L’antefatto
risale allo scorso mercoledì 21 gennaio, quando in
64 sono sbarcati sulle coste di Lampedusa. Altri
otto, o forse dieci, non sono arrivati perché sono
scivolati inermi nell’acqua: morti di stenti, di
fame o di freddo. Quelli che ce l’hanno fatta sono
diventati carne fresca per un Cpa che definire al
collasso risulterebbe eufemistico. Sono ormai 1800 i
migranti in attesa al centro di prima accoglienza
dell’isola, più del doppio di quelli che la
struttura può ospitare, arrivando anche ad essere in
50 in camerate omologate al massimo per 20 persone.
Il sindaco Dino De Rubeis denuncia la criticità
della situazione e rimuove “a malincuore” la sua
vice Angela Maraventano, senatrice in quota Lega
Nord, colpevole di aver causato grave allarme
sociale nella popolazione dell'isola. Nella
motivazione alla revoca si legge: “La senatrice
anziché farsi interprete di tale giusto e fondato
disagio, ha assunto sulla questione immigrazione
posizioni dissonati con quella del sindaco,
dell’amministrazione e della popolazione”.
Già prima della fine dell’anno il ministro Maroni
aveva “rassicurato” tutti sulla prossima risoluzione
dell’affaire Lampedusa - un Centro di
Identificazione ed Espulsione nuovo di zecca - ma la
popolazione della maggiore delle Pelagie non sembra
essere d’accordo con i progetti di Roma per la
trasformazione dell’isola in una moderna Alcatraz, e
decide di scendere in piazza. Quello che gli isolani
non aspettavano proprio, era però di vedere una
folla di migranti evasi dal Cpa unirsi al loro
corteo e alla loro protesta. E’ successo sabato
scorso: in ottocento, forse mille - probabilmente
esasperati dalle condizioni di degrado in cui li
lasciano, dal cibo sempre uguale,
dall'indeterminatezza della loro situazione - hanno
scavalcato le recinzioni in modo spontaneo e si sono
riversati nelle viuzze che attraversano l’isola,
arrivando poi ad unirsi agli autoctoni che, sebbene
inizialmente interdetti dalla paradossalità della
scena, li hanno subito accolti con un fragoroso
applauso.
“Amici - gridavano in coro alcuni cittadini - la
nostra lotta è la vostra lotta. Il nostro nemico è
lo stesso: lo Stato assassino!". La rabbia di
Lampedusa, scatenata dalla decisione di Maroni di
istituire un Cie nell'ex base Loran della Marina
mercantile, si è quindi sommata a quella dei
"clandestini", che non ce la fanno più a rimanere
nell'attuale centro di accoglienza sovraffollato e
vogliono essere trasportati via da quella che sempre
più pare un’isola-prigione. Il momento di comunione
tra autoctoni e ospiti si è però esaurito in
giornata, quando i migranti hanno fatto mestamente
ritorno al Cpa scortati dagli stessi lampedusani,
preoccupati soprattutto di non far degenerare un
situazione già più che surriscaldata.
Anche domenica è stata una giornata calda,
politicamente parlando. Angela Maraventano, ha
improvvisato un comizio riparatorio nella piazza
centrale ma è stata zittita dagli slogan della folla
inferocita: “Venduta, vattene!”, “Stà zitta,
buffona” e il popolo in versione giacobina dà la
parola all’attuale sindaco Dino de Rubeis,
intenzionato a replicare alle profferte della
politica che propongono Lampedusa come nuovo porto
franco dopo Livigno. “Lampedusa non è in vendita!
Siamo davanti - ha detto - ad uno Stato prepotente
che vuole imporci le sue scelte e vuole trasformare
quest’isola in un carcere a cielo aperto. Pensano a
creare centri d’identificazione ed espulsione per
far fronte ad una politica che, finora, si è
rivelata fallimentare”. E subito lancia l’appello
per un altro sciopero generale contro la politica
invasiva del Viminale, che fa di Lampedusa l'unico
approdo effettivo per tutti i migranti in attesa del
rimpatrio forzato.
Tra Roma e le Pelagie fioccano le polemiche: Maroni
stizzito minaccia di denunciare il sindaco isolano
perché “é la sinistra ad aizzare i clandestini”, De
Rubeis risponde che il ministro “può denunciare chi
vuole, in questo Paese è ancora consentito esprimere
opinioni”, il Pd locale rimprovera alla leghista che
“si è fatta riportare a Lampedusa da un automezzo
dei vigili del fuoco, ha commesso abuso di potere”
e, dulcis in fundo, il consiglio comunale presenta
una denuncia alla procura di Agrigento in cui Maroni
viene accusato di trattenere illegalmente gli
extracomunitari nel Cpa dove non potrebbero restare
per più di 48 ore. Ordinaria amministrazione
politica.
Quello che invece è straordinario è la presa di
coscienza dei migranti. Si dice che in realtà la
fuga in massa dal Cpt sia stata organizzata dai 1200
tunisini, il cui destino è ancor più appeso a un
filo: domani il ministro dell’interno sarà in visita
a Tunisi per concordare e approntare un piano di
rimpatrio immediato, ma già da domenica sono state
una ventina le donne tunisine ed algerine che hanno
dato il via ad uno sciopero della fame a oltranza
per cercare di contrastare le decisioni del governo.
Tra i 1200 in probabile partenza, anche molti
giovani provenienti dal bacino minerario di Gafsa,
operai duramente repressi dal regime tunisino dopo
le proteste sociali che si sono scatenate lo scorso
anno e che sono in Italia in cerca di asilo
politico. “Meglio morti che rimpatriati” urlano dal
Cpa. C’è da capirli.
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