Le organizzazioni
internazionali chiedono a Roma e Bruxelles di non farsi trovare
impreparate di fronte a una nuova ondata di sbarchi. Ma mentre l'Unione
europea si organizza, il governo italiano parla per slogan e con Bossi
dice: "Mandiamo i clandestini in Francia e Germania"
Oltre a una possibile ricaduta sui rifornimenti energetici, a
preoccupare la comunità internazionale e il governo italiano sono le
ripercussioni della crisi libica sui flussi migratori. In serata in un
vertice a palazzo Chigi, secondo quanto riferiscono fonti governative,
si è parlato del rischio che in Italia arrivino 200-300 mila migranti
in fuga dalla Libia.
Il ministro della Difesa Ignazio La Russa, l’unico a
parlare a margine del vertice, ha dichiarato: “Sì, siamo molto
preoccupati per gli arrivi. Ci sono due milioni e mezzo di
stranieri in Libia e quindi possono esserci problemi per i flussi di
migranti”.
Gheddafi poi non è nuovo a usare l’arma degli immigrati come
strumento di ricatto nei confronti dell’Europa e dell’Italia. Come se
si trattasse di merce, il Rais ha ribadito le sue minacce solo pochi
giorni fa, quando ha convocato l’ambasciatore ungherese (paese
presidente di turno dell’Unione europea) per recapitargli un messaggio
molto chiaro: se l’Europa avesse continuato a sostenere le ragioni dei
manifestanti anti-regime, il colonnello non sarebbe stato più disposto
a collaborare con il Vecchio continente sul fronte del contrasto
all’immigrazione clandestina.
Al di là dei ricatti con cui Gheddafi gestisce la sua
politica estera, una cosa è certa: la guerra civile in atto in tutta
la Libia avrà delle ripercussioni pesanti sulle ondate migratorie
provenienti dall’Africa.
E’ successa la stessa cosa con i moti in Tunisia,
quando nei giorni scorsi Lampedusa, approdo naturale per chiunque
parta dalla sponda sud del Mediterraneo, è stata letteralmente invasa
da diverse migliaia di giovani in fuga dall’instabilità politica del
loro paese.
Nonostante la notizia fosse stata ampiamente annunciata dalle cronache
giornalistiche di mezzo mondo, il governo italiano si fece trovare
completamente impreparato all’emergenza con gli effetti che ben
conosciamo.
La paura ora è che anche in questo caso si ripeta lo stesso copione.
Ma con numeri molto più alti.
“Non facciamoci cogliere impreparati”, questo l’appello di
Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr, l’Alto commissariato
Onu per i rifugiati e i richiedenti asilo, che ha invitato il governo
nazionale e l’Unione europea a tenere alta l’attenzione sugli effetti
che la grave situazione libica potrebbe avere sulle frontiere
meridionali del Continente e soprattutto sulle coste italiane. “Molto
dipenderà dalla dagli sviluppi della crisi – ha continuato la Boldrini
– Se le proteste venissero ascoltate ci sarebbero dei cambiamenti e i
libici potrebbero avere interesse a restare in patria. Ma se il potere
non dovesse cedere è ipotizzabile che i ragazzi protagonisti della
rivolta cerchino la fuga”.
Dal canto suo Bruxelles ha annunciato che, qualora ve
ne fosse bisogno, la missione Frontex, dispiegata due
giorni fa a Lampedusa, “può essere ampliata in
termini di risorse umane e tecniche”. Lo ha assicurato il portavoce
della commissaria europea agli Affari interni, Cecilia
Malmstroem. Ma fonti Ue hanno anche avvertito l’Italia: non
conti su uno smistamento del flusso migratorio: ”Solidarietà” con il
governo italiano, “disponibilità a fornire materiale umano e mezzi
finanziari”, ma non ci sarà alcuna apertura nei confronti di una
distribuzione del fardello dell’immigrazione proveniente dai Paesi del
Nord Africa.
Per il momento la missione “Hermes“, organizzata
dall’Ue nell’isola siciliana, conta su 30 esperti internazionali,
quattro aerei e due elicotteri e altrettanti battelli italiani. Il
compito è quello di monitorare gli arrivi, identificando i migranti
che approdano a Lampedusa, verificandone la provenienza e la volontà
di chiedere asilo: tutte informazioni da utilizzare per successive
“decisioni politiche” sul loro trattamento.
Se a livello europeo qualcosa si muove per fronteggiare il sempre più
probabile esodo, a Roma si litiga e si parla per slogan. Il livello di
consapevolezza del governo italiano sulla gravità della situazione lo
ha sintetizzato Umberto Bossi in una sola frase: “La
situazione in Nord Africa porterà un’ondata di clandestini? Intanto
non sono arrivati, speriamo che non arrivino. Se arrivano li manderemo
in Francia e Germania”.
Anche il governatore siciliano Raffaele Lombardo non
ha fatto di meglio. Senza spingersi come il Senatùr verso il nord
Europa, ha comunque detto che di una possibile ondata migratoria
proveniente da Libia, Tunisia ed Egitto se ne dovrebbero fare carico
regioni come la Lombardia e il Veneto. Parole che hanno provocato
l’alzata di scudi da parte degli interessati. Il veneto
Roberto Cota ha detto che il politico siciliano “ha perso una
buona occasione di stare zitto” e il collega lombardo Roberto
Formigoni ha bollato come “triste” l’intervento
dell’esponente dell’Mpa. “Siamo in presenza di una tragedia dalle
dimensioni storiche – ha dichiarato il titolare del Pirellone – alla
quale non vorrei si rispondesse con le nostre piccolezze”.
Al vuoto della politica italiana risponde il terzo settore. Sia
Amnesty international che la Caritas
hanno chiesto al governo di sospendere l’accordo sottoscritto con la
Libia nel 2008 in tema di contrasto all’immigrazione irregolare.
“Dobbiamo dire che è fallita la politica degli accordi bilaterali con
la Libia sui flussi per fermare l’immigrazione”, ha detto
Oliviero Forti, responsabile nazionale immigrazione della
Caritas.
Su come fare fronte al sempre più probabile esodo di migliaia di
cittadini dalla sponda meridionale del mare nostrum il governo naviga
a vista. E la situazione può diventare ben più grave di quella che
abbiamo visto nei giorni scorsi a Lampedusa. Potrebbe infatti
riaprirsi la rotta degli schiavi che negli anni scorsi ha portato
sulle coste lampedusane decine di migliaia di immigrati provenienti
dall’Africa Sub-sahariana. Una falla che Roberto Maroni
aveva temporaneamente chiuso con gli accordi con Tripoli e
con la dissennata politica dei respingimenti dei barconi in alto mare.