Saranno
finalmente sottoposti a processo i cinque agenti di sicurezza della
compagnia privata Blackwater Worldwide, accusati di aver
deliberatamente massacrato 17 civili iracheni inermi nel settembre
dello scorso anno a Baghdad. Per la prima volta dall’invasione
dell’Iraq nel marzo del 2003, il Dipartimento di Giustizia americano
ha agito in maniera concreta per giudicare in un tribunale federale
le responsabilità individuali di mercenari facenti parte di forze di
sicurezza private gestite da aziende che incassano miliardi di
dollari dal Dipartimento di Stato e della Difesa. Nonostante il
procedimento legale rappresenti un passo avanti importante per
dissolvere il clima di impunità del quale tali milizie hanno finora
goduto, nessun coinvolgimento è previsto però per i vertici della
compagnia di Moyock - in North Carolina - né per gli esponenti del
governo responsabili della creazione di un ambiente favorevole al
proliferare di episodi di questo genere nello sventurato paese
mediorientale.
Il processo a carico dei cinque imputati – Donald Ball, 26 anni
dello Utah; Dustin Heard, 27 anni del Tennessee; Evan Liberty, 26
anni del New Hampshire; Nicholas Slatten, 24 anni del Tennessee;
Paul Slough, 29 anni del Texas - è stato reso possibile non solo
grazie alle indagini condotte dall’FBI a Baghdad per oltre un anno,
ma anche e soprattutto alla deposizione di un sesto dipendente della
Blackwater - Jeremy Ridgeway - anch’esso facente parte della
Blackwater e del commando accusato della strage, il quale si è
dichiarato colpevole dei fatti acconsentendo a testimoniare contro
gli ex colleghi. Oltre ai capi d’accusa per il massacro di civili
sollevati dal procuratore degli Stati Uniti per il District of
Columbia, Jeff Taylor, le cinque guardie private rischiano
l’incriminazione anche per l’impiego di armi pesanti nell’esecuzione
di un crimine violento - fucili semiautomatici SR-25, carabine
d’assalto M-4 e M-240, lancia granate M-203 - aggravante che
stabilisce una pena minima di trent’anni in base ad una legge
americana contro il narcotraffico.
L’episodio avvenuto il 16 settembre del 2007, in un affollato
incrocio presso la piazza Nisour, nella capitale irachena, aveva
sollevato l’indignazione della comunità internazionale, nonché del
governo locale, il quale aveva immediatamente richiesto l’espulsione
di tutti i dipendenti della Blackwater dai confini del proprio
paese. A “provocare” la reazione dei mercenari americani sarebbe
stato il guidatore di un’auto in transito, il quale, secondo la
ricostruzione di Ridgeway, avrebbe mosso le braccia in maniera
sospetta all’interno dell’abitacolo. Senza intimare l’arresto al
veicolo, le guardie private avrebbero aperto il fuoco sugli
occupanti - uno studente di medicina e la madre - uccidendoli
all’istante, per poi ingaggiare una fitta sparatoria durata una
quindicina di minuti, mietendo altre vittime tra civili
disperatamente alla ricerca di una via di fuga. Il fuoco del gruppo
armato sarebbe stato definito del tutto ingiustificato e non
provocato sia da parte dei testimoni sia dall’inchiesta ufficiale.
La Blackwater al contrario ha sempre sostenuto la non colpevolezza
dei propri dipendenti, vittime piuttosto di un’imboscata. Lo stesso
amministratore delegato della società aveva dichiarato nel corso di
un’udienza al Congresso nell’ottobre del 2007 che il convoglio
formato dai suoi uomini era venuto a trovarsi sotto il fuoco di
uomini armati di AK-47 (Kalashnikov) e sottoposto alla minaccia di
attacchi portati con autobombe condotte da possibili terroristi
suicidi. La testimonianza di Ridgeway, tuttavia, afferma chiaramente
che nessuno dei civili massacrati risultava identificato come
“ribelle” e addirittura una delle vittime era stata colpita in
maniera letale al torace mentre si trovava immobile al centro della
strada con le mani alzate.
L’amministrazione Bush, sull’onda del risentimento prodotto dalla
strage, aveva immediatamente revocato la licenza di operare in Iraq
alla compagnia responsabile per poi riattivarla tuttavia pochi mesi
più tardi. Fondata nel 1997 da Eric Prince - ex stagista alla Casa
Bianca durante la presidenza Bush senior - la Blackwater Worldwide è
la più importante società appaltatrice di contratti nell’ambito
della sicurezza e della protezione di personale civile e politico
americano operante in Iraq. Il primo contratto, ottenuto senza asta
pubblica a fine agosto 2003, ammontava a poco meno di 30 milioni di
dollari e prevedeva la protezione dell’allora “governatore”
dell’Iraq Paul Bremer. Da allora, la Blackwater - secondo il
giornalista americano Jeremy Scahill, autore del libro “Blackwater:
The rise of the world’s most powerful mercenary army” - ha ricevuto
compensi superiori a un miliardo di dollari per la propria opera
svolta a favore del Dipartimento di Stato.
Malgrado il processo pubblico sia stato dischiuso in questi giorni a
Washington, i cinque accusati si sono consegnati alle autorità
federali di Salt Lake City, nello Utah. Una mossa attentamente
studiata, messa in atto per cercare di assegnare il procedimento ad
una corte e ad una giuria ad essi favorevole, in uno stato
profondamente conservatore dove il sostegno all’invasione dell’Iraq
- ma anche al libero possesso delle armi da fuoco - è molto vasto.
Il caso in questione per il momento è stato invece assegnato al
giudice distrettuale della capitale americana, Ricardo Urbina, già
apparso recentemente sulle prime pagine di molti giornali americani
per aver ordinato il rilascio di un gruppo di presunti terroristi
dal campo di detenzione di Guantánamo in quanto non giudicabili come
“nemici in armi”.
Ad ostacolare il corso della giustizia nel caso Blackwater potrebbe
aggiungersi anche il comportamento adottato dal Dipartimento di
Stato americano immediatamente dopo lo svolgersi dei fatti. Il
ministero guidato da Condoleezza Rice, infatti, si mosse rapidamente
per assicurare l’immunità giudiziaria agli autori della strage,
fatti oggetto soltanto di un’indagine interna allo stesso
Dipartimento di Stato. Gli interrogatori condotti da parte dei
funzionari governativi erano stati preceduti dalla garanzia che le
dichiarazioni delle cinque guardie private non sarebbero state in
nessun modo utilizzate per formulare accuse da parte di una Corte
federale, né avrebbero potuto essere presentate come prove
dell’accaduto. Gli agenti dell’FBI, giunti a Baghdad un paio di
settimane dopo i fatti in questione, si sarebbero così trovati di
fronte al rifiuto di collaborare da parte degli accusati in base
alle promesse di impunità fatte loro dal Dipartimento di Stato.
Il processo ai cinque imputati verrà condotto poi in base ad una
legge del 2000 - il “Military Extraterritorial Jurisdiction Act” -
che permette di perseguire dipendenti di aziende appaltatrici
private che operano per o a fianco dell’esercito americano. Dal
momento invece che la Blackwater agiva per il Dipartimento di Stato,
è estremamente probabile che i difensori degli autori del massacro
sosterranno la non applicabilità di questa legge ai loro clienti. Un
ulteriore procedimento contro la Blackwater in ogni caso è stato
aperto anche dai familiari delle 17 vittime civili irachene.
La questione dell’impiego di compagnie private fornitrici di
prestazioni legate alla sicurezza di civili e militari americani in
Iraq è da tempo al centro di accese discussioni negli Stati Uniti.
Le polemiche sono state spesso sollevate da molte personalità
politiche anche autorevoli - tra cui lo stesso presidente eletto
Barack Obama - e sono aumentate nel corso degli ormai quasi sei anni
di occupazione del paese in seguito al susseguirsi di episodi
estremamente sospetti e all’impunità quasi sempre garantita dal
governo.
Se pure non risulta ancora in vista il necessario allargamento delle
indagini alle responsabilità dei vertici delle stesse aziende, che
forniscono talvolta veri e propri mercenari al personale americano
presente in Iraq - attualmente circa 30.000 guardie private sono
presenti nel paese - e l’incidente avvenuto nel settembre del 2007
viene tuttora definito dalle stesse autorità giudiziarie come
l’operato di un ristretto gruppo di “mele marce”, ci sono però
motivi per sperare in un’inversione di rotta all’interno del nuovo
Dipartimento di Giustizia, che in molti si augurano possa rimediare
ai danni operati dall’amministrazione uscente in questo ambito.
Quel che è certo è che, a partire dal primo gennaio 2009, ogni
genere di immunità finora garantita ai mercenari americani dovrà
cessare e i loro eventuali crimini saranno sottoposti all’esame
della giustizia irachena. Ciò avverrà in concomitanza con l’entrata
in vigore del nuovo accordo sottoscritto e approvato recentemente
dai due paesi (“U.S.-Iraq Status of Forces Agreement”) che dovrebbe
portare, tra l’altro, alla fine dell’occupazione militare americana
entro il 31 dicembre 2011.
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