«Ma
quale conflitto di interessi. La sinistra ha concesso a Sky per i rapporti che
aveva con quella televisione il privilegio del 10 per cento dell'Iva. Abbiamo
tolto quei privilegi e abbiamo fatto ritornare l'Iva a Sky uguale a quella di
tutti gli altri». E' proprio questa la vera storia del trattamento fiscale
agevolato per la pay tv? "L'espresso" ha fatto una piccola inchiesta per
ricostruire la vicenda dello sconto dell'Iva a Telepiù, il primo nome della tv a
pagamento che fu fondata dal gruppo Fininvest per essere ceduta prima a una
cordata di imprenditori amici, poi ai francesi di Canal Plus e infine nel 2002 a
Murdoch che la denominerà con il nome del suo gruppo: Sky.
Si scopre così che l'Iva agevolata sugli abbonamenti della pay-tv italiana è
stata un trattamento di favore risalente al 1991 fatto dal ministero retto dal
socialista Rino Formica e dal governo Andreotti a Silvio Berlusconi in persona.
Non solo: dietro questo favore, secondo la Procura di Milano, c'era persino
stato un tentativo di corruzione.
Nel 1997 Il pubblico ministero Margherita Taddei chiese il rinvio a giudizio per
Berlusconi. Lo chiese anche sulla base di un fax che fu trovato durante una
perquisizione. La missiva era opera di Salvatore Sciascia, allora manager
Fininvest e oggi parlamentare del Pdl nonostante una condanna definitiva in un
altro procedimento per le mazzette pagate dal gruppo alle Fiamme Gialle. Nel
fax, diretto a Silvio Berlusconi, Sciascia chiedeva di spingere per far nominare
alla Corte dei Conti il dirigente del ministero delle Finanze Ludovico
Verzellesi, meritevole perché in precedenza si era speso per fare ottenere
l'agevolazione dell'Iva al 4 per cento per Telepiù. In pratica, secondo la
ricostruzione dei magistrati, la raccomandazione era il ringraziamento di
Fininvest per il trattamento ricevuto.
Il fascicolo processuale però fu trasferito nella Capitale per competenza nel
1997. Nel 2000 il Gip Mulliri, su richiesta del procuratore di Roma Salvatore
Vecchione e del pm Adelchi D'ippolito (oggi capo dell'ufficio legislativo del
ministero dell'economia con Giulio Tremonti) archiviò tutto. Nessuna rilevanza
penale, quindi. Ma restano i dati oggettivi sulla trattativa tra la Fininvest e
il ministero per l'abbassamento dell'Iva sulla pay tv: dal 1991 al 1995 quando
era controllata o partecipata dal gruppo Berlusconi, Telepiù ha goduto di
un'aliquota pari al 4 per cento. Un'agevolazione che allora Berlusconi non
considerava scandalosa. Mentre oggi definisce "un privilegio" l'aliquota più che
doppia del 10 per cento.
L'innalzamento dal 4 all'attuale 10 per cento fu introdotto alla fine del 1995
nella legge finanziaria del Governo Dini. All'epoca i manager di Telepiù, scelti
dal Cavaliere, salutarono così il provvedimento: «È l'ultimo atto di una
campagna tesa a mettere in difficoltà la pay tv».
Il 25 ottobre del 1995, Mario Zanone Poma, (amministratore di Telepiù sin dalla
sua fondazione) dichiarava alle agenzie di stampa: «L'innalzamento dell'aliquota
Iva:
1) contraddice la sesta direttiva della Comunità Europea;
2) contraddice l'atteggiamento degli altri paesi europei verso aziende
innovative quali le pay tv;
3) crea una grave discriminazione tra la pay-tv e il servizio televisivo
pubblico». In pratica il manager scelto da Berlusconi diceva le cose che oggi dicono gli
uomini di Murdoch.
Effettivamente un ruolo dei comunisti ci fu. Ma a favore del Cavaliere.
Il Governo Dini voleva aumentare l'Iva fino al 19 per cento (come oggi vorrebbe
fare Berlusconi) ma poi fu votato un emendamento di mediazione che fissò
l'imposta al 10 per cento attuale. L'emendamento passò con il voto decisivo di
Rifondazione Comunista: il suo leader dell'epoca, Fausto Bertinotti, in un
ribaltamento dei ruoli che oggi appare surreale, fu duramente criticato
dall'allora responsabile informazione del Pds (e attuale senatore del PD)
Vincenzo Vita: «È squallido che Bertinotti abbia permesso un simile regalo a
questo nuovo trust della comunicazione, figlio della Fininvest».
30/11/2008 Concorrenza governativa (http://www.antoniodipietro.com)
Nel pacchetto ironicamente denominato “anti-crisi” è contenuto un
provvedimento che colpisce gli abbonamenti della pay-tv, ossia
Sky. Il provvedimento raddoppia l’iva dal 10 al 20%.
Silvio Berlusconi sta utilizzando, ancora una volta, lo Stato e la sua
posizione in conflitto di interessi per favorire le sue
televisioni. Lo fa invitando grottescamente i cittadini a consumare di
più ma prelevando ulteriori soldi dalle loro tasche.
Il rilancio dei consumi millantato in comizi e apparizioni televisive si è
arrestato a misure fittizie e di facciata come quelle della
social card. Se Berlusconi avesse voluto rilanciare i consumi
avrebbe ridotto l’iva come è accaduto in Inghilterra dove Gordon Brown
ha annunciato la riduzione dell’iva dal 17,5 al 15%.
La realtà è che questa manovra mira a colpire l’unico vero concorrente
sul mercato di Mediaset , Sky, un’azienda che in
questi anni, come afferma il suo amministratore delegato Italia Tom
Mockridge, ha creato migliaia di posti di lavoro investendo
continuamente per lo sviluppo dell’azienda in Italia. Non basta, colpisce anche
4,6 milioni di famiglie. L’azienda di Cologno finge in pubblico
di indignarsi, ma brinda in privato nella villa di Arcore,
visto che la manovra sarebbe comunque insignificante poiché colpirebbe una parte
marginale del business di famiglia del Presidente del Consiglio.
Dopo la vicenda Europa 7, Silvio Berlusconi compie un'altra
manovra per mettere al sicuro le sue aziende dalla crisi che investirà il Paese,
le famiglie e le altre imprese, non le sue.
Peter Gomez e Marco Lillo - Espresso.repubblica.it, 1 dicembre 2008
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