A confronto il progetto Air France - Klm approvato dal Consiglio di amministrazione di Alitalia nel marzo scorso e il piano Fenice, di questi giorni, per il "salvataggio" di Alitalia. Il paragone è impietoso nei confronti del secondo. Gli imprenditori della cordata hanno imposto condizioni che scaricano sui contribuenti tutti i costi (e i rischi) dell'operazione. E il Governo ha cambiato leggi dello Stato (legge Marzano e ammortizzatori sociali) sospendendo la normativa antitrust per venire loro incontro. E' un precedente gravissimo. Il fondo dei depositi dormienti - istituito per le vittime dei grandi crash finanziari e già destinato a finanziare la social card - verrà utilizzato per indennizzare i possessori di obbligazioni e azioni della compagnia aerea.
02/09/2009 Alitalia: chi ha perso la scommessa (Michele Polo, http://www.lavoce.info)
Presentato come una scommessa vinta per il paese, il Piano Fenice sembra
invece un vistoso passo indietro rispetto alla proposta Air France-Klm,
fatta naufragare in marzo. La nuova Alitalia sarà un vettore incentrato sul
mercato italiano, con un sostanziale monopolio sulla rotta Milano-Roma per
la fusione delle attività con Airone. In più, l'intera operazione è
caratterizzata da un bassissimo grado di trasparenza. Ma a suscitare
preoccupazione è soprattutto il modo in cui i media hanno affrontato la
questione.
Conclusi i festeggiamenti, diradato il fumo dei mortaretti, raccolti i
cocci di qualche magnum di champagne, è forse il momento di fare
qualche semplice conto per valutare se la soluzione prospettata per
Alitalia con il Piano Fenice e con la cordata di
imprenditori, rappresenti per il paese un successo, “una
scommessa vinta” nelle parole del premier Berlusconi. O non
sia invece un vistoso passo indietro rispetto all’opportunità che fino
a marzo era sul tavolo con l’offerta Air France-Klm, fatta naufragare
dall’allora candidato premier Berlusconi e dai sindacati. Perché se è
chiaro che la vicenda Alitalia non si è certo conclusa con le novità
di questi giorni, ed è ancora appesa a molti elementi di incertezza, è
altrettanto chiaro che la responsabilità politica che il centrodestra
e i sindacati si sono assunti facendo naufragare l’operazione Air
France non può che essere valutata alla luce dell’esito ora proposto.
IL PIANO AIR FRANCE-KLM
Il piano di Air France approvato dal consiglio di amministrazione
di Alitalia il 15 marzo 2008 prevedeva l’acquisto di Alitalia, il
mantenimento del marchio e la presa in carico della sua difficile
situazione debitoria, con una valutazione bassa purtroppo in linea con
il mercato. Questa avrebbe portato comunque nelle casse dello Stato
circa 300 milioni di euro.
Il piano industriale, finanziato con un aumento di capitale per 1
miliardo di euro garantito da Air France-Klm, comportava l’abbandono
di Malpensa come secondo hub nazionale e lo
spostamento e rafforzamento di molti voli su Fiumicino,
hub italiano del nuovo gruppo assieme a Parigi e a Amsterdam, e la
cancellazione dei voli in perdita in Italia, Europa e nel resto del
mondo, pur mantenendo una dimensione internazionale alla compagnia. La
flotta Alitalia avrebbe subito una forte ristrutturazione con la
progressiva dismissione dei vecchi vettori.
Il contenimento dei costi operativi era affidato anche allo
spostamento di alcune attività di servizi a terra da Alitalia Servizi
al nuovo gruppo con esuberi di circa 1.600 addetti e
la progressiva chiusura della attività cargo
fortemente in perdita. Meno chiari gli ulteriori esuberi dalla
ristrutturazione dei servizi esterni al nuovo gruppo, che sarebbero
rimasti a Fintecna. Il perimetro aziendale ed economico di queste
attività esterne sembra tuttavia più ristretto rispetto alla bad
company oggi in discussione
IL PIANO FENICE
Il Piano Fenice presentato in questi giorni separa le attività di
Alitalia conferendo a una bad company le attività in perdita e la
situazione debitoria, con una collocazione a oggi non del tutto
definita se non nella certezza che i debiti di Alitalia, stimati in
oltre 1 miliardo di euro, verranno a gravare sui contribuenti
italiani. L’apporto di capitali freschi è comparabile a
quello del progetto Air France, se la cordata di imprenditori italiani
confermerà i propri impegni per circa 1 miliardo di euro.
Il piano industriale e il profilo strategico della nuova compagnia si
allontanano invece fortemente dalla collocazione che Alitalia avrebbe
avuto, nell’ipotesi francese, come parte di uno dei principali gruppi
internazionali. L’Alitalia partorita dal Piano Fenice sarà un vettore
incentrato sul mercato italiano e con una
riorganizzazione dei voli interni su sei scali principali (Roma,
Milano, Torino, Venezia, Napoli e Catania) e vedrà la fusione delle
attività con il secondo vettore italiano, Airone, costituendo in
questo modo un sostanziale monopolio sulla rotta Milano-Roma,
il boccone più ghiotto del mercato italiano. Questo modello di
business risulta per sua natura fortemente esposto alla congiuntura
nazionale, in un paese che non brilla nel panorama europeo per i suoi
tassi di crescita, e tende a competere nei collegamenti point to point
con le compagnie low cost già oggi presenti su numerose tratte
italiane. Per dirla in modo sfumato, al di là dei trionfalismi di
questi giorni, il piano industriale proposto non costituisce una
prospettiva di sicuro successo negli anni a venire.
Infine, la ristrutturazione e il contenimento dei costi porteranno a
esuberi finora quantificati in 7mila unità, con
l’applicazione di ammortizzatori sociali e ricollocazione in altre
attività su cui per ora nulla è dato sapere.
Non a caso, gli imprenditori che partecipano alla cordata hanno posto
alcune condizioni per unirsi alla partita: l’individuazione di un
partner internazionale, presumibilmente Lufthansa o
Air France, che comunque oggi manca, la sospensione della normativa
antitrust nella valutazione dell’operazione,
applicando per la prima volta l’articolo 25 della legge italiana, e la
riforma della legge Marzano per favorire il passaggio
dalla vecchia Alitalia ai due gemelli, il gemello buono che andrà alla
cordata degli imprenditori italiani e il gemello cattivo, la bad
company, in dote ai contribuenti.
CHI HA VINTO LA SCOMMESSA?
Oltre che per queste misure ad hoc, l’intera operazione resta
caratterizzata da una bassissima trasparenza. Abbiamo a suo tempo
criticato il modo poco trasparente con cui, sotto il governo Prodi, si
era gestita l’asta e la ricerca di un acquirente. Ma va detto che quei
passaggi sembrano aria cristallina rispetto agli ovvi interrogativi
che ci si pone in merito ai rischi dell’operazione odierna. Operazione
che entra in forte conflitto con le normative europee
e gli impegni a suo tempo assunti da Alitalia con l’aumento di
capitale del 2004 e con il prestito ponte di questa primavera. Come
pensino gli imprenditori della cordata di coprirsi dai rischi di un
intervento di Bruxelles non è dato sapere. Come non è chiaro se
esistano tavoli di compensazione a cui almeno alcuni
dei partecipanti alla cordata pensino di accedere nel proprio business
principale in cambio della buona volontà dimostrata.
È notizia degli ultimi giorni che Air France ha
manifestato un interesse a riaprire il dialogo e anche ad assumere
eventualmente una partecipazione di minoranza. Tutto ciò non
sorprende, dal momento che, rispetto al piano che aveva presentato a
primavera, Air France si troverebbe a trattare senza doversi accollare
i debiti di Alitalia, potendo contare su margini elevati nel mercato
interno derivanti dalla posizione dominante che a compagnia
acquisterebbe nel mercato interno attraverso la fusione con Airone, e
con una riduzione del personale ben più ampia di quella che aveva
inizialmente prospettato.
Per contro, i cittadini italiani pagheranno i debiti Alitalia e i
costi sociali dell’assorbimento dei forti esuberi, e pagheranno più
cari i biglietti sul mercato interno. Verrebbe da dire, per richiamare
le parole del presidente del Consiglio, che a vincere la scommessa
sarà probabilmente Cyril Spinetta, il capo di Air France, ma chi da
oggi la scommessa l’ha già persa sono i cittadini italiani.
Un’ultima postilla a questa vicenda. Il semplice confronto tra quanto
oggi viene prospettato agli italiani e quanto invece quattro mesi fa è
stato fatto scientemente naufragare, tra il Piano Fenice e il piano
Air France, non è rintracciabile, con pochissime eccezioni, sulla
stampa italiana. Quasi nessuno tra i giornali di
opinione ha ricordato in questi giorni cosa era la famosa “svendita”
allo straniero, quasi nessuno ha messo il lettore nella condizione di
formarsi una opinione se veramente la scommessa era vinta o persa.
L’informazione ha presentato l’operazione Alitalia con un unanimismo,
una mancanza di equilibrio e un appiattimento quasi aziendale che
segnalano un problema grave per la formazione dell’opinione pubblica e
per il pluralismo. Su questo occorrerà tornare al di là della vicenda
Alitalia.
02/09/2008 Un decollo che sfida le leggi (Lorenzo Stanghellini, http://www.lavoce.info)
Il mercato ha le sue leggi, una delle quali dice che un'impresa che spende
più di quello che incassa prima o poi ne esce per liquidazione volontaria o
per fallimento. Il mercato aveva già decretato la morte di Alitalia, in
perdita da anni, in marzo. I sindacati hanno confidato nell'aiuto della
politica e hanno avuto ragione, perché governo e il Parlamento hanno dato
alla compagnia altro denaro da bruciare. Si è trattato, però, di una
vittoria di Pirro. Dopo soli quattro mesi, i soldi sono finiti e siamo
giunti al capolinea. Ora quali scenari si aprono con il decreto Alitalia?
Le mele non cadono dal basso verso l’alto, nemmeno se i sindacati lo
chiedono e una legge dello Stato italiano lo dispone. Il mercato ha le
sue leggi, una delle quali dice che un’impresa che spende più di
quello che incassa prima o poi esce dal mercato, per liquidazione
volontaria o per fallimento. In primavera, il mercato aveva già
decretato la morte di Alitalia, che perdeva da anni.
Le riserve di liquidità erano ormai esigue e un acquirente (Air France)
era disposto a comprare le azioni, pagare tutti i creditori,
proseguire l’attività, a condizione che i sindacati accettassero un
accordo di pesante riduzione degli organici. I sindacati hanno detto
no, confidando nell’aiuto della politica, e hanno avuto ragione,
perché il governo e il Parlamento hanno dato ad Alitalia altro denaro
da bruciare.
Si è trattato, però, di una vittoria di Pirro. Dopo soli quattro mesi,
il denaro è finito di nuovo e Alitalia è giunta al capolinea. Il
governo ha adottato un decreto-legge che contiene una serie di norme
speciali, dettate per Alitalia. (1)
Ma cosa è esattamente il “decreto Alitalia”? Qual è lo scenario che si
prospetta? Chi sono gli sconfitti? Ci sono, almeno, alcuni vincitori?
PROCEDURA PARMALAT PER TUTTE LE GRANDI IMPRESE INSOLVENTI
Quando le grandi imprese divengono insolventi “ falliscono”, scatta
per loro la procedura di amministrazione straordinaria.
Si tratta di una procedura analoga al fallimento (riservato alle
piccole imprese), ma con un forte controllo politico, poiché il
commissario straordinario è nominato dal ministro delle Attività
produttive e a lui risponde. In occasione del crack Parmalat si è
creata una variante più rapida della procedura di amministrazione
straordinaria (cosiddetta “Marzano”), riservata alle imprese con
grandi debiti, ma capaci di camminare con le proprie forze grazie ai
ricavi dell’attività, una volta ridotti i debiti a un livello
sostenibile. È per questo che Parmalat ha potuto essere ristrutturata
e quotata nuovamente in borsa.
Alitalia non ha assolutamente quelle caratteristiche: ogni giorno
perde denaro. Per le imprese in questo stato, il problema non sono i
debiti accumulati, che all’occorrenza possono essere “falciati”, con
un processo doloroso e inevitabile, ma le perdite che
continuano a prodursi. Nonostante ciò, con il decreto Alitalia si è
ritenuto di aprire l'amministrazione straordinaria “modello Parmalat”
anche alle imprese che non possono ristrutturarsi e che hanno come
unica prospettiva quella di trovare un acquirente che
compri quello che c’è rimasto di buono.
Fin qui, nulla di veramente grave: si è scelto di incanalare Alitalia
su una procedura più rapida, anche se proprio per questo meno
garantista per i creditori.
VENDITA IMMEDIATA, PASSANDO SOPRA TUTTI
Questo, evidentemente, non era sufficiente. Il decreto Alitalia ha
dunque previsto, per le imprese che erogano “servizi pubblici
essenziali”, che il commissario venga dotato di poteri ancor più
“straordinari”, e in particolare del potere di vendere l’azienda a
trattativa privata, cioè senza una gara fra
potenziali acquirenti, ma solo sulla base della stima di un “esperto
indipendente”, e in deroga alla normativa antitrust
sulle concentrazioni.
Questo appare grave: la trattativa privata potrebbe non dare ai
creditori il massimo realizzo possibile e il compratore potrebbe
acquisire una posizione di monopolio che danneggia la
concorrenza (cioè i consumatori e le imprese, che utilizzano il
servizio a costi maggiori).
L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che normalmente
dovrebbe autorizzare preventivamente la vendita, verrà chiamata solo a
rimettere insieme i cocci della concorrenza, prescrivendo misure che
prevengano uno sfruttamento di posizione dominante. Un pannicello
caldo, di solito poco efficace e che fa svolgere all’Autorità un ruolo
di regolatore che non le è proprio.
LA “BAD COMPANY” E I SUOI ORFANI
Alitalia è stata posta in procedura di amministrazione
straordinaria sulla base della nuova legge. Salvo imprevisti (ad
esempio un’offerta di un concorrente estero), il commissario
continuerà ora a far volare gli aerei con i pochi soldi che restano in
cassa, o con finanza-ponte e poi venderà una parte dell’azienda, a
trattativa privata, a Compagnia aerea italiana. Ciò che resterà alla
vecchia Alitalia, ormai bad company, saranno dunque, per lo
più, i beni di scarso valore, i debiti, e soprattutto i
lavoratori in eccesso. Visto che in primavera non si riusciva
a licenziarli, in estate si è deciso di vendere l’azienda alleggerita
dal loro peso. Il risultato non pare molto diverso.
Con tutta probabilità, il prezzo di vendita di aerei e rotte “buone”
non basterà a pagare tutti i creditori. Dalle notizie di stampa si
legge che il commissario pagherebbe i creditori bancari e non gli
obbligazionisti, ma ciò non sembra possibile: almeno fino a oggi,
tutti i creditori di Alitalia hanno gli stessi diritti.
In questa situazione di deficit patrimoniale, agli azionisti, che sono
postergati ai creditori, il commissario di Alitalia non riuscirà a
distribuire nemmeno un euro.
NON CI SONO VINCITORI
A marzo, con il piano Air France, i creditori sarebbero stati
pagati per intero (la società sarebbe stata ricapitalizzata), e gli
azionisti avrebbero potuto vendere le azioni (a prezzo basso, ma
maggiore di zero). Cinque mesi dopo, lo Stato sta per
perdere 300 milioni del suo prestito-ponte, i creditori
(fra cui ancora lo Stato) parte dei loro crediti e gli
azionisti hanno già perso tutto. I lavoratori che Air France
non voleva, e che nemmeno Compagnia aerea italiana vuole, godranno di
indennità per un periodo molto lungo, ma verranno comunque
licenziati. Un bilancio triste.
Proprio perché lo Stato ha fatto di tutto per interferire nella
gestione di Alitalia, danneggiando azionisti e creditori (e
contribuenti), il decreto Alitalia contiene due ultime “perle”:
a) esonera gli amministratori, i sindaci e i manager di Alitalia da
qualunque responsabilità per qualsiasi illecito
eventualmente commesso nello sciagurato ultimo anno di vita della
società;
b) dispone che gli azionisti e gli obbligazionisti di Alitalia vengano
trattati come risparmiatori vittime di frodi finanziarie, ammessi agli
incerti benefici di un fondo pubblico su cui
tanti vantano pretese. Ma, a parte il fatto che la misura si
applica solo ai piccoli risparmiatori e non allo Stato né
agli investitori istituzionali, che non avranno tutela, l’unico danno
qui lo ha arrecato lo Stato italiano, che ha sottratto Alitalia alle
regole che valgono per tutte le altre imprese.
Dinanzi a una Corte costituzionale sensibile ai
valori che fondano il nostro sistema economico, queste norme non
reggerebbero. Se qualcuno avrà il coraggio di impugnarle, vedremo se è
così. Nel frattempo, l’Unione europea potrebbe dichiarare che, con la
serie di leggi speciali che l’hanno sospesa in volo, Alitalia ha
goduto di un aiuto di stato, essendo stata assoggettata a un regime di
favore con oneri per lo Stato, che qualcuno sarà allora chiamato a
rimborsare. Quando sarà calata la polvere di queste settimane
concitate, si potrebbe dunque aprire una nuova fase di conflitti,
dall’esito alquanto incerto.
(1) Dl 134/2008.
02/09/2008 I depositi non volano (Francesco Vella, http://www.lavoce.info)
Il decreto legge prevede che i piccoli azionisti e obbligazionisti di
Alitalia vengano rimborsati con le risorse del fondo dei depositi
dormienti. Le modalità operative sono, però, incerte. Come trovare un
criterio discriminante per modulare la protezione soltanto in base
alla dimensione? E poi azionisti e obbligazionisti non sono in alcun
modo soggetti assimilabili. In ogni caso, si corre il rischio di
ingenerare una guerra tra poveri con tutti gli altri risparmiatori ai
quali quelle risorse erano state originariamente destinate.
Sembrano ormai il classico prezzemolo buono per tutti i menù e
puntuali arrivano anche in quello, del tutto indigesto, di
Alitalia.
Forse qualcuno ricorderà il grande battage pubblicitario quando
vennero lanciati i depositi dormienti come
panacea per il ristoro degli investitori che avevano subito
dolorosissimi salassi nei default Parmalat e Argentina. TRISTI
PROFEZIE
All’epoca, tra i molti e retorici richiami alla tutela del
risparmio, furono in pochi a sottolineare che era tutto sommato
facile individuare i soldi addormentati, e infatti le procedure
si stanno concludendo in questi giorni, ma era molto più
difficile definire i criteri di ripartizione
fra i risparmiatori, profetizzando una scarsissima efficacia
della nuova legge.
Profezia puntualmente avveratasi: nella bozza di regolamento che
si può trovare sul sito del ministero del Tesoro si prevede che
il risparmiatore per avere indietro i suoi soldi deve aver
subito un danno ingiusto, accertato con sentenza passata in
giudicato o con lodo arbitrale, e comunque non risarcito. In
altri termini, bisogna aspettare tutti i gradi di giudizio ed
essere in presenza di un intermediario che sebbene condannato
non tira fuori un euro. Con questi requisiti e con i noti tempi
biblici della giustizia italiana, difficilmente si vedranno, se
si vedranno, molti rimborsi. D’altronde, la scelta del decreto è
giustissima: la commissione ministeriale di gestione del fondo
non può giudicare sui diritti di migliaia e migliaia di
investitori, ciascuno con una posizione diversa, e quindi deve
necessariamente ancorarsi a un dato certo come l’esistenza di
una sentenza. Il problema non è nel decreto, ma nella natura del
fondo e nella pretesa di istituire meccanismi di
rimborso generalizzato, che se hanno grande effetto
mediatico, alla prova dei fatti non funzionano.
E I DEPOSITI SE NE VANNO
La scarsa fiducia nei depositi dormienti è dimostrata dal
fatto che prima ancora di conoscere il loro reale ammontare, i
diversi governi hanno cominciato a destinare le risorse del
fondo ad altri scopi: prima la stabilizzazione
dei precari nella pubblica amministrazione, poi la social card.
Così oltre che aspettare un bel po’ di tempo, il nostro
investitore salassato corre il rischio di trovare le casse
vuote.
E adesso, appunto, ci si mette anche Alitalia:
in base al decreto di riforma della legge Marzano “al fine di
tutela del risparmio” (ancora una volta!) anche “i piccoli
azionisti ovvero obbligazionisti” della compagnia di bandiera
potranno beneficiare del fondo e sarà un nuovo decreto del
Consiglio dei ministri a stabilire come.
LA GUERRA TRA POVERI
A prescindere dal fatto che ormai la mangiatoia comincia a
essere decisamente affollata, anche la nuova categoria di
risparmiatori corre non pochi pericoli. Innanzitutto bisogna
essere “piccoli” e si può essere piccoli
rispetto all’investimento effettuato, oppure rispetto al proprio
reddito, ma non è facile trovare un criterio discriminante per
modulare la protezione soltanto in base alla dimensione.
Ad esempio, se ho investito duecentomila euro probabilmente non
verrò considerato “piccolo”, ma se quella somma rappresenta
tutti i miei risparmi perché non devo essere tutelato?
Senza tener conto, poi, che azionisti e obbligazionisti non sono
in alcun modo soggetti assimilabili, perché ciascun investimento
riflette caratteristiche diverse e soprattutto diversa
propensione al rischio e non possono essere trattati allo stesso
modo. E non è ben chiaro sia il valore dei titoli in base al
quale calcolare il rimborso, sia il suo ammontare.
Ma c’è un altro problema, forse il più spinoso: la guerra tra
poveri. Non soltanto infatti si introducono evidenti
discriminazioni tra diverse categorie di creditori di
Alitalia, ma si discrimina anche tra i salassati.
Il possessore di obbligazioni Parmalat o Argentina che, dopo i
precari e le social card, si vede rapidamente passare davanti
l’obbligazionista (o peggio ancora l’azionista) Alitalia,
sicuramente non sarà felicissimo e forse qualche triste pensiero
su quanto fumo negli occhi i depositi dormienti abbiano
prodotto, lo farà.
Chi invece ha la fortuna di non appartenere alla categoria dei
salassati farà comunque qualche triste riflessione su queste
misure ad hoc che, oltre a introdurre nel sistema elementi di
iniquità, non contribuiscono certo a realizzare una equilibrata
ed efficace tutela del risparmio
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Archivio Infrastrutture e Trasporti
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