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05/09/2008 Vero o falso nella procedura Alitalia. Insolvenza alitaliana (http://www.lavoce.info)

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Non c'è più un'alternativa tra rilancio e fallimento: l'Alitalia ha già imboccato la strada della procedura di insolvenza, che si concluderà con la vendita degli asset e il licenziamento dei lavoratori. Ma il fallimento avviene con una procedura particolare. Che dà alla cordata costituita da Intesa San Paolo uno straordinario potere contrattuale, frutto della ricerca a qualsiasi prezzo dell'italianità. Mentre tutti i costi dell'operazione ricadono sui contribuenti, si regala così un'altra fetta del mercato nazionale, con ampi vantaggi oligopolistici, ai soliti noti.

Per quello che sappiamo oggi, lo scenario dell'immediato futuro di Alitalia si snoda in tre passaggi: in breve tempo, la vendita da parte del commissario di Alitalia delle rotte e degli aerei; in un tempo successivo, la vendita e il realizzo del resto dell'attivo; come ultimo atto, la distribuzione ai creditori di quanto è stato ricavato. Dato che l'attivo realizzato sarà verosimilmente inferiore ai debiti, esso verrà distribuito in parti uguali a tutti i creditori. Tentiamo di verificare, alla luce della legge, le affermazioni più frequentemente lette sui media in questi giorni.


04/09/2008 Insolvenza alitaliana (Pietro Reichlin, http://www.lavoce.info)

Non c'è più un'alternativa tra rilancio e fallimento: l'Alitalia ha già imboccato la strada della procedura di insolvenza, che si concluderà con la vendita degli asset e il licenziamento dei lavoratori. Ma il fallimento avviene con una procedura particolare. Che dà alla cordata costituita da Intesa San Paolo uno straordinario potere contrattuale, frutto della ricerca a qualsiasi prezzo dell' italianità. Mentre tutti i costi dell'operazione ricadono sui contribuenti, si regala così un' altra fetta del mercato nazionale, con ampi vantaggi oligopolistici, ai soliti noti.

È ormai chiaro che l’offerta Air France-Klm per Alitalia dello scorso marzo, rifiutata dai sindacati e da Silvio Berlusconi, era molto migliore dell’attuale piano di salvataggio predisposto da Intesa San Paolo. Gli azionisti e i creditori avrebbero ottenuto un sia pur limitato risarcimento, gli esuberi sarebbero stati probabilmente inferiori e parzialmente a carico della compagnia franco-olandese, non si sarebbe rischiata una procedura di infrazione delle regole comunitarie, non si sarebbero gettati al vento 300 milioni di prestito ponte e non avremmo dovuto legare le mani all’Autorità antitrust.
Arrivati al punto in cui siamo, però, l’alternativa al piano di Intesa San Paolo non è la vendita ad Air France-Klm alle condizioni proposte nel marzo 2008. Questa opzione è ormai scaduta e irripetibile. Non resterebbe, allora, che il fallimento della nostra compagnia di bandiera, un evento assai peggiore. Corrado Passera e soci appaiono, dunque, come chi è in grado di salvare il salvabile, prendendo ciò che vi è di buono e redditizio della vecchia compagnia e rilanciando il marchio Alitalia.

UNA PARTICOLARE PROCEDURA DI FALLIMENTO

In realtà, non esiste più un’alternativa tra rilancio e fallimento. L’Alitalia ha già imboccato la strada della procedura di insolvenza, che si concluderà con la vendita degli asset e il licenziamento dei lavoratori. Al contrario di ciò che accadde per Parmalat, la nostra compagnia di bandiera non è un’impresa sostanzialmente sana, ma finanziariamente dissestata. Può continuare a essere operativa (al riparo dalle azioni dei creditori) solo per il tempo necessario alla sua liquidazione.
Il piano implica, piuttosto, che il fallimento di Alitalia avvenga mediante una procedura particolare. Il governo nomina un commissario straordinario con il mandato di vendere a trattativa privata alcuni asset (inclusi gli slot) e trasferire parte del personale della vecchia compagnia a una nuova compagnia già pronta per l’acquisto. Tutto ciò che non interessa alla newco, incluso il personale in esubero, rappresenta un costo a carico esclusivo dei contribuenti italiani. In base a questa transazione, sembra che il commissario non potrà restituire alcun debito (compreso il prestito ponte di 300 milioni) e che il marchio Alitalia verrà ceduto a costo zero.
Mostrando qualche rimorso, il governo annuncia che troverà i soldi per risarcire i piccoli risparmiatori. Dunque, chi non si è mai occupato di Alitalia, neanche per sapere quanto valeva sul mercato, partecipa alle perdite: i 300 milioni di prestito ponte che non saranno mai risarciti, il mancato incasso per le azioni Alitalia e i costi per assorbire gli esuberi di personale. Chi, invece, ha deciso di rischiare, consapevolmente, i propri soldi in Alitalia sarà parzialmente compensato. Èdifficile comprendere quale idea di giustizia sia alla base di tale decisione. Infine, poiché la newco assorbirà anche Air One e il governo ha deciso di bloccare l’Autorità antitrust (per ragioni di “rilevante interesse nazionale”), essa sarà in grado di garantirsi a costo zero un “premio da monopolio” sulla tratta Roma-Milano.

COSTI VISIBILI E INVISIBILI

Sembra allora più corretto riformulare la domanda iniziale (“rilancio o fallimento?”) nel modo seguente: “quale procedura sarebbe stato meglio adottare per il fallimento di Alitalia?” La procedura adottata dal governo Berlusconi ha la caratteristica di trasferire tutti i possibili ricavi, al netto dei costi, che deriveranno dalla liquidazione della vecchia Alitalia, più altri ricavi generati surrettiziamente dal governo (premio di monopolio) alla nuova compagnia di bandiera. In altre parole, Corrado Passera, Roberto Colaninno e soci sono nelle condizioni di fare un’offerta “prendere o lasciare” al commissario straordinario, che dovrebbe agire nell’interesse di creditori e azionisti della vecchia Alitalia, in qualità di unico acquirente. Questi ricavi saranno sottratti direttamente agli azionisti dell’Alitalia e ai contribuenti in generale.
Per quale ragione la newco dispone di questo grande potere contrattuale? Non sarebbe stato meglio avviare la procedura di insolvenza immediatamente dopo il rifiuto dell’offerta di Air France-Klm, cercando subito nuovi acquirenti? Perché non dare mandato al commissario straordinario di mettere Passera e soci in concorrenza con altri e cercare di vendere gli asset al prezzo più alto? Siamo sicuri che altre compagnie aeree non fossero disponibili a offrire condizioni migliori per l’azionista? L’advisor di un’azienda di cui il ministero del Tesoro possiede la maggioranza del capitale, dovrebbe essere in sintonia con gli interessi dei contribuenti italiani, e avrebbe dovuto avere questo mandato. Con questa procedura, non si capisce come il governo possa aspettarsi l’applauso del sindacato e perché quest’ultimo dovrebbe essere contento, avendo già rifiutato solo pochi mesi fa un’offerta migliore per lavoratori e contribuenti. 
Un motivo del grande potere contrattuale della cordata costituita da Intesa San Paolo è la ricerca a tutti i costi dell’italianità. Altri parlano degli effetti positivi della compagnia di bandiera sul mercato turistico nazionale. Ma quale contributo concreto può dare un’Alitalia italiana alla scelta dei turisti stranieri di passare le vacanze sul nostro territorio? Il buon senso dovrebbe suggerire che sia più importante migliorare le infrastrutture, tra cui la qualità degli aeroporti e dei collegamenti. Tra le altre cose, sembra evidente che la nuova Alitalia non sarà mai un concorrente serio sulle tratte internazionali. Secondo Passera, l’operazione “è nell’interesse dei consumatori perché migliora il servizio e aumenta l’efficienza”. Ma Passera si riferisce all’efficienza della sua newco, non all’efficienza dell’industria del trasporto aereo italiano. Se Alitalia fosse stata acquisita da una compagnia aerea più redditizia, avremmo ottenuto, come minimo, lo stesso risultato. L’unica differenza è che quella compagnia avrebbe pagato qualcosa di più allo Stato e agli azionisti privati. Ovviamente, e forse questo è il problema che preoccupava Berlusconi, i profitti aziendali e i compensi per i manager non sarebbero andati alla “cordata italiana”.
Ma l’operazione ha anche importanti costi “meno visibili”. Si regala un’altra fetta del mercato nazionale, con ampi vantaggi oligopolistici, ai soliti noti: un gruppo ristretto di capitalisti che siede in centinaia di consigli di amministrazione e spesso si trova in conflitto d’interesse. Da una parte comprano servizi aeroportuali, dall’altra li vendono; da una parte fanno gli advisor per vendere la vecchia Alitalia, dall’altra si presentano come acquirenti; da una parte presiedono la Confindustria, dall’altra fanno affari con il governo. Questi stessi capitalisti sono nei consigli di amministrazione dei giornali, nella gestione delle autostrade, nelle grandi banche nazionali o nelle costruzioni. Molti di essi dipendono dalla politica, perché operano in regime di concessioni governative, o perché sono interessati ai nuovi piani regolatori dei comuni e alle opere pubbliche.
Questi dubbi non sono il prodotto di un’ideologia “mercatista”. Il problema è più semplice: quante nuove opere pubbliche, quanti nuovi incentivi alla ricerca, quanti altri buoni pasto per gli anziani, quanti nuovi ammortizzatori sociali potevamo ottenere dal governo se avessimo scelto una diversa procedura di insolvenza per Alitalia?

05/09/2008 Vero o falso nella procedura Alitalia (Lorenzo Stanghellini, http://www.lavoce.info)

Per quello che sappiamo oggi, lo scenario dell'immediato futuro di Alitalia si snoda in tre passaggi: in breve tempo, la vendita da parte del commissario di Alitalia delle rotte e degli aerei; in un tempo successivo, la vendita e il realizzo del resto dell'attivo; come ultimo atto, la distribuzione ai creditori di quanto è stato ricavato. Dato che l'attivo realizzato sarà verosimilmente inferiore ai debiti, esso verrà distribuito in parti uguali a tutti i creditori. Tentiamo di verificare, alla luce della legge, le affermazioni più frequentemente lette sui media in questi giorni.

1) “Con il commissariamento, Alitalia è stata salvata dal fallimento”

Falso. Il commissariamento, cioè l’apertura della procedura di amministrazione straordinaria con la nomina di un commissario, è il fallimento della grande impresa (200 dipendenti e oltre), quando è insolvente. Questa è la legge, con varie modifiche, sin dal lontano 1979. Anche senza il recente decreto-legge, dunque, Alitalia sarebbe stata “commissariata”.
La legge prevede che in questi casi l’attività d’impresa venga proseguita, cioè che gli aerei vengano fatti volare (ovviamente, se c’è denaro per farli volare: vedi punto 4). A parte il controllo politico, non c’è comunque grande differenza fra amministrazione straordinaria e fallimento. Effetto normale di entrambe è:

a) la protezione del patrimonio dell’impresa dalle azioni di recupero dei creditori;
b) la prededuzione (o “superpriorità”), rispetto a tutti gli altri creditori, delle spese sostenute dopo la sua apertura (es. spese per il carburante degli aerei);
c) la vendita dell’attivo e dei beni (di qualsiasi tipo, anche gli slot aeroportuali), senza i debiti e licenziando i lavoratori che si ritiene di licenziare (ovviamente, seguendo le procedure di legge e sostenendo tutti i costi e oneri relativi);
d) il pagamento dei creditori, alla pari fra loro (salvo ipoteche o altri titoli di preferenza), con tutto l’attivo che si è riusciti a realizzare.

2) “Il decreto Alitalia favorisce Compagnia Aerea Italiana-CAI”

Vero. Ciò per due motivi: a) perché consente al commissario una vendita dell’azienda in tempi brevissimi e a trattativa privata, cosa impossibile fino al decreto Alitalia, in quanto ogni vendita presupponeva una gara che si doveva concludere con assegnazione dei beni al migliore offerente; b) perché consente la vendita in deroga all’antitrust, cosa ugualmente impossibile fino al decreto Alitalia, e CAI ha (dovrebbe avere) anche le rotte di Air One, con le quali creerà posizioni dominanti o di puro monopolio.

3) “Il decreto Alitalia rende impossibile la vendita a soggetti diversi da CAI”

Falso. Altri interessati, purché in tempi brevi, potrebbero manifestarsi e fare un’offerta d’acquisto dell’azienda, che il commissario dovrebbe valutare e accettare, qualora la ritenesse migliorativa (dal punto di vista economico e/o occupazionale) rispetto a quella di CAI. La deroga antitrust (vedi punto 2), inoltre, si applicherebbe automaticamente a qualsiasi acquirente, e dunque anche a una linea aerea concorrente.

4) “Se non venderà l’azienda a CAI entro pochi giorni, Alitalia sarà costretta a lasciare a terra gli aerei”

Falso. Gli aerei hanno bisogno di carburante, che costa, e le spese correnti di Alitalia sono superiori alle entrate correnti. Il commissario ha dunque necessità di liquidità, e in cassa sembra averne pochissima. Egli può tuttavia prenderla a prestito da nuovi finanziatori, garantendo loro (come per legge) la prededuzione, cioè il diritto ad essere pagati per primi con il realizzo dell’attivo. Anche Bondi, poche settimane dopo il crack Parmalat, ottenne un finanziamento di oltre 100 milioni di euro (cfr. comunicato-stampa Parmalat 4 marzo 2004), grazie al fatto che il nuovo finanziamento avrebbe goduto della prededuzione rispetto ai miliardi di euro del debito preesistente. All’estero si parla in questi casi di “debtor-in-possession financing” o “post-petition financing”, che negli Stati Uniti è la regola per le linee aeree in Chapter 11 (procedura di ristrutturazione). Un problema che il commissario Alitalia potrebbe però trovarsi ad affrontare riguarda l’incertezza del quadro normativo che circonda l’insolvenza Alitalia, anche relativamente alla stessa legittimità della procedura fino ad oggi seguita.

5) “Le offerte CAI e Air France sono equivalenti dal punto di vista finanziario”

Falso. Per comprare Alitalia, Air France metteva in campo denaro da spendere in tre direzioni: a) come prezzo per l’acquisto degli aerei e delle rotte di Alitalia; b) come onere per il pagamento dei creditori di Alitalia; c) come investimento nell’azienda successivo all’acquisto. Ipotizzando che gli investimenti di cui alla lettera c) siano uguali fra i due piani, la diversità radicale fra le due offerte sta nelle lettere a) e b): mentre Air France comprava le azioni e si assumeva l’onere di pagare i creditori (la società restava infatti in vita), CAI compra (come è normale, visto che Alitalia è ormai società “fallita”) solo l’attivo, senza debiti, e dunque non paga nulla ai sensi della lettera b). Non si sa quanto CAI dovrebbe pagare come prezzo per l’acquisto, ma anche se pagasse la stessa cifra di Air France, il denaro non andrà agli azionisti, e non basterà nemmeno per i creditori: con il passare dei mesi, infatti, il dissesto si è aggravato.

6) “Lo Stato avrebbe perso anche con l’offerta Air France”

Falso. Ad oggi, la perdita che appare prevedibile per lo Stato deriva dalle seguenti quattro voci:

a) perdita come azionista (le azioni sono ormai carta straccia);
b) perdita come creditore (sia come sottoscrittore del prestito obbligazionario, sia come finanziatore del prestito-ponte di 300 milioni di euro concesso ad aprile);
c) perdita per gli indennizzi ai piccoli azionisti di Alitalia e alla parte di piccoli obbligazionisti che riterrà di indennizzare;
d) oneri per le indennità erogate ai lavoratori licenziati.

Se il piano Air France fosse stato realizzato, non vi sarebbero state né la perdita di cui al punto a), né la perdita di cui al punto b), né infine la perdita di cui al punto c). Non è differenza da poco. La perdita di cui al punto d) vi sarebbe invece stata anche con Air France, ma su questo punto la comparazione dei piani CAI e Air France è molto difficile (la legge sulle indennità ai lavoratori licenziati è stata cambiata proprio con il decreto Alitalia, e non si conosce inoltre il numero definitivo degli esuberi che vi saranno nei prossimi mesi).

7) “Sarebbe stato meglio fare fallire Alitalia”

Non è esatto. La cosa non era, infatti, possibile (vedi punto 1). Se poi, al di là delle sottigliezze giuridiche, con ciò si volesse dire che gli aerei di Alitalia dovevano smettere di volare, il discorso resterebbe comunque inesatto. Anche nel fallimento (come in qualsiasi procedura d’insolvenza del mondo) il curatore ha, infatti, il dovere di conservare il valore dell’attivo per ridurre al minimo la perdita dei creditori. Questo implica che, seppur per lo stretto necessario per trovare un acquirente e al solo fine di vendere l’azienda in attività e non i suoi cocci, gli aerei di Alitalia dovrebbero essere mantenuti in volo fin quando ciò sia possibile. E’ quanto accade, ad esempio, a molti alberghi, che falliscono ma continuano a funzionare e ad avere ospiti, in attesa della vendita dell’azienda.

8) “Nelle prossime settimane Alitalia potrebbe fallire”

Vero, in teoria. Se Alitalia lasciasse a terra gli aerei e fosse impossibile vendere l’azienda in attività (vedi punto 7), la procedura di amministrazione straordinaria potrebbe convertirsi in quella di fallimento (art. 4 comma 4 della legge Marzano, come modificata per Alitalia). In altre parole, una grande impresa non può mai essere dichiarata fallita come prima opzione: se insolvente, essa viene sempre e solo assoggettata all’amministrazione straordinaria. Questa procedura si trasforma in un fallimento solo nei rarissimi casi in cui la situazione si riveli così disastrosa che nessuno compra l’azienda nemmeno depurata da tutti i debiti. Ma è un’eventualità non realistica per Alitalia, non auspicabile e che in più aggraverebbe il danno ai creditori, i quali sono coloro che traggono beneficio da un miglior realizzo dell’attivo e che soffrono invece le conseguenze di uno peggiore.

9) “Sarebbe stato possibile commissariare Alitalia già ad aprile”

Vero. Con l’abbandono di Air France, che a marzo 2008 (e forse per colpa della complessa procedura di privatizzazione) era l’unico possibile acquirente, era chiaro a tutti che Alitalia era insolvente. Lo dicevano i numeri che essa stessa pubblicava: liquidità ormai minima e perdite operative continue e ingenti. Il prestito-ponte ha consentito che il dissesto si aggravasse. In molti crack italiani (Parmalat in primis), l’aggravamento del dissesto ha fatto scattare azioni in sede penale e civile (non rileva qui se tali azioni siano fondate o meno)

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