A
un anno e mezzo dalla presa del potere da parte di Hamas a
Gaza, il governo israeliano ha infine deciso di esportare
la democrazia nella Striscia. Seguendo il modello
dell'Operazione Mesopotamia, l'Israeli Air Force sta
bombardando massicciamente la minuscola porzione di terra,
per livellare ogni struttura appartenente ad Hamas per poi
procedere con la fanteria pesante. Il presidente dell'ANP
Abu Mazen, il cui mandato in scadenza verrà
provvidenzialmente prorogato, ha dichiarato con Mubarak
che Hamas è il vero responsabile dei bombardamenti. Il
trio israeliano Olmert-Livni-Barak ha aspettato lo scadere
della tregua di sei mesi negoziata con Hamas, per
dichiarare che non si può trattare con i terroristi di
Hamas e scatenare l'offensiva elettorale, Secondo i
sondaggi, l'attacco sta dando ottimi risultati in vista
delle elezioni anticipate di Febbraio.
I ritmi della politica israeliana si declinano con la
guerra. Nel 2006, subito dopo le elezioni il governo di
centrosinistra invase la Striscia di Gaza (dopo il
rapimento del soldato dell'IDF Shalit da parte di Hamas) e
scatenò contemporaneamente la Seconda Guerra del Libano
(dopo il rapimento di due soldati israeliani da parte di
Hizbullah). In quel caso, Olmert e Peretz dovevano
dimostrare di avere la tempra dei guerrieri, ma fu un
disastro su entrambi i fronti, che segnò la fine politica
di Olmert. A due anni di distanza, la lunga agonia del
governo Labor-Kadima è giunta all'epilogo.
Dopo aver rimandato le elezioni di oltre due anni, nella
speranza di manomettere la sicura vittoria del Likud di
Netanyahu (saldamente in testa ai sondaggi sin dalla fine
della guerra in Libano nel 2006), il governo si sta
giocando l'ultima carta, peraltro di sicuro effetto. Il
giorno di Natale, mentre Ehud Barak istruiva i suoi
piloti, Tzipi Livni volava al Cairo per mettere al
corrente Mubarak dei piani israeliani. Poi il fulmine a
ciel sereno. Alle undici e mezza di sabato mattina, gli
F16 dell'aviazione israeliana attaccano la Striscia e
sganciano tonnellate di bombe in pieno centro a Gaza City,
nell'ora di punta, mentre i bambini del primo turno di
lezione escono da scuola e i genitori vanno a prenderli.
Il risultato è stato un massacro, oltre duecento morti in
poche ore, centinaia di feriti ma un ospedale ridotto
all'età della pietra dall'embargo israeliano sui
medicinali. Il bilancio dopo tre giorni di bombardamenti è
di circa quattrocento morti: l'attacco più pesante contro
la Striscia dal 1967.
Lunedì i razzi lanciati dai militanti palestinesi hanno
ucciso un soldato e due civili israeliani: i razzi
Katyusha si sono spinti per la prima volta fino alla
popolosa città costiera di Ashdod, a circa quaranta
chilometri dalla Striscia. Tuttavia, gli israeliani si
aspettavano una risposta molto più massiccia da parte di
Hamas. Il portavoce del Comitato di Resistenza Popolare,
ha dichiarato incredibilmente: “Se i soldati israeliani
sono veri uomini, devono combattere sul terreno. […] Però
sappiamo di aver a che fare con dei codardi che dagli anni
Ottanta hanno sempre temuto il confronto faccia a faccia
con noi.” In sostanza, Hamas sta provocando Barak,
sperando che l'IDF invada la Striscia in forze.
I militanti non rimarranno sicuramente delusi: dopo aver
richiamato oltre seimila riservisti, Olmert ha vietato ai
suoi ministri di parlare di tregua e si prepara a dare
l'ordine dell'attacco. I sondaggi del weekend, infatti,
danno ragione al premier uscente: l'ottantadue percento
degli israeliani ebrei appoggia l'invasione della
Striscia, mentre solo il dodici percento è contrario.
Tutti gli attori sembrano intrappolati nella retorica
degna di un poema epico, ingaggiati in un duello d'onore.
Rende l'idea un commento di Barak alla Fox News:
“Chiederci di firmare un cessate-il-fuoco con Hamas è come
chiedere a voi americani di fare un cessate-il-fuoco con
Al Qaeda. Non possiamo accettarlo.” Rimane da capire
dunque chi abbia firmato la precedente tregua tra Israele
ed Hamas, ma persino in Israele la maggior parte
dell'opinione pubblica non era evidentemente al corrente
della tregua e del fatto che Israele non stesse
rispettando la sua parte dell'accordo, mantenendo
l'embargo sulla Striscia.
Fonti diplomatiche di Gerusalemme hanno lasciato trapelare
che la finestra utile per l'invasione si chiuderà il 5
Gennaio: con la fine delle vacanze natalizie in Europa e
Stati Uniti, il risveglio dell'opinione pubblica
costringerà i governi occidentali a ritirare l'appoggio ad
Israele. Altre indiscrezioni provenienti da Gerusalemme
hanno denunciato un'ipotetica iniziativa diplomatica
congiunta di Nicolas Sarkozy e Gordon Brown. Francia e
Regno Unito vorrebbero proporre alla Lega Araba un
negoziato ufficiale con Hamas. Questo rappresenterebbe una
totale sconfitta per la linea israeliana della fermezza,
dunque Olmert e Barak cercheranno di accelerare la
vittoria militare sul campo, prima che si inizi a prendere
in considerazione un cessate-il-fuoco. La sensazione di
deja vù è opprimente, tutto si sta ripetendo esattamente
come due anni fa, durante la guerra in Libano.
I palestinesi sono irrimediabilmente divisi al loro
interno e mandano messaggi contraddittori sia
all'occidente che ai paesi arabi. Abu Mazen dal Cairo, in
una conferenza stampa con Mubarak, ha scaricato su Hamas
la completa responsabilità della carneficina a Gaza, in
perfetto accordo con le dichiarazioni di Condoleezza Rice
per l'amministrazione Bush (Obama finora non si è fatto
vivo). Non sembra vero ad Abu Mazen che finalmente
l'esercito israeliano ripulisca la Striscia dal controllo
di Hamas, dopo averci provato e fallito per ben due volte
negli ultimi due anni. La stessa leadership di Hamas
sembra al momento profondamente divisa. A quanto pare, il
premier de facto Haniyeh, da Gaza City, avrebbe voluto
rinnovare la tregua semestrale con Israele, nonostante lo
stato ebraico non avesse tenuto fede alla propria parte
dell'accordo. Da Damasco, tuttavia, l'ordine di riprendere
il lancio dei razzi verso il sud di Israele è stato
perentorio ed ha avuto un peso considerevole
nell'accelerare l'escalation.
Gli arabi israeliani sono in agitazione dal primo giorno
di bombardamenti israeliani. Numerose manifestazioni si
sono svolte in tutte le città arabe al di qua della Linea
Verde: ad Umm al Fahm, Gerusalemme Est, persino ad Afula,
migliaia di giovani hanno marciato sventolando la bandiera
dell'OLP (ma non quella di Hamas) chiedendo la fine degli
attacchi israeliani e lanciando pietre alla polizia. Il
capo della polizia israeliana tuttavia ritiene improbabile
che si ripeta la rivolta del 2000, che segnò l'inizio
della Seconda Intifada: “Il pubblico arabo-israeliano ora
ha leader responsabili.” Analoghe manifestazioni nella
West Bank hanno visto il lancio di molotov e sassaiole
contro macchine di coloni israeliani, mentre a Modi'in un
giovane palestinese ha accoltellato quattro ebrei. La
polizia israeliana ha ucciso due giovani palestinesi nei
disordini in West Bank.
Ma in queste ore la rabbia dell'opinione pubblica araba in
tutto il mondo si sta concentrando soprattutto contro i
cosiddetti regimi arabi moderati, ancor più che contro
Israele. Soprattutto l'Egitto è l'oggetto delle
contestazioni, l'anziano dittatore Mubarak è dipinto come
il complice di Israele, per aver avallato l'attacco
durante il suo incontro con Tzipi Livni. Hassan Nasrallah,
il segretario della resistenza libanese di Hizbullah, ha
invitato i musulmani egiziani a scendere nelle piazze fino
a che il governo egiziano non sarà costretto ad aprire il
valico di Rafah per dare una via di fuga ai palestinesi
intrappolati nella Striscia. L'attacco israeliano di
domenica su Rafah ha preso di mira i tunnel sotterranei
usati per contrabbandare merci e armi dal Sinai alla
Striscia di Gaza, creando il panico nella città di
confine. A quel punto, centinaia di palestinesi hanno
cercato di forzare il confine per scappare in Egitto,
aprendo dei varchi lungo il muro di filo spinato.
Dall'altra parte hanno trovato le guardie egiziane pronte
ad aprire il fuoco: il bilancio è di un morto palestinese
ed uno egiziano.
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