netto dei costi, che deriveranno dalla
liquidazione della vecchia Alitalia, più altri ricavi generati
surrettiziamente dal governo (premio di monopolio) alla nuova
compagnia di bandiera. In altre parole, Corrado Passera, Roberto
Colaninno e soci sono nelle condizioni di fare un’offerta “prendere o
lasciare” al commissario straordinario, che dovrebbe agire
nell’interesse di creditori e azionisti della vecchia Alitalia, in
qualità di unico acquirente. Questi ricavi saranno sottratti
direttamente agli azionisti dell’Alitalia e ai contribuenti in
generale.
Per quale ragione la newco dispone di questo grande potere
contrattuale? Non sarebbe stato meglio avviare la procedura
di insolvenza immediatamente dopo il rifiuto dell’offerta di Air
France-Klm, cercando subito nuovi acquirenti? Perché non dare mandato
al commissario straordinario di mettere Passera e soci in
concorrenza con altri e cercare di vendere gli asset al
prezzo più alto? Siamo sicuri che altre compagnie aeree non fossero
disponibili a offrire condizioni migliori per l’azionista? L’advisor
di un’azienda di cui il ministero del Tesoro possiede la maggioranza
del capitale, dovrebbe essere in sintonia con gli interessi dei
contribuenti italiani, e avrebbe dovuto avere questo mandato. Con
questa procedura, non si capisce come il governo possa aspettarsi
l’applauso del sindacato e perché quest’ultimo dovrebbe essere
contento, avendo già rifiutato solo pochi mesi fa un’offerta migliore
per lavoratori e contribuenti.
Un motivo del grande potere contrattuale della cordata costituita da
Intesa San Paolo è la ricerca a tutti i costi dell’italianità.
Altri parlano degli effetti positivi della compagnia di bandiera sul
mercato turistico nazionale. Ma quale contributo concreto può dare un’Alitalia
italiana alla scelta dei turisti stranieri di passare le vacanze sul
nostro territorio? Il buon senso dovrebbe suggerire che sia più
importante migliorare le infrastrutture, tra cui la
qualità degli aeroporti e dei collegamenti. Tra le altre cose, sembra
evidente che la nuova Alitalia non sarà mai un concorrente serio sulle
tratte internazionali. Secondo Passera, l’operazione “è nell’interesse
dei consumatori perché migliora il servizio e aumenta l’efficienza”.
Ma Passera si riferisce all’efficienza della sua newco, non
all’efficienza dell’industria del trasporto aereo italiano. Se
Alitalia fosse stata acquisita da una compagnia aerea più redditizia,
avremmo ottenuto, come minimo, lo stesso risultato. L’unica differenza
è che quella compagnia avrebbe pagato qualcosa di più allo Stato e
agli azionisti privati. Ovviamente, e forse questo è il problema che
preoccupava Berlusconi, i profitti aziendali e i compensi per i
manager non sarebbero andati alla “cordata italiana”.
Ma l’operazione ha anche importanti costi “meno visibili”. Si regala
un’altra fetta del mercato nazionale, con ampi vantaggi
oligopolistici, ai soliti noti: un gruppo ristretto
di capitalisti che siede in centinaia di consigli di amministrazione e
spesso si trova in conflitto d’interesse. Da una parte comprano
servizi aeroportuali, dall’altra li vendono; da una parte fanno gli
advisor per vendere la vecchia Alitalia, dall’altra si presentano come
acquirenti; da una parte presiedono la Confindustria, dall’altra fanno
affari con il governo. Questi stessi capitalisti sono nei consigli di
amministrazione dei giornali, nella gestione delle autostrade, nelle
grandi banche nazionali o nelle costruzioni. Molti di essi dipendono
dalla politica, perché operano in regime di concessioni governative, o
perché sono interessati ai nuovi piani regolatori dei comuni e alle
opere pubbliche.
Questi dubbi non sono il prodotto di un’ideologia “mercatista”.
Il problema è più semplice: quante nuove opere pubbliche, quanti nuovi
incentivi alla ricerca, quanti altri buoni pasto per gli anziani,
quanti nuovi ammortizzatori sociali potevamo ottenere dal governo se
avessimo scelto una diversa procedura di insolvenza per Alitalia?
05/09/2008 Vero o falso nella procedura Alitalia (Lorenzo Stanghellini, http://www.lavoce.info)
Per quello che sappiamo oggi, lo
scenario dell'immediato futuro di
Alitalia si snoda in tre passaggi: in
breve tempo, la vendita da parte del
commissario di Alitalia delle rotte e
degli aerei; in un tempo successivo, la
vendita e il realizzo del resto
dell'attivo; come ultimo atto, la
distribuzione ai creditori di quanto è
stato ricavato. Dato che l'attivo
realizzato sarà verosimilmente inferiore
ai debiti, esso verrà distribuito in
parti uguali a tutti i creditori.
Tentiamo di verificare, alla luce della
legge, le affermazioni più
frequentemente lette sui media in questi
giorni.
1) “Con il
commissariamento, Alitalia è stata
salvata dal fallimento”
Falso. Il commissariamento, cioè
l’apertura della procedura di
amministrazione straordinaria con
la nomina di un commissario, è
il fallimento della grande impresa
(200 dipendenti e oltre), quando è
insolvente. Questa è la legge, con
varie modifiche, sin dal lontano
1979. Anche senza il recente
decreto-legge, dunque, Alitalia
sarebbe stata “commissariata”.
La legge prevede che in questi
casi l’attività d’impresa venga
proseguita, cioè che gli aerei
vengano fatti volare (ovviamente,
se c’è denaro per farli volare:
vedi punto 4). A parte il
controllo politico, non c’è
comunque grande differenza fra
amministrazione straordinaria e
fallimento. Effetto normale di
entrambe è:
a) la protezione del patrimonio
dell’impresa dalle azioni di
recupero dei creditori;
b) la prededuzione (o
“superpriorità”), rispetto a tutti
gli altri creditori, delle spese
sostenute dopo la sua apertura
(es. spese per il carburante degli
aerei);
c) la vendita dell’attivo e dei
beni (di qualsiasi tipo, anche gli
slot aeroportuali), senza i debiti
e licenziando i lavoratori che si
ritiene di licenziare (ovviamente,
seguendo le procedure di legge e
sostenendo tutti i costi e oneri
relativi);
d) il pagamento dei creditori,
alla pari fra loro (salvo ipoteche
o altri titoli di preferenza), con
tutto l’attivo che si è riusciti a
realizzare.
2) “Il decreto Alitalia
favorisce Compagnia Aerea
Italiana-CAI”
Vero. Ciò per due motivi: a)
perché consente al commissario una
vendita dell’azienda in tempi
brevissimi e a trattativa privata,
cosa impossibile fino al decreto
Alitalia, in quanto ogni vendita
presupponeva una gara che si
doveva concludere con assegnazione
dei beni al migliore offerente; b)
perché consente la vendita in
deroga all’antitrust, cosa
ugualmente impossibile fino al
decreto Alitalia, e CAI ha
(dovrebbe avere) anche le rotte di
Air One, con le quali creerà
posizioni dominanti o di puro
monopolio.
3) “Il decreto Alitalia
rende impossibile la vendita a
soggetti diversi da CAI”
Falso. Altri interessati,
purché in tempi brevi, potrebbero
manifestarsi e fare un’offerta
d’acquisto dell’azienda, che il
commissario dovrebbe valutare e
accettare, qualora la ritenesse
migliorativa (dal punto di vista
economico e/o occupazionale)
rispetto a quella di CAI. La
deroga antitrust (vedi punto 2),
inoltre, si applicherebbe
automaticamente a qualsiasi
acquirente, e dunque anche a una
linea aerea concorrente.
4) “Se non venderà
l’azienda a CAI entro pochi
giorni, Alitalia sarà costretta a
lasciare a terra gli aerei”
Falso. Gli aerei hanno bisogno
di carburante, che costa, e le
spese correnti di Alitalia sono
superiori alle entrate correnti.
Il commissario ha dunque necessità
di liquidità, e in cassa sembra
averne pochissima. Egli può
tuttavia prenderla a prestito da
nuovi finanziatori, garantendo
loro (come per legge) la
prededuzione, cioè il diritto ad
essere pagati per primi con il
realizzo dell’attivo. Anche Bondi,
poche settimane dopo il crack
Parmalat, ottenne un finanziamento
di oltre 100 milioni di euro (cfr.
comunicato-stampa Parmalat 4 marzo
2004), grazie al fatto che il
nuovo finanziamento avrebbe goduto
della prededuzione rispetto ai
miliardi di euro del debito
preesistente. All’estero si parla
in questi casi di
“debtor-in-possession financing”
o “post-petition financing”,
che negli Stati Uniti è la regola
per le linee aeree in Chapter 11
(procedura di ristrutturazione).
Un problema che il commissario
Alitalia potrebbe però trovarsi ad
affrontare riguarda l’incertezza
del quadro normativo che circonda
l’insolvenza Alitalia, anche
relativamente alla stessa
legittimità della procedura fino
ad oggi seguita.
5) “Le offerte CAI e
Air France sono equivalenti dal
punto di vista finanziario”
Falso. Per comprare Alitalia,
Air France metteva in campo denaro
da spendere in tre direzioni: a)
come prezzo per l’acquisto degli
aerei e delle rotte di Alitalia;
b) come onere per il pagamento dei
creditori di Alitalia; c) come
investimento nell’azienda
successivo all’acquisto.
Ipotizzando che gli investimenti
di cui alla lettera c) siano
uguali
fra i due piani, la diversità
radicale fra le due offerte sta
nelle lettere a) e b): mentre Air
France comprava le azioni e si
assumeva l’onere di pagare i
creditori (la società restava
infatti in vita), CAI compra (come
è normale, visto che Alitalia è
ormai società “fallita”) solo
l’attivo, senza debiti, e dunque
non paga nulla ai sensi della
lettera b). Non si sa quanto CAI
dovrebbe pagare come prezzo per
l’acquisto, ma anche se pagasse la
stessa cifra di Air France, il
denaro non andrà agli azionisti, e
non basterà nemmeno per i
creditori: con il passare dei
mesi, infatti, il dissesto si è
aggravato.
6) “Lo Stato avrebbe
perso anche con l’offerta Air
France”
Falso. Ad oggi, la perdita che
appare prevedibile per lo Stato
deriva dalle seguenti quattro
voci:
a) perdita come azionista (le
azioni sono ormai carta straccia);
b) perdita come creditore (sia
come sottoscrittore del prestito
obbligazionario, sia come
finanziatore del prestito-ponte di
300 milioni di euro concesso ad
aprile);
c) perdita per gli indennizzi ai
piccoli azionisti di Alitalia e
alla parte di piccoli
obbligazionisti che riterrà di
indennizzare;
d) oneri per le indennità erogate
ai lavoratori licenziati.
Se il piano Air France fosse
stato realizzato, non vi sarebbero
state né la perdita di cui al
punto a), né la perdita di cui al
punto b), né infine la perdita di
cui al punto c). Non è differenza
da poco. La perdita di cui al
punto d) vi sarebbe invece stata
anche con Air France, ma su questo
punto la comparazione dei piani
CAI e Air France è molto difficile
(la legge sulle indennità ai
lavoratori licenziati è stata
cambiata proprio con il decreto
Alitalia, e non si conosce inoltre
il numero definitivo degli esuberi
che vi saranno nei prossimi mesi).
7) “Sarebbe stato
meglio fare fallire Alitalia”
Non è esatto. La cosa non era,
infatti, possibile (vedi punto 1).
Se poi, al di là delle
sottigliezze giuridiche, con ciò
si volesse dire che gli aerei di
Alitalia dovevano smettere di
volare, il discorso resterebbe
comunque inesatto. Anche nel
fallimento (come in qualsiasi
procedura d’insolvenza del mondo)
il curatore ha, infatti, il dovere
di conservare il valore
dell’attivo per ridurre al minimo
la perdita dei creditori. Questo
implica che, seppur per lo stretto
necessario per trovare un
acquirente e al solo fine di
vendere l’azienda in attività e
non i suoi cocci, gli aerei di
Alitalia dovrebbero essere
mantenuti in volo fin quando ciò
sia possibile. E’ quanto accade,
ad esempio, a molti alberghi, che
falliscono ma continuano a
funzionare e ad avere ospiti, in
attesa della vendita dell’azienda.
8) “Nelle prossime
settimane Alitalia potrebbe
fallire”
Vero, in teoria. Se Alitalia
lasciasse a terra gli aerei e
fosse impossibile vendere
l’azienda in attività (vedi punto
7), la procedura di
amministrazione straordinaria
potrebbe convertirsi in quella di
fallimento (art. 4 comma 4 della
legge Marzano, come modificata per
Alitalia). In altre parole, una
grande impresa non può mai essere
dichiarata fallita come prima
opzione: se insolvente, essa viene
sempre e solo
assoggettata all’amministrazione
straordinaria. Questa procedura si
trasforma in un fallimento solo
nei rarissimi casi in cui la
situazione si riveli così
disastrosa che nessuno compra
l’azienda nemmeno depurata da
tutti i debiti. Ma è
un’eventualità non realistica per
Alitalia, non auspicabile e che in
più aggraverebbe il danno ai
creditori, i quali sono coloro che
traggono beneficio da un miglior
realizzo dell’attivo e che
soffrono invece le conseguenze di
uno peggiore.
9) “Sarebbe stato
possibile commissariare Alitalia
già ad aprile”
Vero. Con l’abbandono di Air
France, che a marzo 2008 (e forse
per colpa della complessa
procedura di privatizzazione) era
l’unico possibile acquirente, era
chiaro a tutti che Alitalia era
insolvente. Lo dicevano i numeri
che essa stessa pubblicava:
liquidità ormai minima e perdite
operative continue e ingenti. Il
prestito-ponte ha consentito che
il dissesto si aggravasse. In
molti crack italiani (Parmalat
in primis), l’aggravamento
del dissesto ha fatto scattare
azioni in sede penale e civile
(non rileva qui se tali azioni
siano fondate o meno)
http://www.lavoce.info
11/11/2008 Archivio Alitalia
Archivio Infrastrutture e Trasporti
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