Gaza
giace distrutta. Il ritiro dell’esercito
israeliano è giunto puntuale per non
rovinare i festeggiamenti per
l’insediamento di Barak Obama, l’evento
mediatico per eccellenza. La guerra lampo
di Israele ha lasciato sul campo
l’immagine di un massacro che non ci si
attendeva dalle promesse del nuovo secolo.
Invece Gaza giace spezzata. E se la prima
telefonata del nuovo presidente degli
Stati Uniti è stata ad Abu Mazen, come a
testimoniare il nuovo corso della Casa
Bianca in ordine alle vicende del Medio
oriente, le cifre parlano chiaro. Nei 22
giorni dell’assedio israeliano, ora
fermato dalla tregua, la matematica
d’inferno dei numeri annuncia spietata la
cifra di ben 1500 morti, di cui l’85% sono
civili. Ben 20.000 le case danneggiate
dalle bombe con la scusa che sono basi
logistiche di Hamas. Il segretario
generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha
commentato con parole di fuoco, nella sua
breve visita nella Striscia, le
proporzioni del massacro. “Ho il cuore
spezzato” ha detto il numero uno del
Palazzo di vetro.
Poche ore per capire il terrore,
l’angoscia, l’inafferrabile urlo di dolore
che l’operazione “Piombo fuso” ha inciso
nei volti e nei cuori di uomini, donne e
bambini di Gaza City. “E’ difficile per me
stare davanti a questo sito dell’Onu
bombardato: tutti possono sentire l’odore
del fumo, è vergognoso e protesto nella
maniera più vigorosa”, afferma il
segretario generale delle Nazioni Unite
davanti al quartier generale dell’agenzia
Unrwa, affondato dalle armi al fosforo
lanciate da Israele. L’Onu rilancia le
accuse allo stato ebraico e Hamas sul
terreno equidistante dei diritti umani,
promettendo indagini per il massacro dei
civili nella guerra di Gaza e, allo stesso
tempo, da Sderot, condannando con energia
il lancio di missili di Hamas definito“
spaventoso e inacettabile” nelle parole
del diplomatico.
Intanto l’ultimo soldato israeliano ha
attraversato il confine della Striscia. E’
iniziato ufficialmente il ritiro dopo
l’agognata tregua. Un atto che sembra
porre fine ad una delle maggiori crisi
internazionali. All’alba, lo Stato
Maggiore delle forze militari israeliane
ha dato l’atteso annuncio: l’esercito
israeliano si è schierato fuori dalla
Striscia di Gaza, come ha dichiarato un
portavoce. Ma la tregua è fragile e Hamas
e Israele si guardano ancora con sospetto
negli occhi. I reparti israeliani restano
pronti ad ogni evenienza nel caso
riprendano le provocazioni del movimento
islamico.
L’annuncio del ritiro è stato accompagnato
dl un appello alla popolazione civile di
Gaza, provata dall’assedio. Ma la guerra
non finisce davvero e si lascia dietro una
scia di piccole e grandi vendette.
Scaramucce qua e là avvelenano l’aria di
piombo di Gaza. Sparatorie isolate e
tensioni si sono riverberate per tutto il
giorno nella Striscia. Israele ha
denunciato il lancio di otto proiettili di
mortaio e ha annunciato di aver colpito
dal cielo una postazione di lancio. Mentre
i palestinesi lamentano l’uccisione di un
agricoltore durante un’ispezione del
proprio terreno a Jabaliya, la portavoce
dell’esercito israeliano si è limitata a
comunicare che i militari hanno risposto
al fuoco di militanti palestinesi.
Ma le bombe continuano ad uccidere. In
silenzio. Due bambini sono rimasti vittima
di un ordigno sepolto sotto le macerie di
un palazzo. E Gaza sembra una città
fantasma, il peggio del peggio, travolta
da un grande terremoto: dalla
proclamazione del cessate in fuoco sono
morti almeno quattro palestinesi e negli
ospedali si spengono i feriti più gravi.
Intanto il dibattito politico sul
conflitto arabo-israeliano si allarga
sulla questione della ricostruzione.
Europa, Stati Uniti e Israele vogliono
controllare ogni progetto per impedire ad
Hamas di acquisire posizioni e riformulare
le condizioni del proprio consenso nella
Striscia di Gaza, riproponendo così
l’esclusione del movimento islamico dal
salotto buono delle relazioni
internazionali. Mentre la presidenza ceca
dell’Ue invita Hamas ad accettare - cosa
impossibile - le condizioni del quartetto
per uscire dall’isolamento internazionale,
l’Ue punta a rafforzare la posizione del
partner Abu Mazen, non solo in
Cisgiordania, ma in tutta la Striscia di
Gaza. I fatti parlano chiaro. L’intento
prioritario della Conferenza di pace di
Parigi, di cui si è fatto promotore
Sarkozy, sarebbe proprio quello di
ritessere le condizioni di un governo di
unità nazionale in Palestina.
Ma il modo arabo è nei fatti diviso,
frammentato. Il vertice in Kuwait si é
concluso con dichiarazioni generiche.
Generica è l’intenzione di incriminare
Israele per crimini di guerra, generico il
fondo per la ricostruzione della Palestina
che prevede la distribuzione dei
finanziamenti alla pletora delle sue sigle
politiche. Chi pagherà davvero lo
spargimento di tutto questo sangue?
http://altrenotizie.org
Quest'opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons
Archivio Gaza, Palestina, Natale 2008
|