Gli
attacchi di ieri al cuore di Mumbai, capitale finanziaria
dell'India, non sono che gli ultimi sviluppi di una catena
di violenze che non ha mai smesso di percuotere il
sub-continente indiano, dall'Afghanistan, al Pakistan fino
all'India. Distratto dalla fallimentare War on Terror, il
sistema dei media ha oscurato agli occhi delle opinioni
pubbliche occidentali la cruda realtà di una lotta
all'estremismo islamico, che negli ultimi anni ha
alimentato terrorismo e violenze. Non sono nuovi gli
obiettivi e non sono nuovi gli autori; già nei mesi scorsi
con il bombardamento dell'Hotel Marriott e di alcuni
locali e ristoranti in Pakistan, si era delineata la
strategia dell'attacco indiscriminato alle metropoli.
Bombe o attacchi portati da commandos di suicidi, hotel o
stazioni, il terrorismo di matrice islamica cerca la
strage indiscriminata, il bagno di sangue da mettere sul
piatto per ridefinire equilibri e contrastare gli
attacchi, convenzionali e non, che i nemici hanno
sviluppato nel quadro della War on Terror.
L'India è bersaglio storicamente privilegiato
dell'estremismo islamico e il nazionalismo indù, generoso
nelle stragi dei musulmani come nella persecuzione degli
indiani che abbraccino altre religioni, è motivo
necessario e sufficiente a nutrire un'ostilità musulmana
che dura dai tempi della colonizzazione britannica. Non a
caso la bomba atomica pakistana è stata intitolata a
difesa della comunità musulmana contro le atomiche
“Cristiane, ebraiche ed indù”.
Se negli ultimi anni le ostilità a livello nazionale sono
andate scemando, con l'avvento dei buoni rapporti tra
l'India e i paesi del Golfo, con l'Iran e in una certa
misura anche con il Pakistan, non si può certo dire lo
stesso per le decine di organizzazioni islamiche che
proliferano nell'area. Queste, al contrario, hanno dato
vita ad una vera e propria escalation di attentati che
prosegue ormai da anni.
Attentati sempre più sanguinosi e clamorosi che spesso
hanno visto la collaborazione di parte dell'intelligence
pachistana, che però negli ultimi due anni sembra aver
perso il controllo e il polso di gran parte della galassia
terrorista. Dallo smantellamento del fronte del Kashmir da
parte del governo Musharraf c'è stato un “rompete le
righe” che ha portato alla proliferazione di sigle e che
ha aumentato esponenzialmente il numero di gruppi attivi
negli attacchi ad obbiettivi civili e militari. Niente di
assolutamente nuovo: già nel 2004 Condoleeza Rice faceva
sparire dall'annuale rapporto americano sul terrorismo gli
attentati in India, allora già più di un terzo del totale
degli attentati “islamici” nel mondo.
L'India sconta un quadro politico confuso e la presenza di
centinaia di milioni di cittadini musulmani, spesso
oggetto di disprezzo da parte di politici estremisti e di
repressione da parte delle autorità, che anche qui come
altrove hanno sostanziale carta bianca proprio in virtù
della War On Terror. Non stupisce che si possa trovare
qualche decina di giovanissimi musulmani (come i
terroristi all'opera a Mumbai) disposti ad immolarsi
seminando il panico, sparando sulla folla di una metropoli
indù, mentre cercano di rintracciare qualche americano o
britannico da eliminare come ulteriore bonus.
Le città indiane non sono sotto assedio come quelle
pachistane e operazioni del genere trovano ancora meno
resistenza, ma non si può certo pensare di blindare una
metropoli, i punti di ritrovo, le stazioni, gli ospedali,
alberghi e ristoranti; è fin troppo ovvio che questa non
può essere una risposta risolutiva alla minaccia
costituita da questo genere di azioni. Per quanto sia
ovvio ad oggi non si vedono all'orizzonte altre risposte,
nonostante l'estremismo islamico di stampo qaedista
raccolga consensi veramente minimi tra le opinioni
pubbliche islamiche, dove la politica di prepotente
aggressione dell'amministrazione Bush ha garantito la
fabbricazione costante di martiri e buoni motivi per
spingere sempre più persone verso le opzioni di chi non ha
più nulla da perdere o di chi ha solo la vendetta da
coltivare.
Agli occhi dei musulmani in guerra, il governo indiano non
è meno ostile di quello americano o di quello pachistano
di Zardari; per i musulmani indiani, invece, è il
principale nemico e non è un caso che l'unica voce degli
attentatori di Mumbai abbia chiesto la liberazione dei
prigionieri musulmani nelle carceri indiane, così come non
è un caso che le autorità indiane abbiano escluso fin da
subito la trattativa e abbiano dato l'assalto con le forze
speciali ai due hotel nei quali alcuni membri del commando
suicida si sono asserragliati con alcuni ostaggi. La
cattura di una decina di loro, già annunciata nelle prime
ore degli attacchi, fornirà sicuramente una paternità più
chiara agli attacchi, anche se la loro esatta comprensione
non sposterà di un centimetro le carte in tavola. Ma non
sarà che uno dei tanti attentati. La guerra al terrore
continuerà ad auto-alimentarsi fino a che la ragione non
tornerà a far premio sulla violenza.
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