Operazione
“piombo fuso”. Così, con un nome niente affatto scelto a caso,
Israele ha gettato nel sangue Gaza. Sono già duecentoventisette i
morti, centinaia i feriti e decine e decine le case distrutte, le
strade divelte dai razzi partiti dagli elicotteri israeliani e il
bilancio, purtroppo, é destinato a crescere. Il pretesto, anche
quello, è il solito: i razzi Qassam che l’idiozia di Hamas invia più
per dare concreta quanto macabra testimonianza della sua esistenza
che per tentare di piegare Israele e costringerla a fantomatici
negoziati. Errore. Tel Aviv non ha nessuna intenzione, a nessuna
condizione, di negoziare alcunché: né il ritiro dai Territori
occupati, né la fine degli insediamenti dei coloni, né il rientro
della diaspora palestinese, né l’esistenza di due stati. Israele,
semplicemente, vuole che la realtà resti quella che è: immutabile.
Semmai, coglie ogni occasione per impedire che il negoziato nasca. E
dunque, al rituale dei Qassam, si oppone quello, molto più
sanguinoso, dei raid aerei. Non è stata la prima volta, non sarà
l’ultima.
Tel Aviv ha ormai nella rappresaglia la modalità principale della
sua contrapposizione ai palestinesi. La scusa, questa volta, è
appunto quella dell’annuncio da parte di Hamas della fine della
tregua fino ad ora osservata e dei razzi lanciati verso gli
insediamenti dei coloni. Israele non aspettava altro per dispiegare
un’operazione militare a base di terrore, bombardando dall’alto e a
più ondate la popolazione inerme.
Raccontano ora, i cantori della propaganda occidentale, che
l’obiettivo della rappresaglia israeliana era Hamas e non la
popolazione palestinese; ma le decine di donne e bambini che in
queste ore si tenta di trasferire in Egitto, dove hanno sede le
uniche strutture ospedaliere in grado di far fronte alla catastrofe
umanitaria, raccontano invece un'altra storia. Quella dell’ennesimo
episodio di pulizia etnica che il governo israeliano attua da
decenni nei confronti dei palestinesi. Siano essi governati dall’Olp
o da Hamas, non c’è differenza: bombe su bombe, embargo su embargo.
Un milione e mezzo di palestinesi, ancora una volta, diventano la
carne da macello per la sopravvivenza dello stato d’Israele e per il
mantenimento del suo complesso militar-industriale.
La "democrazia" israeliana conferma il suo sistema valoriale che fa
da sfondo alla sua esistenza: quello che prevede di dominare a ferro
e fuoco tutti coloro che ne mettono in discussione l'inviolabilità e
l'invincibilità, entrambe ormai categorie presunte. In effetti, a
ben vedere, a Israele non risulta l’esistenza di palestinesi
innocenti; nelle case o ai posti di blocco, nelle strade o negli
ospedali; con bombe lanciate dagli aerei o dai cannoni, con
attentati e raid, la fantasia degli Stranamore israeliani non
conosce limiti. La politica è chiara: ucciderne quanti più
possibile, diffondere terrore e paura, imporre alla comunità
internazionale una ritualità di morte che renda ogni strage parte
del racconto infinito dell’occupazione israeliana, come il ripetersi
stanco di una lotta impari e di un destino ineluttabile, così da far
ritenere come inutile ogni possibile intervento.
Dure le prese di posizione del mondo arabo e nette quelle
dell’Europa, in particolare per bocca del Presidente francese
Sarkozy e persino di Berlusconi, che chiedono a Israele di fermarsi
immediatamente. Il Segretario generale dell’ONU ha chiesto
l’immediata cessazione dei raid con la stella di David, ma il
governo di Tel Aviv non pare disposto all’ascolto. Del resto, il suo
principale sponsor, Washington, si è distinta ancora una volta per
il sostegno diretto, a tutto campo, ai crimini peggiori ideati e
realizzati dallo stato ebraico in terra di Palestina. L’ormai
ex-presidente George Bush, consultatosi con l’ormai ex-segretario di
Stato Condoleeza Rice, ha fatto spallucce all’ennesima tragedia
consumatasi sulla pelle dei palestinesi.
Ma la durezza delle prese di posizioni risulta, nello stanco
ripetersi della ritualità, l’emblema più evidente di una sostanziale
indifferenza dell’Occidente, che celebra l’ennesima ipocrisia della
sua politica: quella dell’indignazione a mezzo comunicato stampa cui
segue l’ignavia più totale. Nessuna misura, tanto meno ritorsiva,
contro Israele, che può continuare ad essere, nello stesso tempo, il
primo violatore del diritto e anche l’unico che la comunità
internazionale continua a lasciar libero di non subirne le
conseguenze.
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