Sono lo strumento di distruzione più micidiale della coalizione
internazionale in guerra contro Gheddafi. Hanno sganciato centinaia di
missili “Tomahawk” all’uranio impoverito, spargendo polveri radioattive
nelle città e nei villaggi della Libia. Transitano in immersione nei mari
del sud Italia, attraversando i corridoi marittimi più trafficati come lo
stretto di Messina. Per le loro soste scelgono le popolatissime baie ai
piedi di due vulcani, l’Etna e il Vesuvio, accanto a depositi di carburante
e munizioni, raffinerie e industrie chimiche. Si tratta dei sottomarini a
propulsione nucleare della marina militare USA, impianti antiquati e
pericolosi tipo “centrale Chernobyl”, con l’aggravante che se ne vanno a
spasso liberi per i nostri mari. Uno di essi è approdato il 4 aprile ad
Augusta (Siracusa), in un’area ad altissimo rischio ambientale, sede di
un’importante base della Marina militare italiana e del principale polo
navale delle forze USA e NATO nel Mediterraneo.
L’arrivo del sottomarino è stato comunicato dalla Capitaneria di Porto
della cittadina siciliana. “Visto il vigente piano di emergenza e le norme
per la sosta di unità militari a propulsione non convenzionale nel porto di
Augusta – si legge nell’ordinanza firmata dal comandante Francesco Frisone –
è fatto divieto a tutte le unità navali non specificatamente autorizzate di
avvicinarsi, transitare o sostare ad una distanza inferiore a 1.000 metri
dalla unità a propulsione non convenzionale posta alla fonda nel punto di
latitudine 37° 10′ 18”N e longitudine 015° 14′ 36”E”. Durante le manovre di
ingresso e uscita dell’unità militare è stato pure sospeso il traffico
mercantile nel golfo di Augusta. Con la guerra la Sicilia è sempre più a
sovranità limitata: il più grande porto industriale dell’isola è dichiarato
off limits per consentire le spericolate manovre dei sottomarini atomici,
l’aeroporto di Trapani-Birgi viene chiuso al traffico civile, l’uso dello
spazio aereo di Catania-Fontanarossa viene limitato per non disturbare le
missioni dei caccia e dei velivoli senza pilota della vicina base di
Sigonella.
Le autorità italiane hanno mantenuto il più stretto riserbo sul
sottomarino in rada ad Augusta. Fonti del Pentagono riferiscono che le unità
subacquee dislocate nel Canale di Sicilia per bombardare gli obiettivi
militari e civili libici sono tre: l’USS Providence (SSN 719), l’USS
Scranton (SSN 756) e l’USS Florida (SSGN 728). Ma all’area operativa della
VI flotta è pure assegnato l’USS Newport News (SSN 750). Il Providence ha
effettuato una sosta tecnica a Gibilterra dal 24 al 28 marzo e pare
improbabile che all’equipaggio sia stata concessa un’altra licenza-premio
dalla guerra in nord Africa. È presumibile dunque che il sottomarino
nucleare approdato in Sicilia sia lo Scranton (già fotografato nelle acque
di Augusta il 6 marzo 2011), il Florida (tra il 3 e il 4 marzo in sosta nel
porto di Napoli) o il Newport News, transitato da Napoli, secondo il Comando
delle forze navali statunitensi in Europa ed Africa, lo scorso 8 marzo. In
tutti e tre i casi c’è assai poco da star tranquilli. Scranton e Newport
News (come il Providence) appartengono alla classe “Los Angeles”: realizzati
nella prima metà degli anni ’80, sono lunghi 110 metri, pesano 6.184
tonnellate, imbarcano 110 uomini e dispongono di un imponente arsenale di
morte (siluri Mk48 ADCAP, missili per attacco a terra “Tomahawk” block 3
SLCM con una gittata di 3.100 km. e missili anti-nave “Harpoon”). La loro
spinta è assicurata da un reattore ad acqua pressurizzata S6G, dove la S sta
per Submarine platform, il 6 per Sixth generation e la G per General
Electric, la società realizzatrice dell’impianto nucleare con una potenza di
165 MW.
Ancora più imponente l’USS Florida, sottomarino della classe “Ohio”:
varato nei primi anni ’80, è lungo 170 metri e pesa 18.750 tonnellate,
mentre il reattore nucleare è indicato con il codice S8G PWR (di ottava
generazione) con una potenza di 26,1 MW. Il suo carburante è l’uranio
arricchito nell’isotopo U235, sostituito di norma ogni 7-8 anni invece dei
18 mesi previsti per i reattori degli impianti “civili” di terra. Nel 2003
il Florida è stato convertito da sommergibile con lanciatori di missili
nucleari balistici intercontinentali (SSBN) a piattaforma lanciamissili per
l’attacco a terra (SSGN), 22 gruppi di lanciatori con 7 missili ciascuno
BGM-109 “Tomahawk” TLAM. L’attacco sferrato contro la Libia ha segnato il
battesimo di fuoco per le unità SSGN della classe “Ohio”. “Questo nuovo
guided missile submarine dispone di un potere dodici volte maggiore dei
vecchi sommergibili d’attacco della classe “Los Angeles”, e di gran lunga
superiore perfino agli incrociatori lanciamissili”, scrive l’attivista Phil
Rushton di Peacelink. “Oltre all’equipaggio composto da 159 uomini, il
Florida può imbarcare 60 militari SEAL delle Special Operations Forces (SOF),
specializzati in operazioni di incursioni segrete, sabotaggio e
intelligence, e che dispongono dei propri mezzi sommergibili per arrivare al
bersaglio”. L’unità è pure dotata di un sistema di comunicazione di ultima
generazione con antenne “High Data Rate”, che le consente di operare da
struttura di comando e coordinamento dell’attacco di più mezzi, organizzati
intorno al concetto militare di Small Combatant Joint Command Center
(piccolo centro combattente di comando congiunto).
Secondo quanto denunciato nel 2004 dall’allora parlamentare dei Verdi
Mauro Bulgarelli, oltre ad Augusta e Napoli ci sarebbero altri nove porti
italiani in cui vengono periodicamente ospitati sottomarini o unità navali a
propulsione nucleare (Brindisi, Cagliari, Castellamare di Stabia, Gaeta, La
Maddalena, La Spezia, Livorno, Taranto e Trieste). “Per motivi di sicurezza
e per l’impossibilità delle autorità militari di ottemperare secondo legge
alle disposizioni delle autorità civili, in nessuno degli attuali porti
italiani è ammissibile la presenza di unità nucleari”, afferma l’ingegnere
Massimo Zucchetti, professore ordinario di “Impianti nucleari” presso il
Politecnico di Torino. Autore del prezioso studio sull’utilizzo nel
conflitto in Libia di missili “Tomahawh” all’uranio impoverito, il
professore Zucchetti ha avuto modo di esaminare i cosiddetti “piani di
emergenza esterna” relativi alla sosta di unità militari a propulsione
nucleare nei porti di La Spezia, Taranto, Gaeta e La Maddalena.
“L’elaborazione dei piani e la loro pubblicità è richiesta dalla vigente
legislazione civile sulla radioprotezione”, spiega il docente. “È
indispensabile una informazione completa sui dettagli tecnici relativi
all’impianto per effettuare un’analisi incidentale credibile e stimare
adeguatamente il rischio. Nel caso di reattori nucleari a bordo di unità
navali militari, molte di queste informazioni mancano o sono insufficienti.
Quanto sarebbe necessario acquisire, conoscere, ispezionare ed accertare si
scontra molto spesso con il segreto militare. Mancano molte delle
informazioni che sarebbe necessario ottenere, oppure sono inottenibili o
vengono trasmesse mediante comunicazioni da parte della Marina Militare o
addirittura della US Navy, con una modalità di autocertificazione che è
inaccettabile nel caso dell’analisi di sicurezza di un impianto nucleare”.
Massimo Zucchetti ricorda inoltre come le normative prevedano intorno ai
reattori nucleari un’area in cui non sia presente popolazione civile (la
cosiddetta “zona di esclusione”), mentre è richiesta, in una fascia
esteriore più ampia, una scarsa densità di popolazione per ridurre le dosi
collettive in caso di rilasci radioattivi, sia di routine che incidentali.
Normalmente, la fascia di rispetto ha un raggio di 1.000 metri e vi sono
requisiti di scarsa densità di popolazione per un raggio di non meno di 10
km dall’impianto. “Nell’ambito della localizzazione e del licensing di
reattori nucleari civili terrestri, questi requisiti vengono rispettati
nella fase di selezione del sito e dell’installazione della centrale”,
spiega Zucchetti. “Cosa del tutto diversa nel caso dei reattori nucleari a
bordo di unità navali militari, dato che molti dei porti si trovano in aree
metropolitane densamente popolate e i punti di attracco e di fonda delle
imbarcazioni sono, in alcuni casi, posti a distanze minime dall’abitato”.
“La presenza di reattori nucleari in zone densamente popolate – conclude
l’ingegnere – provoca poi, in caso di incidente, evidenti difficoltà di
gestione dell’emergenza. Anche in caso di messa in opera di avventurose
soluzioni di rimedio, l’impatto ambientale è comunque assai rilevante”.
L’orrore di Fukushima è tutt’altro che remoto per milioni di inconsapevoli
cittadini italiani.
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