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02/09/2008 Alitalia. Progetto Air France - Klm e il piano Fenice

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A confronto il progetto Air France - Klm approvato dal Consiglio di amministrazione di Alitalia nel marzo scorso e il piano Fenice, di questi giorni, per il "salvataggio" di Alitalia. Il paragone è impietoso nei confronti del secondo. Gli imprenditori della cordata hanno imposto condizioni che scaricano sui contribuenti tutti i costi (e i rischi) dell'operazione. E il Governo ha cambiato leggi dello Stato (legge Marzano e ammortizzatori sociali) sospendendo la normativa antitrust per venire loro incontro. E' un precedente gravissimo. Il fondo dei depositi dormienti - istituito per le vittime dei grandi crash finanziari e già destinato a finanziare la social card - verrà utilizzato per indennizzare i possessori di obbligazioni e azioni della compagnia aerea.

02/09/2009 Alitalia: chi ha perso la scommessa (Michele Polo, http://www.lavoce.info)

Presentato come una scommessa vinta per il paese, il Piano Fenice sembra invece un vistoso passo indietro rispetto alla proposta Air France-Klm, fatta naufragare in marzo. La nuova Alitalia sarà un vettore incentrato sul mercato italiano, con un sostanziale monopolio sulla rotta Milano-Roma per la fusione delle attività con Airone. In più, l'intera operazione è caratterizzata da un bassissimo grado di trasparenza. Ma a suscitare preoccupazione è soprattutto il modo in cui i media hanno affrontato la questione.

Conclusi i festeggiamenti, diradato il fumo dei mortaretti, raccolti i cocci di qualche magnum di champagne, è forse il momento di fare qualche semplice conto per valutare se la soluzione prospettata per Alitalia con il Piano Fenice e con la cordata di imprenditori, rappresenti per il paese un successo, “una scommessa vinta” nelle parole del premier Berlusconi. O non sia invece un vistoso passo indietro rispetto all’opportunità che fino a marzo era sul tavolo con l’offerta Air France-Klm, fatta naufragare dall’allora candidato premier Berlusconi e dai sindacati. Perché se è chiaro che la vicenda Alitalia non si è certo conclusa con le novità di questi giorni, ed è ancora appesa a molti elementi di incertezza, è altrettanto chiaro che la responsabilità politica che il centrodestra e i sindacati si sono assunti facendo naufragare l’operazione Air France non può che essere valutata alla luce dell’esito ora proposto.

IL PIANO AIR FRANCE-KLM

Il piano di Air France approvato dal consiglio di amministrazione di Alitalia il 15 marzo 2008 prevedeva l’acquisto di Alitalia, il mantenimento del marchio e la presa in carico della sua difficile situazione debitoria, con una valutazione bassa purtroppo in linea con il mercato. Questa avrebbe portato comunque nelle casse dello Stato circa 300 milioni di euro.

Il piano industriale, finanziato con un aumento di capitale per 1 miliardo di euro garantito da Air France-Klm, comportava l’abbandono di Malpensa come secondo hub nazionale e lo spostamento e rafforzamento di molti voli su Fiumicino, hub italiano del nuovo gruppo assieme a Parigi e a Amsterdam, e la cancellazione dei voli in perdita in Italia, Europa e nel resto del mondo, pur mantenendo una dimensione internazionale alla compagnia. La flotta Alitalia avrebbe subito una forte ristrutturazione con la progressiva dismissione dei vecchi vettori.
Il contenimento dei costi operativi era affidato anche allo spostamento di alcune attività di servizi a terra da Alitalia Servizi al nuovo gruppo con esuberi di circa 1.600 addetti e la progressiva chiusura della attività cargo fortemente in perdita. Meno chiari gli ulteriori esuberi dalla ristrutturazione dei servizi esterni al nuovo gruppo, che sarebbero rimasti a Fintecna. Il perimetro aziendale ed economico di queste attività esterne sembra tuttavia più ristretto rispetto alla bad company oggi in discussione

IL PIANO FENICE

Il Piano Fenice presentato in questi giorni separa le attività di Alitalia conferendo a una bad company le attività in perdita e la situazione debitoria, con una collocazione a oggi non del tutto definita se non nella certezza che i debiti di Alitalia, stimati in oltre 1 miliardo di euro, verranno a gravare sui contribuenti italiani. L’apporto di capitali freschi è comparabile a quello del progetto Air France, se la cordata di imprenditori italiani confermerà i propri impegni per circa 1 miliardo di euro.
Il piano industriale e il profilo strategico della nuova compagnia si allontanano invece fortemente dalla collocazione che Alitalia avrebbe avuto, nell’ipotesi francese, come parte di uno dei principali gruppi internazionali. L’Alitalia partorita dal Piano Fenice sarà un vettore incentrato sul mercato italiano e con una riorganizzazione dei voli interni su sei scali principali (Roma, Milano, Torino, Venezia, Napoli e Catania) e vedrà la fusione delle attività con il secondo vettore italiano, Airone, costituendo in questo modo un sostanziale monopolio sulla rotta Milano-Roma, il boccone più ghiotto del mercato italiano. Questo modello di business risulta per sua natura fortemente esposto alla congiuntura nazionale, in un paese che non brilla nel panorama europeo per i suoi tassi di crescita, e tende a competere nei collegamenti point to point con le compagnie low cost già oggi presenti su numerose tratte italiane. Per dirla in modo sfumato, al di là dei trionfalismi di questi giorni, il piano industriale proposto non costituisce una prospettiva di sicuro successo negli anni a venire.
Infine, la ristrutturazione e il contenimento dei costi porteranno a esuberi finora quantificati in 7mila unità, con l’applicazione di ammortizzatori sociali e ricollocazione in altre attività su cui per ora nulla è dato sapere.
Non a caso, gli imprenditori che partecipano alla cordata hanno posto alcune condizioni per unirsi alla partita: l’individuazione di un partner internazionale, presumibilmente Lufthansa o Air France, che comunque oggi manca, la sospensione della normativa antitrust nella valutazione dell’operazione, applicando per la prima volta l’articolo 25 della legge italiana, e la riforma della legge Marzano per favorire il passaggio dalla vecchia Alitalia ai due gemelli, il gemello buono che andrà alla cordata degli imprenditori italiani e il gemello cattivo, la bad company, in dote ai contribuenti.

CHI HA VINTO LA SCOMMESSA?

Oltre che per queste misure ad hoc, l’intera operazione resta caratterizzata da una bassissima trasparenza. Abbiamo a suo tempo criticato il modo poco trasparente con cui, sotto il governo Prodi, si era gestita l’asta e la ricerca di un acquirente. Ma va detto che quei passaggi sembrano aria cristallina rispetto agli ovvi interrogativi che ci si pone in merito ai rischi dell’operazione odierna. Operazione che entra in forte conflitto con le normative europee e gli impegni a suo tempo assunti da Alitalia con l’aumento di capitale del 2004 e con il prestito ponte di questa primavera. Come pensino gli imprenditori della cordata di coprirsi dai rischi di un intervento di Bruxelles non è dato sapere. Come non è chiaro se esistano tavoli di compensazione a cui almeno alcuni dei partecipanti alla cordata pensino di accedere nel proprio business principale in cambio della buona volontà dimostrata.
È notizia degli ultimi giorni che Air France ha manifestato un interesse a riaprire il dialogo e anche ad assumere eventualmente una partecipazione di minoranza. Tutto ciò non sorprende, dal momento che, rispetto al piano che aveva presentato a primavera, Air France si troverebbe a trattare senza doversi accollare i debiti di Alitalia, potendo contare su margini elevati nel mercato interno derivanti dalla posizione dominante che a compagnia acquisterebbe nel mercato interno attraverso la fusione con Airone, e con una riduzione del personale ben più ampia di quella che aveva inizialmente prospettato.
Per contro, i cittadini italiani pagheranno i debiti Alitalia e i costi sociali dell’assorbimento dei forti esuberi, e pagheranno più cari i biglietti sul mercato interno. Verrebbe da dire, per richiamare le parole del presidente del Consiglio, che a vincere la scommessa sarà probabilmente Cyril Spinetta, il capo di Air France, ma chi da oggi la scommessa l’ha già persa sono i cittadini italiani.
Un’ultima postilla a questa vicenda. Il semplice confronto tra quanto oggi viene prospettato agli italiani e quanto invece quattro mesi fa è stato fatto scientemente naufragare, tra il Piano Fenice e il piano Air France, non è rintracciabile, con pochissime eccezioni, sulla stampa italiana. Quasi nessuno tra i giornali di opinione ha ricordato in questi giorni cosa era la famosa “svendita” allo straniero, quasi nessuno ha messo il lettore nella condizione di formarsi una opinione se veramente la scommessa era vinta o persa. L’informazione ha presentato l’operazione Alitalia con un unanimismo, una mancanza di equilibrio e un appiattimento quasi aziendale che segnalano un problema grave per la formazione dell’opinione pubblica e per il pluralismo. Su questo occorrerà tornare al di là della vicenda Alitalia.

02/09/2008 Un decollo che sfida le leggi (Lorenzo Stanghellini, http://www.lavoce.info)

Il mercato ha le sue leggi, una delle quali dice che un'impresa che spende più di quello che incassa prima o poi ne esce per liquidazione volontaria o per fallimento. Il mercato aveva già decretato la morte di Alitalia, in perdita da anni, in marzo. I sindacati hanno confidato nell'aiuto della politica e hanno avuto ragione, perché governo e il Parlamento hanno dato alla compagnia altro denaro da bruciare. Si è trattato, però, di una vittoria di Pirro. Dopo soli quattro mesi, i soldi sono finiti e siamo giunti al capolinea. Ora quali scenari si aprono con il decreto Alitalia?

Le mele non cadono dal basso verso l’alto, nemmeno se i sindacati lo chiedono e una legge dello Stato italiano lo dispone. Il mercato ha le sue leggi, una delle quali dice che un’impresa che spende più di quello che incassa prima o poi esce dal mercato, per liquidazione volontaria o per fallimento. In primavera, il mercato aveva già decretato la morte di Alitalia, che perdeva da anni. Le riserve di liquidità erano ormai esigue e un acquirente (Air France) era disposto a comprare le azioni, pagare tutti i creditori, proseguire l’attività, a condizione che i sindacati accettassero un accordo di pesante riduzione degli organici. I sindacati hanno detto no, confidando nell’aiuto della politica, e hanno avuto ragione, perché il governo e il Parlamento hanno dato ad Alitalia altro denaro da bruciare.
Si è trattato, però, di una vittoria di Pirro. Dopo soli quattro mesi, il denaro è finito di nuovo e Alitalia è giunta al capolinea. Il governo ha adottato un decreto-legge che contiene una serie di norme speciali, dettate per Alitalia. (1)
Ma cosa è esattamente il “decreto Alitalia”? Qual è lo scenario che si prospetta? Chi sono gli sconfitti? Ci sono, almeno, alcuni vincitori?

PROCEDURA PARMALAT PER TUTTE LE GRANDI IMPRESE INSOLVENTI

Quando le grandi imprese divengono insolventi “ falliscono”, scatta per loro la procedura di amministrazione straordinaria. Si tratta di una procedura analoga al fallimento (riservato alle piccole imprese), ma con un forte controllo politico, poiché il commissario straordinario è nominato dal ministro delle Attività produttive e a lui risponde. In occasione del crack Parmalat si è creata una variante più rapida della procedura di amministrazione straordinaria (cosiddetta “Marzano”), riservata alle imprese con grandi debiti, ma capaci di camminare con le proprie forze grazie ai ricavi dell’attività, una volta ridotti i debiti a un livello sostenibile. È per questo che Parmalat ha potuto essere ristrutturata e quotata nuovamente in borsa.
Alitalia non ha assolutamente quelle caratteristiche: ogni giorno perde denaro. Per le imprese in questo stato, il problema non sono i debiti accumulati, che all’occorrenza possono essere “falciati”, con un processo doloroso e inevitabile, ma le perdite che continuano a prodursi. Nonostante ciò, con il decreto Alitalia si è ritenuto di aprire l'amministrazione straordinaria “modello Parmalat” anche alle imprese che non possono ristrutturarsi e che hanno come unica prospettiva quella di trovare un acquirente che compri quello che c’è rimasto di buono.
Fin qui, nulla di veramente grave: si è scelto di incanalare Alitalia su una procedura più rapida, anche se proprio per questo meno garantista per i creditori.

VENDITA IMMEDIATA, PASSANDO SOPRA TUTTI

Questo, evidentemente, non era sufficiente. Il decreto Alitalia ha dunque previsto, per le imprese che erogano “servizi pubblici essenziali”, che il commissario venga dotato di poteri ancor più “straordinari”, e in particolare del potere di vendere l’azienda a trattativa privata, cioè senza una gara fra potenziali acquirenti, ma solo sulla base della stima di un “esperto indipendente”, e in deroga alla normativa antitrust sulle concentrazioni.
Questo appare grave: la trattativa privata potrebbe non dare ai creditori il massimo realizzo possibile e il compratore potrebbe acquisire una posizione di monopolio che danneggia la concorrenza (cioè i consumatori e le imprese, che utilizzano il servizio a costi maggiori).
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che normalmente dovrebbe autorizzare preventivamente la vendita, verrà chiamata solo a rimettere insieme i cocci della concorrenza, prescrivendo misure che prevengano uno sfruttamento di posizione dominante. Un pannicello caldo, di solito poco efficace e che fa svolgere all’Autorità un ruolo di regolatore che non le è proprio.

LA “BAD COMPANY” E I SUOI ORFANI

Alitalia è stata posta in procedura di amministrazione straordinaria sulla base della nuova legge. Salvo imprevisti (ad esempio un’offerta di un concorrente estero), il commissario continuerà ora a far volare gli aerei con i pochi soldi che restano in cassa, o con finanza-ponte e poi venderà una parte dell’azienda, a trattativa privata, a Compagnia aerea italiana. Ciò che resterà alla vecchia Alitalia, ormai bad company, saranno dunque, per lo più, i beni di scarso valore, i debiti, e soprattutto i lavoratori in eccesso. Visto che in primavera non si riusciva a licenziarli, in estate si è deciso di vendere l’azienda alleggerita dal loro peso. Il risultato non pare molto diverso.
Con tutta probabilità, il prezzo di vendita di aerei e rotte “buone” non basterà a pagare tutti i creditori. Dalle notizie di stampa si legge che il commissario pagherebbe i creditori bancari e non gli obbligazionisti, ma ciò non sembra possibile: almeno fino a oggi, tutti i creditori di Alitalia hanno gli stessi diritti.
In questa situazione di deficit patrimoniale, agli azionisti, che sono postergati ai creditori, il commissario di Alitalia non riuscirà a distribuire nemmeno un euro.

NON CI SONO VINCITORI

A marzo, con il piano Air France, i creditori sarebbero stati pagati per intero (la società sarebbe stata ricapitalizzata), e gli azionisti avrebbero potuto vendere le azioni (a prezzo basso, ma maggiore di zero). Cinque mesi dopo, lo Stato sta per perdere 300 milioni del suo prestito-ponte, i creditori (fra cui ancora lo Stato) parte dei loro crediti e gli azionisti hanno già perso tutto. I lavoratori che Air France non voleva, e che nemmeno Compagnia aerea italiana vuole, godranno di indennità per un periodo molto lungo, ma verranno comunque licenziati. Un bilancio triste.
Proprio perché lo Stato ha fatto di tutto per interferire nella gestione di Alitalia, danneggiando azionisti e creditori (e contribuenti), il decreto Alitalia contiene due ultime “perle”:

a) esonera gli amministratori, i sindaci e i manager di Alitalia da qualunque responsabilità per qualsiasi illecito eventualmente commesso nello sciagurato ultimo anno di vita della società;
b) dispone che gli azionisti e gli obbligazionisti di Alitalia vengano trattati come risparmiatori vittime di frodi finanziarie, ammessi agli incerti benefici di un fondo pubblico su cui tanti vantano pretese. Ma, a parte il fatto che la misura si applica solo ai piccoli risparmiatori e non allo Stato né agli investitori istituzionali, che non avranno tutela, l’unico danno qui lo ha arrecato lo Stato italiano, che ha sottratto Alitalia alle regole che valgono per tutte le altre imprese.
Dinanzi a una Corte costituzionale sensibile ai valori che fondano il nostro sistema economico, queste norme non reggerebbero. Se qualcuno avrà il coraggio di impugnarle, vedremo se è così. Nel frattempo, l’Unione europea potrebbe dichiarare che, con la serie di leggi speciali che l’hanno sospesa in volo, Alitalia ha goduto di un aiuto di stato, essendo stata assoggettata a un regime di favore con oneri per lo Stato, che qualcuno sarà allora chiamato a rimborsare. Quando sarà calata la polvere di queste settimane concitate, si potrebbe dunque aprire una nuova fase di conflitti, dall’esito alquanto incerto.

(1) Dl 134/2008.

02/09/2008 I depositi non volano (Francesco Vella, http://www.lavoce.info)

Il decreto legge prevede che i piccoli azionisti e obbligazionisti di Alitalia vengano rimborsati con le risorse del fondo dei depositi dormienti. Le modalità operative sono, però, incerte. Come trovare un criterio discriminante per modulare la protezione soltanto in base alla dimensione? E poi azionisti e obbligazionisti non sono in alcun modo soggetti assimilabili. In ogni caso, si corre il rischio di ingenerare una guerra tra poveri con tutti gli altri risparmiatori ai quali quelle risorse erano state originariamente destinate.

Sembrano ormai il classico prezzemolo buono per tutti i menù e puntuali arrivano anche in quello, del tutto indigesto, di Alitalia.
Forse qualcuno ricorderà il grande battage pubblicitario quando vennero lanciati i depositi dormienti come panacea per il ristoro degli investitori che avevano subito dolorosissimi salassi nei default Parmalat e Argentina.

TRISTI PROFEZIE

All’epoca, tra i molti e retorici richiami alla tutela del risparmio, furono in pochi a sottolineare che era tutto sommato facile individuare i soldi addormentati, e infatti le procedure si stanno concludendo in questi giorni, ma era molto più difficile definire i criteri di ripartizione fra i risparmiatori, profetizzando una scarsissima efficacia della nuova legge.
Profezia puntualmente avveratasi: nella bozza di regolamento che si può trovare sul sito del ministero del Tesoro si prevede che il risparmiatore per avere indietro i suoi soldi deve aver subito un danno ingiusto, accertato con sentenza passata in giudicato o con lodo arbitrale, e comunque non risarcito. In altri termini, bisogna aspettare tutti i gradi di giudizio ed essere in presenza di un intermediario che sebbene condannato non tira fuori un euro. Con questi requisiti e con i noti tempi biblici della giustizia italiana, difficilmente si vedranno, se si vedranno, molti rimborsi. D’altronde, la scelta del decreto è giustissima: la commissione ministeriale di gestione del fondo non può giudicare sui diritti di migliaia e migliaia di investitori, ciascuno con una posizione diversa, e quindi deve necessariamente ancorarsi a un dato certo come l’esistenza di una sentenza. Il problema non è nel decreto, ma nella natura del fondo e nella pretesa di istituire meccanismi di rimborso generalizzato, che se hanno grande effetto mediatico, alla prova dei fatti non funzionano.

E I DEPOSITI SE NE VANNO

La scarsa fiducia nei depositi dormienti è dimostrata dal fatto che prima ancora di conoscere il loro reale ammontare, i diversi governi hanno cominciato a destinare le risorse del fondo ad altri scopi: prima la stabilizzazione dei precari nella pubblica amministrazione, poi la social card. Così oltre che aspettare un bel po’ di tempo, il nostro investitore salassato corre il rischio di trovare le casse vuote.
E adesso, appunto, ci si mette anche Alitalia: in base al decreto di riforma della legge Marzano “al fine di tutela del risparmio” (ancora una volta!) anche “i piccoli azionisti ovvero obbligazionisti” della compagnia di bandiera potranno beneficiare del fondo e sarà un nuovo decreto del Consiglio dei ministri a stabilire come.

LA GUERRA TRA POVERI

A prescindere dal fatto che ormai la mangiatoia comincia a essere decisamente affollata, anche la nuova categoria di risparmiatori corre non pochi pericoli. Innanzitutto bisogna essere “piccoli” e si può essere piccoli rispetto all’investimento effettuato, oppure rispetto al proprio reddito, ma non è facile trovare un criterio discriminante per modulare la protezione soltanto in base alla dimensione.
Ad esempio, se ho investito duecentomila euro probabilmente non verrò considerato “piccolo”, ma se quella somma rappresenta tutti i miei risparmi perché non devo essere tutelato?
Senza tener conto, poi, che azionisti e obbligazionisti non sono in alcun modo soggetti assimilabili, perché ciascun investimento riflette caratteristiche diverse e soprattutto diversa propensione al rischio e non possono essere trattati allo stesso modo. E non è ben chiaro sia il valore dei titoli in base al quale calcolare il rimborso, sia il suo ammontare.
Ma c’è un altro problema, forse il più spinoso: la guerra tra poveri. Non soltanto infatti si introducono evidenti discriminazioni tra diverse categorie di creditori di Alitalia, ma si discrimina anche tra i salassati. 
Il possessore di obbligazioni Parmalat o Argentina che, dopo i precari e le social card, si vede rapidamente passare davanti l’obbligazionista (o peggio ancora l’azionista) Alitalia, sicuramente non sarà felicissimo e forse qualche triste pensiero su quanto fumo negli occhi i depositi dormienti abbiano prodotto, lo farà.
Chi invece ha la fortuna di non appartenere alla categoria dei salassati farà comunque qualche triste riflessione su queste misure ad hoc che, oltre a introdurre nel sistema  elementi di iniquità, non contribuiscono certo a realizzare una equilibrata ed efficace tutela del risparmio

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