Tra le tante tragedia degli ultimi 150 anni d'Italia non si può non
ricordare il massacro (che ha riguardato anche croati e sloveni) delle
Foibe.
Nel periodo compreso tra l'ottobre del 1943 e il maggio del 1945 oltre
10mila italiani furono sterminati dai partigiani comunisti di Josip Broz
(il famoso Maresciallo Tito). Stime precise su quante siano state le
persone uccise nelle Foibe non ci sono (questo accomuna tutti i grandi
stermini). Nelle Foibe venivano gettati i fascisti, i non comunisti,
alcuni socialisti e comunisti in dissenso con il regime Jugoslavo oltre
a tanta gente comune che aveva come unica colpa quella di essere di
nazionalità italiana. Delle Foibe si parla poco e solo dal 2004 è stata
istituita la Giornata del Ricordo (il 10 febbraio). C'è chi ancora nega
che le Foibe siano mai esistite ed in passato anche dei politici
italiani hanno cercato di nascondere la verità. Palmiro Togliatti, oggi
celebrato come un eroe dai sinistroidi, appoggiò la feroce repressione
di Stalin in Unione Sovietica e permise ai "Titoini" di occupare i
territori giuliani e massacrare tutta quella gente. Le Foibe sono un
piccolo ma importante anello della catena di sangue che lega le
innumerevoli stragi compiute in nome del comunismo. Una tragedia,
una macchia indelebile che non è meno importante dell'Olocausto.
Dopo giorni di dura prigionia, durante i quali fummo spesso
selvaggiamente percossi e patimmo la fame, una mattina, prima dell'alba,
sentii uno dei nostri aguzzini dire agli altri "facciamo presto, perché
si parte subito". Infatti poco dopo fummo condotti in sei, legati
insieme con un unico filo di ferro, oltre a quello che ci teneva avvinte
le mani dietro la schiena, in direzione di Arsia. Indossavamo i soli
pantaloni e ai piedi avevamo solo le calze. Un chilometro di cammino e
ci fermammo ai piedi di una collinetta dove, mediante un filo di ferro,
ci fu appeso alle mani legate un masso di almeno 20 k. Fummo sospinti
verso l'orlo di una foiba, la cui gola si apriva paurosamente nera. Uno
di noi, mezzo istupidito per le sevizie subite, si gettò urlando nel
vuoto, di propria iniziativa. Un partigiano allora, in piedi col mitra
puntato su di una roccia laterale, c'impose di seguirne l'esempio.
Poiché non mi muovevo, mi sparò contro. Ma a questo punto accadde il
prodigio: il proiettile anziché ferirmi spezzò il filo di ferro che
teneva legata la pietra, cosicché, quando mi gettai nella foiba, il
masso era rotolato lontano da me. La cavità aveva una larghezza di circa
10 m. e una profondità di 15 sino la superficie dell'acqua che stagnava
sul fondo. Cadendo non toccai fondo e tornato a galla potei nascondermi
sotto una roccia. Subito dopo vidi precipitare altri quattro compagni
colpiti da raffiche di mitra e percepii le parole "un'altra volta li
butteremo di qua, è più comodo", pronunciate da uno degli assassini.
Poco dopo fu gettata nella cavità una bomba che scoppiò sott'acqua
schiacciandomi con la pressione dell'aria contro la roccia. Verso sera
riuscii ad arrampicarmi per la parete scoscesa e guadagnare la campagna,
dove rimasi per quattro giorni e quattro notti consecutive, celato in
una buca. Tornato nascostamente al mio paese, per tema di ricadere nelle
grinfie dei miei persecutori, fuggii a Pola. E solo allora potei dire di
essere veramente salvo. (Giovanni Radeticchio, un sopravvissuto)
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Archivio Giornata del Ricordo delle Foibe
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