Giulietta
Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Clementina Calzari, Alberto Trebeschi,
Euplo Natali, Bartolomeo Talenti, Luigi Pinto e Vittorio Zambarda. Sono i nomi
delle vittime di Piazza della Loggia. Si è aperto il terzo processo per cercare
di dare un nome, 34 anni dopo, a mandanti ed esecutori
"Di quel giorno ricordo tutto. Quando appresi la notizia dal Gazzettino Padano e
alla sera quando feci il riconoscimento di mio padre Bartolomeo. Sappiamo tutto
delle stragi ma non conosciamo gli esecutori materiali. E' questo che mi aspetto
dal processo". Ugo Talenti, il 28 maggio del 1974, aveva 22 anni, e perse suo
padre, a Piazza della Loggia. Oggi, 34 anni dopo, è in prima fila come tutti gli
altri familiari delle vittime, per il terzo processo sul massacro di Brescia,
apertosi ieri nel capoluogo lombardo.
Se si tiene conto dei vari gradi di giudizio dei precedenti dibattimenti, quello
che si celebra davanti alla Corte d'Assise, presieduta dal giudice Enrico
Fischetti, è il nono processo per la strage di piazza della Loggia dove il 28
maggio 1974 una bomba, esplodendo durante una manifestazione sindacale, uccise
otto persone e ne ferì oltre cento. Imputati sono gli ordinovisti veneti Delfo
Zorzi e Carlo Maria Maggi, un estremista di destra legato ai servizi segreti,
Maurizio Tramonte, l'ex segretario missino Pino Rauti, l'ex generale dei
carabinieri Francesco Delfino e Gianni Maifredi. Nessuno di loro era in aula. Il
primo atto del dibattimento è stato respingere le eccezioni dei difensori ed
aggiornare il processo al prossimo 2 dicembre.
E'
l'ultimo atto di una infinita trafila giudiziaria, dell'ultimo processo per le
stragi che tra il '69 e il '74 sconvolsero l'Italia provocando decine e decine
di vittime, con lo scopo di favorire una svolta autoritaria, militare, nel
nostro paese. Non sempre si è giunti a conclusione, e la maggior parte dei
misteri deve essere ancora svelata. Molto si sa e molto si è detto sul clima e
sul contesto, ma in alcuni casi mandanti ed esecutori non sono mai stati
trovati, impedendo il raggiungimento della verità, quantomeno da un punto di
vista giudiziario. Il processo è nato dalle rivelazioni fornite da un ex agente
della Cia, Carlo Digilio, esperto di esplosivi che collaborò alla realizzazione
di alcune stragi, morto nel 2005. Alla sua ricostruzione si sono aggiunte nuove
informative della polizia, una documentazione del Sismi ed atti di processi come
quello contro il Mar di Fumagalli e del conflitto a fuoco avvenuto a Pian del
Rascino, dichiarazioni prese dai processi precedenti e nei processi per le
stragi di piazza Fontana e della questura di Milano.
Nei precedenti processi, una prima volta fu condannato in primo grado nel 1979
Ermanno Buzzi, esponente dell'estrema destra bresciana (poi morto in carcere),
assolto in appello. Una seconda istruttoria mise sotto accusa altri
rappresentanti della destra eversiva, protraendosi fino alla fine degli anni 80;
gli imputati furono assolti in primo grado nel 1987, per insufficienza di prove,
e prosciolti in appello con formula piena due anni dopo.
Lo scorso 15 maggio sono stati rinviati a giudizio gli imputati oggi alla
sbarra. Secondo i pm Di Martino e Piantoni la strage venne preparata da alcuni
membri di Ordine Nuovo, organizzazione fascista, insieme a membri dei servizi
segreti. Si parlò anche dell'ipotesi di una uccisione di poliziotti che avrebbe
accelerato e permesso la svolta autoritaria auspicata, tentativo messo in atto
anche a Peteano. Ma nel tempo è emersa la chiara matrice terroristica della
strage, perfettamente inquadrata in quegli anni. Anzi, Brescia è stata definita
la strage più politica, diretta proprio contro una manifestazione contro il
terrorismo neofascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista.
Tra
le menti c'erano Rauti, Maggi, Zorzi e Tramonte (informatore dei servizi segreti
italiani con il nome di "fonte tritone", individuato anche in una foto scattata
sul luogo poco dopo la tragedia). Rauti era ai vertici di Ordine nuovo e aveva
pianificato diverse azioni terroristiche, dopo il celebre convegno dell'Hotel
Parco Dei Principi del 1966, che diede secondo gli storici l'avvio delle
pianificazione alla strategia della tensione. Tra gli imputati anche Francesco
Delfino, ex generale dei carabinieri che secondo la procura "partecipò alle
riunioni in cui venne organizzato l'attentato e non impedì, quale ufficiale
dell'Arma dei carabinieri, che lo stesso venisse portato a compimento". Maifredi,
invece, si sarebbe occupato di custodire l'ordigno nei giorni precedenti. A
margine del processo c'è un altro procedimento, aperto contro gli avvocati
Gaetano Pecorella e Fausto Maniaci, accusati di aver fatto da tramite nel
consegnare a Martino Siciliano 150mila dollari per ritrattare le sue
dichiarazioni contro Delfo Zorzi.
All'appello, come hanno fatto notare i parenti delle vittime, mancano ancora gli
esecutori. "E' una strage con i capelli bianchi - ha commentato Lorenzo Pinto,
fratello di Luigi Pinto -. Penso agli attuali imputati, anche loro hanno i
capelli bianchi e in caso venisse riconosciuta la loro responsabilità, proprio
per l'età che hanno, difficilmente finirebbero in carcere". "Mi aspetto la
verità processuale - ha aggiunto Arnaldo Trebeschi, che ha cresciuto il figlio
del fratello Alberto, morto insieme alla moglie Clementina Calzari - perchè con
questa possiamo costruire quella storica. La storia è una scienza e ha bisogno
del documento. Tutto il resto è un'interpretazione politica che io posso anche
condividere ma resta un'interpretazione". Diverso il giudizio di Manlio Milani,
storico presidente dell'associazione delle vittime, vedovo di Livia Bottardi:
"Penso che in tutti questi anni, anche se non ci sono i nomi dei responsabili,
nei tribunali sia stata costruita la verità storica. Un processo, anche se
finisce senza una condanna, resta valido per tutte le circostanze storiche che
fa emergere. In questo caso il ruolo della Destra eversiva nelle stragi".
Alessandro Chiappetta - aprileonline
http://www.canisciolti.info
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