Per
la sua campagna elettorale Israele sceglie la via della guerra. Guerra senza
regole a colpi di blitz e azioni criminali alla maniera del sud del Libano o dei
tempi di Sabra e Chatila. Serve a poco dichiarare, come hanno fatto i media di
Gerusalemme, che degli trecento palestinesi morti almeno centocinquanta sono
poliziotti di Hamas, fra loro anche il capo Tawfik Jaber. Nei bombardamenti su
Gaza city hanno perso la vita anche civili e come sempre bambini, e degli
ottocento feriti più di cento versano in condizioni disperate e non potranno
avere cure adeguate proprio per la carenza sanitaria provocata dall'embargo
israeliano. L'ingresso nella Striscia di 80 camion di aiuti umanitari che
l'esercito Tsahal aveva consentito giovedì scorso suona come l'inganno che
preparava l'agguato di sabato mattina. Il piano annunciato da giorni dalla
leader di Kadima e attuale ministro degli Esteri Livni d'impedire ad Hamas di
governare il territorio della Striscia passa dunque alla fase di aperto scontro
militare. E trova concorde l'intero schieramento politico israeliano, dal Likud
ai laburisti. Il capo di quest'ultimi e ministro della Difesa Barak ha lanciato
nel corso di questi ultimi giorni dichiarazioni da ministro della guerra
sottolineando come l'attacco aereo è solo il primo atto cui potranno seguire
azioni terrestri. E' questione di ore forse.
Perciò
rovesciare il governo legittimo di Hamas - ottenuto attraverso le libere
elezioni del 2006 - è l'attuale carta che Israele intende giocare visto il
fallimento di tutti i precedenti tentativi. Lo stesso embargo, che continua a
rendere durissima la vita per il milione a mezzo di palestinesi della Striscia,
viene parzialmente alleviato dai famosi tunnel sotterrai che fanno giungere
merce dall'Egitto. A niente sono serviti, dopo gli accordi di Annapolis e per
tutto l'anno in corso, sia il tentativo di creare di fatto due micro stati
palestinesi: la Cisgiordania, sottoposta al controllo dell'Anp e favorita nel
ricevere finanziamenti da Stati Uniti e Unione Europea, e Gaza, diventava il
luogo infernale del quale punire gli abitanti per l'assenso offerto al partito
islamico. Naufragato anche il tentativo di scatenare una sorta di guerra civile
fra le fazioni di Fatah e Hamas che pure nell'estate aveva prodotto reciproci
agguati, ammazzamenti, arresti. L'Abu Mazen, morbido sottoscrittore dei piani di
Washington, terminerà a giorni il mandato presidenziale e pure, anzi
soprattutto, in una situazione di crisi o aperto conflitto non avrà modo di
esercitare alcun peso.
La strada intrapresa dal governo di Gerusalemme - che anche intellettuali
"illuminati" di quel Paese giustificano con il diritto alla difesa della propria
gente, dimenticando come il Tsahal questo diritto lo calpesti ogni giorno con
uno stillicidio di violenze e vittime - non potrà servire a riunificate le forze
politiche interne ma produrrà solo un incremento della spirale di morte. Facendo
aumentare i lanci dei Qassam verso le città israeliane del confine, riproporrà
le tragiche azioni dei kamikaze riportando indietro di cinque anni il
confronto-scontro fra i due popoli. Ma una terza Intifada, che può prendere
corpo nei giorni a venire, riavvicinerebbe idealmente uomini e donne di
Cisgiordania e Gaza. Costoro guarderebbero non solo all'agognato stato
palestinese ma a chi realisticamente difende l'incolumità di ciascun abitante e
la possibilità di avere un futuro. Su questo dovranno misurarsi Hamas e Fatah,
perché il proprio martoriato popolo vuole avere diritto all'esistenza, negata
nonostante i tanti accordi di pace firmati anche dai padri della nazione, che
risulta a tutt'oggi a sovranità più che limitata, perseguitata.
Enrico Campofreda - aprileonline
http://www.canisciolti.info
Archivio Gaza, Palestina, Natale 2008
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