In
Israele i falchi hanno vinto e ancora una volta la tenuta
politica e morale di un’offensiva su Gaza è diventata
semplice retorica. Attesa da giorni, la reazione di
Gerusalemme alle dichiarazioni di Hamas che si è rifiutato
di rinnovare un cessate il fuoco iniquo è arrivata,
implacabile e come sempre pesantissima. Nell’arco di pochi
minuti gli aerei con la stella di David hanno colpiti il
porto e le caserme dei miliziani del movimento islamico
che governa la Striscia di Gaza; tra le macerie centinaia
di morti e feriti. Una rappresaglia dagli effetti
devastanti, sproporzionata rispetto alla minaccia ma al
tempo stesso annunciata dagli stessi leader israeliani,
che si sono trovati concordi nel rispondere al “no” di Hamas sul rinnovo della tregua informale stabilita il 19
giugno scorso.
Il rifiuto del movimento islamico palestinese a trattare
con chi continua a tenere sotto assedio un milione e mezzo
di persone è stato evidentemente più pungente degli oltre
300 razzi Qassam lanciati negli ultimi due mesi sul Neveg
occidentale dalle Brigate Al-Quds, e più precisamente dal
4 novembre scorso, da quando sei militanti palestinesi
erano rimasti uccisi durante uno scontro a fuoco con le
Forze di Difesa Israeliane intervenute per distruggere un
tunnel scavato sotto il confine.
Il raid israeliano è stato condotto con elicotteri e
caccia F16; da nord a sud della Striscia sono più di 30
gli obiettivi colpiti alle 11.30 del 27 dicembre; una
pioggia di fuoco che ha distrutto gran parte dei centri di
sicurezza di Hamas: comandi, basi di addestramento e
arsenali bellici individuati nei mesi scorsi dai servizi
segreti israeliani. Gli arsenali e installazioni colpite
erano in gran parte situate in aree densamente abitate e
tra le vittime ci potrebbero essere numerosi civili. Tra i
target il commissariato di Elgewzet, intorno al quale
sorgono almeno tre scuole e altrettante facoltà
universitarie. Il bilancio provvisorio è di circa 300
morti e 290 feriti,120 dei quali in condizioni gravissime.
Gli ospedali della Striscia di Gaza sono ormai al collasso
e c’è urgente bisogno di elicotteri per trasportare i
feriti più gravi in Egitto.
In relazione alla rappresaglia, il premier Olmert ha
dichiarato che Israele ha fatto tutto il possibile per
mantenere la tregua e che nessuno Stato accetterebbe mai
che la vita dei propri cittadini sia messa in pericolo. Il
presidente israeliano, Shimon Peres, ha detto che lo Stato
ebraico non ha comunque intenzione di procedere ad
un’invasione via terra. In un’intervista pubblicata dal
quotidiano in lingua araba al-Sharq al-Awsat,
Peres ha precisato che verranno prese tutte le misure
necessarie affinché venga fermare il lancio di razzi su
Israele, ma che l’esercito della Stella di David non
entrerà nella Striscia: “Non ce ne siamo andati da Gaza
per tornarci”.
Parole meno confortanti dal ministro della Difesa, Ehud
Barak, che fino a qualche giorno fa sembrava più propenso
al dialogo ed ora tiene a precisare che l’offensiva non
sarà né facile né breve e proseguirà per tutto il tempo
necessario: “C’e un tempo per la calma (termine che in
arabo viene tradotto come tregua) e un tempo per
combattere: ora è il momento di combattere”. Della stessa
opinione il ministro degli Esteri e candidato premier
Tzipi Livni, che in vista delle elezioni anticipate si è
messa a caccia dei voti dei partiti sionisti e dei
conservatori di Kadima e ha spiegato l’attacco con la
necessità di Israele di difendere il suo territorio dagli
attacchi palestinesi.
Le condanne e gli appelli dalla comunità internazione
comunque non mancano: l’alto rappresentante per la
politica estera dell’Unione Europea, Javier Solana, ha
invocato il rinnovo della tregua, così come il presidente
della repubblica francese, Nicolas Sarkozy, che ha
espresso la sua più viva preoccupazione per l’escalation
della violenza. La Russia ha chiesto a Israele di fermare
la massiccia offensiva su Gaza e ad Hamas di interrompere
definitivamente il lanci di razzi; gli Stati Uniti hanno
definito l’azione palestinese contro il territorio
israeliano la causa scatenante dell’attacco e hanno
invitato Gerusalemme ad evitare che i raid provochino
perdite civili. Al contrario, Teheran ha condannato gli
attacchi israeliani ed ha esortato la comunità
internazionale a prendere immediati provvedimenti.
Veemente la reazione dei media arabi che accusano Israele
di non aprire i valichi di Gaza per prestare soccorso alle
vittime palestinesi. L’Egitto ha condannato l’offensiva
israeliana e la Lega Araba ha chiesto alla Libia, membro
non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni
Unite, di convocare una riunione urgente dell’organo
esecutivo del Palazzo di vetro. La tensione è alta e
l’aria che si respira ricorda quella degli anni settanta,
delle guerre arabo-israeliane: per costringere i governi a
fare pressione su Israele affinché venga posta fine alla
carneficina in atto, c’è chi chiede di bloccare
l’esportazione del petrolio verso occidente e chi, come il
presidente dell’OLP, Faruk Kaddoumi, si rivolge alla
Russia perchè interrompa l’esportazione del gas all’Unione
Europea. C’è chi reclama l’intervento dei governi arabi
contro l’aggressione israeliana e chi evoca una terza
Intifada, definendo sia l’Autorità nazionale palestinese
che Abu Mazen, che ha comunque parlato di “vigliacca
aggressione”, “un traditore della patria”. La Conferenza
Islamica classifica l’azione israeliana come un crimine di
guerra, mentre i capi del movimento dei Fratelli Musulmani
dell’Egitto e della Giordania chiedono al mondo arabo di
soccorrere i fratelli palestinesi e di puntare i fucili
contro l’odioso nemico sionista.
Il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, ha invitato
i palestinesi alla lotta contro Israele e ha promesso che
la guerra a Gaza sarà come la Seconda guerra del Libano
combattuta nel 2006. Moussa Abu Marzouk, vice di Meshaal e
responsabile dell’ufficio politico di Hamas a Damasco, ha
fatto sapere che il movimento islamico reagirà con ogni
mezzo: “Tutte le opzioni sono sul tavolo, compresi i
kamikaze”. Una minaccia da non sottovalutare, visto che
all’interno della solo Striscia il numero di miliziani
pronti a combattere e ha sacrificarsi per la causa
palestinese sono circa 20 mila e che l’arsenale dell’ala
armata del movimento può contare su oltre mille razzi,
alcuni dei quali, i Grad, hanno una gittata di 40
chilometri. Dal Libano potrebbero poi arrivare le versioni
modificate dei micidiali Katiusha utilizzati da Hezbollah,
gli stessi che nel conflitto del 2006 tempestarono il nord
di Israele e causarono decine di vittime tra la
popolazione civile.
Si pensa che il movimento sciita abbia a disposizione
circa 40 mila razzi, alcuni dei quali potrebbero
raggiungere obbiettivi ad oltre 150 chilometri di
distanza; nel raggio di 30 chilometri dalla frontiera, una
distanza che rappresenta la gittata dei Qassam sparati di
solito, vivono circa 350 mila israeliani. Intanto, subito
dopo la fine del raid aereo, dalla Striscia le Brigate
Al-Quds hanno iniziato un fitto lancio missili: nel sud di
Israele quattro persone sono rimaste ferite e nella
località di confine di Netivot è stata addirittura uccisa
una donna. C’è da credere, purtroppo, che sia solo
l’inizio.
http://altrenotizie.org
Quest'opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons
Archivio Gaza, Palestina, Natale 2008
Archivio Guerra e Terrorismo
|