Sono
centoquarantatre, al momento, le vittime dell’attacco
terroristico dei guerriglieri islamici a Mumbai.
L’intervento dei reparti speciali ha “bonificato” l’area
dell'Hotel Taj Mahal, ma la liberazione di tutti gli
ostaggi ancora non ha avuto termine. Hanno scelto hotel e
locali di lusso per vittime a cinque stelle, contando
proprio di far leva mediatica sulla distanza abissale tra
quelle isole di ricchezza e l’India dei diseredati, che
muoiono come mosche sotto gli indici di crescita a due
cifre del Pil indiano. Come da copione appare d’incanto la
mano di Al-Queda nell’operazione militare, ma le
informazioni in tal senso sono ancora da verificare fino
in fondo e sono invece molte le obiezioni possibili a
quest’ipotesi. Certo invece, è che la tecnica militare
utilizzata rimanda più alla Monaco del ’72 che non alla
New York delle Torri gemelle nel 2001. E sul palcoscenico
indiano recitano attori diversi anche da quelli dei film
già visti negli ultimi anni, fatti di autobombe, commandos
suicidi e piccole unità dinamitarde scatenate in lungo e
largo per l’Asia minore e il Medio Oriente, modalità
tipiche del martirio degli adepti di Al-Zawairi.
La tecnica militare utilizzata per l’occasione è invece
quella tipica della guerriglia: vede la presenza di un
piccolo esercito frazionato in piccole unità, bene armate
e capaci di muoversi rapidamente ed in modo coordinato per
colpire più obiettivi contemporaneamente. Non hanno
nessuna remora ad aprire il fuoco su chiunque, conoscono
alla perfezione i luoghi dove l’azione si svolge e sono
visibilmente addestrati a resistere agli attacchi delle
teste di cuoio il più a lungo possibile; non solo per
tentare di uscire in qualche modo, per provare a
sganciarsi una volta finita l’operazione, ma anche per
occupare la scena mediatica internazionale oltre ogni
possibilità di rimozione. E’ un’azione di guerra preparata
con cura e realizzata con micidiale, criminale efficienza.
I terroristi che tengono assediata Mumbai da oltre 45 ore
sono stati ''sicuramente bene addestrati da qualche parte'',
ha affermato in una conferenza stampa, a volto coperto, il
comandante delle teste di cuoio della Marina indiana,
intervenuta per liberare gli ostaggi. Palese il rimando,
per quanto indiretto, al vicino Pakistan che, anche dopo
l’uscita di scena di Musharraf - nei fatti l’alleato più
affidabile degli Usa, fino a quando agli Usa è convenuto -
è accusata di continuare attraverso i suoi servizi segreti
l’opera di sostegno sia ai Talebani afgani, sia agli
avversari islamici degli induisti, nel tentativo di
destabilizzare l’area. Le parole del militare indiano
sembrano quindi negare l’esistenza di una guerriglia
autoctona per indirizzare verso le più sicure “sponde
estere” la genesi del gruppo e lo svolgimento della sua
azione di guerra. Ma anche qui sembra difficile sposare le
tesi di Nuova Delhi, giacché in questo momento, proprio
per evitare l’accerchiamento, Islamabad appare impegnata
in uno sforzo di dialogo con l’India che certo non prevede
l’organizzazione di un simile attacco terroristico.
Se fosse Al-Queda ci si troverebbe di fronte ad una
sostanziale novità sotto il profilo della tecnica
utilizzata e sarebbe evidente l’intenzione da parte di
Al-Zawairi di dimostrare un livello ben più alto di quello
dimostrato finora dai suoi adepti; non tanto nella
capacità di generare vittime quanto nella nuova
organizzazione militare, evidentemente frutto di un
addestramento che indicherebbe, in qualche misura, se non
una modificazione profonda dell’operare del gruppo
terroristico, una sua evidente diversificazione della
struttura militare a disposizione. Sarebbe un segnale
chiaro indirizzato ai governi ed alle forze di sicurezza
internazionali, fino ad ora impegnati a prevenire
attentati dinamitardi, più che azioni di guerriglia
estese. Ma, per ammissione della stessa CIA, “Al-Queda è
ormai un gruppo in forte declino”. E un gruppo in declino
riuscirebbe ad organizzare e realizzare un simile attacco?
Ancora una volta sembra che le responsabilità di Al-Queda
siano buone per la parte mediatica della vicenda, ma che
la verità forse va cercata altrove.
Perché se invece non di Al-Queda si trattasse? Da un anno
a questa parte sono centinaia le vittime di attentati
verificatisi in India. L’accordo militare con gli Stati
Uniti e le drammatiche condizioni di sopravvivenza di
milioni di indiani sono definite dai terroristi il motivo
degli attentati. Era il maggio di quest’anno e la “Milizia
Islamica” annunciava nei suoi prossimi obiettivi i centri
turistici del Paese. Il dilagare della violenza politica
in India fino ad ora era stato sottostimato proprio perché
l’attenzione mediatica non scatta quando a morire sono gli
ultimi. E’ l’appartenenza al club dei ricchi che assegna
righe e fotografie alle vittime del terrorismo, non il
numero delle stesse.
Ma quali che siano gli autori dell’assalto alla parte a
cinque stelle di Mumbay, non si può non registrare come
sia cominciata nel sangue e finita nel sangue l’era di
George W. Bush. La globalizzazione che la sua
amministrazione ha promosso, è stata segnata soprattutto
dalle varie nazionalità che quel sangue hanno pagato,
tributo pagano ed imperiale ad un governo impegnato
soprattutto a sostenere gli affari privati di chi lo
componeva, persino più di quelli pubblici che avrebbe
dovuto rappresentare. La promessa di sicurezza
internazionale esce da questi otto anni di presidenza Bush
come la credibilità dell’ancora inquilino della Casa
Bianca: a pezzi. Il terrore invece, questo sì, si è
globalizzato.
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