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08/01/2009 Senza tregua (Enrico Campofreda - aprileonline, http://www.canisciolti.info)

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La strage di civili palestinesi di ieri compiuta dalle Forze di Difesa Israeliane a Jabaliya (quaranta cittadini uccisi e oltre sessanta feriti) ha parzialmente mosso la comunità internazionale. Il presidente egiziano Mubarak e il premier israeliano uscente Olmert, seguendo l'iniziativa diplomatica lanciata dal presidente francese Sarkozy, hanno annunciato di aprire i varchi delle rispettive frontiere per consentire il trasporto di feriti verso l'Egitto e l'ingresso nella Striscia di Gaza di aiuti umanitari (cibo, medicine, carburante) per alleviare le sofferenze della martoriata popolazione palestinese. Il cessate il fuoco che stanotte pareva potesse diventare una tregua, flebile ma intanto esistente, è stato predisposto da Tsahal solo per tre ore: dalle 13 alle 16 locali.  Poi si potrà riprendere a essere colpiti e morire. Anche Hamas nella sua resistenza di terra e nei lanci di razzi Qassam e Grad sulle cittadine del sud d'Israele segue questa cadenza. E mentre da Damasco un suo leader, Abu Marzouk, fa sapere che "i movimenti palestinesi continueranno a far fronte all'aggressione israeliana" osservatori ritengono che una futura tregua vedrà inevitabilmente d'accordo anche il gran capo in esilio Mechal.
Fra cinismo e real politik

E' la burocratica e la cinica, ma non unica, logica con cui la ragion di stato schiaccia la ragione di vita e continua a tenere alte le sofferenze. Parlavamo di distacco e cinismo, è di ieri, dopo l'assordante silenzio di giorni, il primo intervento del presidente Usa Obama sulla gravissima crisi mediorientale. Colui a cui tutto interessa (o forse interessava in campagna elettorale) ha manifestato solo preoccupazione per le vittime civili e ha aggiunto che entrerà nel merito della questione dopo l'insediamento del 20 gennaio. La diplomazia internazionale finora anch'essa latitante, si fa forte dell'unica iniziativa in atto: quella del presidente francese Sarkozy cui s'aggiunge l'azione di Kouchner in qualità di presidente di turno del Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Ieri l'israeliano Olmert, in una visita alle città del sud poste sotto il lancio dei razzi di Hamas, aveva affermato al quotidiano Haaretz che il conflitto "prima finisce, meglio è. Non ci siamo prefissati di occupare Gaza o di uccidere tutti i terroristi. Il nostro obiettivo è di cambiare la situazione a sud  con la fine del lancio dei razzi". Stamane un più crudo realismo spinge Israele - specie di fronte al vuoto delle proteste ufficiali internazionali tacciono o minimizzano oltre agli Usa, Germania, Russia per non parlare dei giganti asiatici - a non considerare conclusa l'operazione di distruzione di Hamas. I ministri della difesa Barak e degli esteri Livni, che coi partiti Labur e Kadima cercano fra un mese di succhiare voti al Likud di Netanyahu, puntano a portare ai propri elettori oltre alle teste dei capi islamici finora giustiziati l'effetto tranquillizzante della capacità militare d'Israele. La quale, pur con un ridimensionato mito d'invincibilità,  conserva l'impatto dissuasivo con cui uccide, piega, intimorisce gli avversari palestinesi e alleati, come nelle mini guerre vinte nei decenni passati. E' l'unica chance attuabile per il medio periodo da parte di chi governerà a Gerusalemme, facendo leva anche sull'attuale divisione e debolezza del fronte palestinese. La conclusione dell'operazione Piombo fuso, che ha fatto finora 690 vittime e oltre 3000 feriti fra i gazioti e sei vittime anche fra i militari di Tsahal (quattro per fuoco "amico"), non è questione di ore ma neppure di settimane. 

Massacri di civili ed emergenze

Massacri come quello dell'istituto dell'Unrwa - un'agenzia dell'Onu che da anni si prende cura dei rifugiati palestinesi - un atto palesemente criminale, per il quale l'Alto Commissario Onu per i rifugiati ha richiesto una commissione indipendente che indaghi sull'accaduto chiedendo d'incriminare chi ha violato la legalità internazionale, ha visto l'IDF sostenere che da quel fabbricato venivano lanciati colpi di mortaio e che lì erano nascosti due miliziani di Hamas. Perciò secondo la logica di Tsahal si potevano  distruggere edificio e rifugiati senza dover rendere conto ad alcun trattato. Proprio il ripetersi di simili episodi (il direttore dell'agenzia Onu colpita, ricorda come nei giorni scorsi altri centri delle Nazioni Unite della Striscia abbiano subìto il medesimo trattamento seppure non macchiato da tanto sangue) sta ad indicare come nell'uso spietato della forza che Israele rilancia per controllare la regione non ci sarà spazio per nessun trattamento differenziato fra miliziani e cittadini. Bambini compresi. Che a Gaza sono un terzo della popolazione e, considerando anche i giovani attorno ai vent'anni, diventano la metà.  Per ora il risultato sulla Striscia è quello di aver inferto duri colpi alle strutture ufficiali di Hamas con la distruzioni di caserme e centri organizzativi ma anche di tanti servizi sociali (scuole, ospedali) che costituiscono il legame di quest'organizzazione con la popolazione, e di quelle clandestine: i famosi tunnel dai quali transitavano quei prodotti che l'embargo teneva oltre i confini. In più i martellanti bombardamenti d'aria e di terra hanno raso al suolo migliaia di abitazioni, c'è dunque un'infinità di sfollati che non sa dove riparare. E' stato distrutto l'acquedotto - altro che bombardamenti chirurgici - cosicché un milione e mezzo di persone non ha più acqua corrente, come pure tante zone sono al buio perché l'elettricità è indisponibile. Ne risulta un'emergenza umanitaria ben più grave di quella che le associazioni non governative denunciavano mesi or sono. Il sentimento diffuso di punizione collettiva, oltre ai lutti familiari e di popolo che la comunità della Striscia sta subendo, per ora non sembra aver provocato quel distacco della gente da Hamas che Israele sperava. La disperazione avvicina e cementa e non c'è traccia di defezioni o rivelazioni-delazioni nelle quali i duri alla Ashkenazi miravano coi volantini discesi dal cielo insieme alle bombe, recanti il numero telefonico di Tsahal cui chiamare per indicare i rifugi dei miliziani verdi.

Piani futuri

Dopo un auspicabile e stabile cessate il fuoco è attesa l'applicazione della cosiddetta Philadelphi road, discussa nelle ultime settimane fra mediatori egiziani e americani, che dovrebbe prevedere la riapertura del valico di Rafah dal quale la polizia di frontiera egiziana dovrà controllare che non entrino armi verso la Striscia. Hamas proponeva che anche propri uomini facessero parte del gruppo di controllo ma per ora l'ipotesi è sospesa. Naturalmente dovrebbero essere resi inaccessibili i tunnel del contrabbando che non sono crollati sotto i bombardamenti degli F 16. Dovrebbero, il condizionale nel dramma e nell'instabilità  di quei luoghi è ancora d'obbligo.

Enrico Campofreda - aprileonline

http://www.canisciolti.info

http://www.aprileonline.info

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