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Il tetto pubblicitario è la modica quantità di inserzioni
consentita a giornali e televisioni. Un osso
che si disputano per sopravvivere. I giornali accusano le televisioni di
disporre di un tetto più alto del loro. Fuori dai parametri europei. Più
pubblicità è permessa alle televisioni, meno pubblicità è disponibile per i
giornali. Per questo gli editori della carta stampata pretendono di essere
finanziati dallo Stato. O un tetto più alto o i finanziamenti
pubblici.
Il lettore del giornale è assente da questo ragionamento. Il mercato, quello
vero, quello dell’informazione, non è neppure preso in considerazione. I soldi
devono arrivare dai contribuenti o dai grandi gruppi economici. Sono infatti la
Fiat, la Telecom, l’ENI, Intesa San Paolo,
eccetera a riempire di paginate a pagamento i quotidiani e a influenzare la
penna dei giornalisti economici. Chi si metterebbe contro chi lo tiene in vita?
Quanti hanno criticato la gestione del tronchetto dell’infelicità quando era
presidente di Telecom? Chi ha detto la verità sul valore delle
azioni Telecom comprate a 2,9 euro lo scorso anno dalle banche
quando si sapeva che il valore reale era di 1,5 euro (come
scrissi sul blog)? A proposito di chi sono le banche? Di chi sono i
soldi con cui hanno liquidato il tronchetto? Non saranno per caso dei
correntisti e degli investitori? Chi ha fatto l’analisi finanziaria/giudiziaria
di
Cesare Geronzi in questi anni, il presidente del consiglio di
sorveglianza (SORVEGLIANZA?) di Mediobanca rinviato ieri a giudizio per
estorsione nel filone Eurolat del processo Parmalat?
Gli editori e i giornalisti di pubblicità ne vorrebbero di più, non per i
lettori, ma per il bene dell’informazione. I giornali senza la pubblicità e
senza la carità dello Stato chiudono? E chiudano. Giornale c’è se
lettore compra. Altrimenti non può informare. Può fare la velina delle
grandi aziende o l’ufficio stampa dei partiti. Legittimo, ma perché dobbiamo
pagarlo noi attraverso le nostre tasse? E, soprattutto, perché dovremmo
comprarlo?
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