I Paesi dell'area Ue e gli
Stati Uniti condannano fermamente l'uso della violenza. Il Governo di Roma
dopo l'infelice battuta di Berlusconi sabato (“Non voglio disturbare Gheddafi”),
in serata ha commentato gli accadimenti con una breve nota della presidenza
del Consiglio. Nel documento si legge che il premier "segue con estrema
attenzione e preoccupazione l’evolversi della situazione in Libia e si tiene
in stretto contatto con tutti i principali partner nazionali e internazionali
per fronteggiare qualsiasi emergenza". Il ministro degli Esteri, Franco
Frattini, si è limitato a esprimere preoccupazione per la crisi in Nordafrica
e ha aggiunto: "L'Europa non esporti la democrazia". L’Italia “sottoscriverà
qualsiasi tipo di dichiarazione che promuova la stabilità, la sicurezza e la
prosperità nel Mediterraneo”, ha detto confermando che i timori sono legati,
come già espresso da Roberto Maroni, alle “ripercussioni sulle situazioni
migratorie nel sud del Mediterraneo”. E dopo che Seif al-Islam, il figlio di
Gheddafi, ha tenuto un discorso alla nazione annunciando, di fatto, la
repressione, anche le aziende che operano in Libia battono in ritirata.
Eni ha richiamato alcuni dipendenti e i loro familiari (leggi
l'articolo). Da ore si rincorrono, tra annunci e smentite, le
voci di fuga del rais. La protesta si è estesa fino al Marocco. E lo scontro
diplomatico si acuisce.
Il Colonnello ha minacciato la Ue di non rispettare più gli accordi che
prevedono il controllo delle coste per evitare flussi migratori verso il
vecchio continente
(leggi l'articolo)
22/02/2011 La Libia brucia, voci su una possibile fuga del Rais. Almeno 250 i morti a Tripoli (http://www.ilfattoquotidiano.it)
Quasi trecento morti. I cecchini
sparano sulla folla. Al Jazeera: "Il rais in Venezuela". Saif Al Islam, figlio
di Gheddafi, evoca scenari da guerra civile e smentisce la fuga del padre: "Il
colonnello guida la lotta da Tripoli". L'Ue: "Indignati dall'inaccetabile uso
della forza"
Raid aerei sui manifestanti, colpi di mitragliatrice sulla piazza in
protesta. E’ un’altra giornata di sangue quella vissuta oggi dalla Libia in
rivolta contro il dittatore Muhammar Gheddafi, al potere dal 1969.
La sorte del leader libico rimane in ogni caso un mistero. Il ministero degli
Esteri inglese dà per certa una sua fuga verso il Venezuela: “Non ho
informazioni sul fatto che sia lì, ma ho avuto visione di informazioni che
indicano che in questo momento si sta dirigendo là”. Ma la Ue e le autorità
venezuelane per ora smentiscono: “Non è previsto il suo arrivo”. La notizia
era già circolata questa mattina: secondo i gruppi di opposizione il Rais è
ancora nel paese mentre per la televisione del Qatar il raìs sarebbe fuggito
nel paese sudamericano. La notizia era stata poi smentita dal secondogenito
Saif Al Islam: “Muammar Gheddafi sta guidando la lotta a Tripoli e vinceremo”.
Il figlio del rais ha evocato scenari da guerra civile e il ritorno del potere
coloniale.
Intanto l’immagine perfetta di quello che sta succedendo in Libia in queste
ore è il palazzo del Governo dato alle fiamme dai manifestanti a
Tripoli. Razziati e dati alle fiamme anche altri edifici governativi
a Tripoli. La folla ha dato l’assalto alla sede della televisione nazionale
pubblica. E questa mattina anche diverse stazioni di polizia della città sono
state prese d’assalto e incendiate. La polizia e la sicurezza libica sono
completamenti assenti nel centro della città, anzi le forze dell’ordine si
sono date a saccheggi di uffici e banche.
Durissima la reazione dell’esercito. Le televisioni arabe riferiscono di colpi
di mitragliatrice sulla piazza in protesta e di raid aerei contro i
manifestanti a Tripoli, in cui sarebbero state sganciate bombe sulle zone in
mano agli insorti. Al Jazira parla di almeno 61 morti nella
capitale, ma la cifra potrebbe salire fino a 300 e forse più. Un dato
difficile da aggiornare data la scarsità di informazioni e di copertura dei
media. Nel pomeriggio, intanto, due caccia libici sono atterrati a Malta. I
piloti hanno chiesto asilo politico. Una decisione motivata probabilmente dal
rifiuto di bombardare i concittadini in protesta.
E mentre prosegue l’escalation di sangue nel paese nordafricano, la tensione
rimane alta in tutto il mondo arabo ed anche in Iran. Ieri la protesta è
esplosa anche in Marocco dove decine di migliaia di persone
sono scese in piazza a Rabat e e in altre città del per chiedere riforme
costituzionali. E gli stessi organizzatori hanno dovuto annullare il gran
premier di F1 del Bahrain, per paura che le tensioni possano sfociare in
violenza. Ma dopo le rivolte di Tunisia ed Egitto, gli occhi della comunità
internazionale sono puntati sulla situazione libica.
A quanto riferiscono le agenzie, lo scalo aereo di Bengasi,
seconda città del Paese, è in mano ai manifestanti, tanto che a un aereo della
Turkish Airlines, giunto in Libia per rimpatriare i cittadini
turchi, è stato negato il permesso all’atterraggio. L’Unione europea
intanto si preparerebbe a un’evacuazione dei cittadini comunitari dalla Libia,
in particolare dalla Cirenaica e dalle altre aree orientali. Il ministro degli
Esteri spagnolo, Trinidad Jimenez, ha dichiarato da Bruxelles: “Siamo
estremamente preoccupati e stiamo coordinando la possibile evacuazione dei
cittadini comunitari dalla Libia, specialmente da Bengasi”, il collega per gli
Affari Europei, il francese Laurent Wauquiez, è stato più cauto: “Per il
momento non sussistono minacce dirette che impongano l’immediato rimpatrio –
ha detto – dei circa 750 connazionali residenti nel Paese nord-africano”.
Intanto si contano le vittime della giornata di ieri. Quella domenica di
sangue che ha segnato il sesto giorno di proteste e l’ulteriore inasprimento
del confitto in atto. Secondo l’organizzazione umanitaria Human Rights
Watch, dall’inizio delle proteste, lo scorso 17 febbraio, i morti
sono 233. 60 nella sola Bengasi. Ed è proprio lì che si sono registrati gli
episodi più gravi. Nonostante alcuni esponenti delle forze di polizia si siano
unite ai manifestanti, le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla
arrivando a colpire anche un corteo funebre. La brigata responsabile della
sicurezza in città, al-Fadil Abu Omar, ha usato contro i manifestanti anche
razzi Rpg e armi anti-carro. “La maggior parte delle persone uccise in questi
giorni a Bengasi sono state ferite da colpi d’arma da fuoco al cuore o allo
stomaco”, ha riferito il medico dell’ospedale al-Jala di Bengasi,
Mohammed Mahmoud, nel corso di un collegamento telefonico con la tv
araba al-Jazeera.