MOSCA. La pace del Caucaso - dicono
cinicamente a Mosca - è quella della guerra. E
il riferimento d’obbligo è alla Cecenia che ha
visto e vede ancora gli stessi scenari che
arrivano oggi dalle due Ossezie divise tra
Georgia e Russia. Con i bollettini dal nuovo
fronte caucasico che sono impressionanti: cresce
la tensione in tutto il teatro ossetino, i
georgiani sparano a tappeto e con i loro aerei
colpiscono ogni villaggio, Tbilissi attacca i
separatisti e attua forme di genocidio e di
pulizia etnica, le vittime sarebbero già 1400
mentre il leader georgiano Saakasvili si difende
dicendo che il suo paese reagisce alle
“provocazioni” del Nord. Da Mosca Medvedev,
Putin e il ministro degli Esteri Lavrov
giustificano l’invio di caccia e reparti
blindati sostenendo che la Russia deve difendere
i suoi peacekeeper e i connazionali. Parte
intanto una missione congiunta Usa-Ue ma è
allarme sul fronte energetico perchè a rischio
c’è un milione di barili di greggio. E le fiamme
del Caucaso avanzano di minuto in minuto. La
televisione russa trasmette senza soste
intervistando tutti gli esponenti politici e
tutti i dirigenti del Cremlino.
In Russia molti dicono che sembra di essere
tornati ai tempi della seconda guerra mondiale
quando la popolazione restava incollata alla
radio per sentire i comunicati sull’attività del
fronte. Non si è, certo, al panico, ma a
Tbilissi il governo ha decretato lo stato
d’assedio e la gente fa incetta di pane. Si
corre nei rifugi sotterranei e le fonti
ufficiali continuano a parlre di una prossima
invasione russa. Viene alimentata ad arte la
paura di una guerra globale. Ma una cosa è
certa: la guerra è qui, ai confini. A ricordarlo
ci sono le bare di zinco che arrivano negli
aeroporti militari e le centinaia di carri
armati che sferragliano per le arterie che vanno
verso Zchikvali.
Stesse visioni al Nord, nella Russia di
Vladikavkas. Qui fanno base le truppe corazzate
russe pronte sempre a mettere in moto i loro
tank per correre in soccorso alle popolazioni
dell’Ossezia del Sud che sono - a grande
maggioranza - di origine russa o, addirittura,
hanno la cittadinanza russa. La situazione è
anche aggravata da alcuni “fatti” inevitabili
che aumentano di ora in ora. Perchè nelle zone
del Nord stanno arrivando i primi convogli di
volontari. Sono giovani ed anziani, parenti
degli ossetini che giungono da ogni parte del
Paese. C’è una sorta di tam-tam che risveglia i
sentimenti patriottici ed alimenta il
nazionalismo. Si è in presenza di una vera e
propria azione partigiana che il Cremlino non
riesce più ad arginare. E a muoversi è anche la
comunità Cosacca che annunciato che molte
centinaia di uomini (“terroristi” secondo
Tbilissi) sono già in marcia pronti a proteggere
l'autoprocalamatasi repubblica. E tutti sanno
che questi leggendari uomini un tempo fedeli
alla Russia zarista sono già armati e decisi a
tutto. In pratica una sorta di Gurka in versione
caucasica...
In sintesi, questa è la mappa del teatro di
guerra.
GEORGIA. Con i suoi 70.000 chilometri
quadrati ed una popolazione complessiva di circa
sei milioni di abitanti è la terra che ha dato i
natali a Josif Stalin e a tanti altri personaggi
della vita sociale di quella che un tempo era
l’Unione Sovietica. Tutti ricordano questa terra
caucasica come luogo di villeggiatura ideale, ma
oggi è una regione devastata da conflitti,
guerre e pulizie etniche. Ha sopportato
l’arroganza di un poliziotto come Schevardnadze
(uno dei distruttori dell’Urss) ed ora - tra
spinte nazionaliste e ondate di separatismo - si
trova dominata da un reazionario filo-americano
di nome Michail Saakasvili. E’ lui che,
traghettando il Paese nella Nato e negli Usa di
Bush, sviluppa una dura campagna di odio
antirusso. Ha già effettuato una svolta
economica in direzione dell’Ovest scavalcando il
monopolio della Russia per portare il greggio
dal Mar Caspio verso i mercati occidentali. Ma
proprio mentre si delinea una politica tutta
filo-americana, la Georgia vede esplodere
nazionalismi e movimenti di secessione. E’ il
caso di due regioni, come Abchazia e l'Ossezia
del sud, che si sono autoproclamate indipendenti
a prezzo di sanguinose guerre interetniche e che
godono di un più o meno tacito sostegno di Mosca
nella difesa della loro autonomia.
LE DUE OSSEZIE. Quella del Nord si trova
ufficialmente integrata nella Repubblica
federativa Russa. La sua capitale è Vladikavkaz.
E in questa regione di confine (con la Georgia
ossetina) si trovano la maggior parte delle basi
militari russe nella regione del Caucaso e il
paese - forse anche per questo motivo - è stato
suo malgrado coinvolto e vittima del conflitto
tra la Russia e la Cecenia, con la tragedia del
2004 dei bambini di Beslan. Gli osseti, intanto,
accusano la minoranza musulmana inguscia di
alimentare il terrorismo nella regione.
Il Sud, invece, è territorio georgiano (3900
Km2) con circa 75mila abitanti di cui il 68%
osseti, il 25% georgiani e il resto russi. La
capitale è Zchikvali (42mila abitanti) che sino
al 1961 era chiamata Staliniri in onore,
appunto, del conterraneo Stalin. La svolta
separatista ufficiale si è avuta nel 2006 quando
alle elezioni presidenziali vinse il candidato
secessionista Eduard Kokojty (che in un
messaggio alla Duma di Mosca chiese l’annessione
alla Russia) contro il filo-georgiano Dmitrij
Sanakoev.
GLI UOMINI DEL CONFLITTO. Le più grandi
responsabilità di questa guerra ricadono sul
dittatore di Tbilissi, Michail Saakasvili. Siamo
qui in presenza di un reazionario che si è messo
al servizio degli Usa. Un personaggio sempre
considerato dall’Occidente come un paladino dei
valori democratici. Ma che con i suoi metodi
repressivi, ha ampiamente disatteso le promesse
di democrazia di cui si era fatto garante. Il
suo obiettivo politico è di portare la Georgia
nel bacino americano, nella Nato e nel campo di
quelle forze che si oppongono alla Russia. Il
vero regista dell’intera operazione caucasica è,
comunque, il presidente americano Bush. E’ lui
che appoggia la Georgia del dittatore Saakasvili.
Diversa la posizione del presidente dell'Ossezia
del Sud, Eduard Kokoity. Un personaggio che si
trova a gestire la difficile situazione del suo
paese dove la spinta all’autonomia da Tbilissi
cresce di giorno in giorno. E che ora è favorita
anche dalla pulizia etnica delle truppe di
Saakasvili. Kokoity denuncia l'uccisione di
"centinaia di civili" nell'operazione militare
delle forze georgiane a Tskhinvali. Nel definire
l'azione in corso "un genocidio", Kokoity,
afferma che "hanno perso la vita centinaia di
abitanti pacifici". "Questi ultimi tragici
eventi - accusa ancora il presidente -
dovrebbero diventare l'ultimo passo verso il
riconoscimento dell'indipendenza dell'Ossezia
del Sud".
E nel contesto generale del conflitto nord-sud
si staglia anche la figura di Putin già
coinvolto nella guerra in Cecenia. Il leader
russo giunge a Vladikavkas direttamente da
Pechino per dire che l’intervento militare della
Russia in Ossezia del Sud “dal punto di vista
giuridico è del tutto fondato e legittimo, ma è
anche necessario” per il ripristino della pace
nella regione. Putin, accusa poi le autorità
georgiane di “azioni criminali” e annuncia lo
stanziamento di 500 milioni di rubli aggiuntivi
per aiutare l’Ossezia del Sud, dove è in corso
“una catastrofe umanitaria”.
Intanto a Mosca il difensore dei diritti civili,
Vladimir Lukin chiede alla società mondiale che
venga formato al più presto un Tribunale
chiamato a giudicare i criminali che in Georgia
hanno ordinato il genocidio degli ossetini. Ma
in attesa del giorno del giudizio Tbilissi
continua a sparare, mentre la Russia si vede
costretta - dalle dure leggi della diplomazia e
della realpolitik - ad assistere a questa
tragedia caucasica. Ma è anche vero che la
domanda che circola a Mosca è questa: sino a
quando?
09/08/2008 Ossezia, la Russia pronta ad intervenire (Carlo Benedetti, http://altrenotizie.org)
MOSCA. La capitale dell’Ossezia del Sud -
Tskhivali - è in fiamme. Le truppe georgiane
comandate dal presidente di Tbilissi Saakasvili
attaccano su tutti i fronti. Bruciano gli
ospedali, le scuole e i maggiori edifici
pubblici. Ma le bombe cadono anche sulle
abitazioni. Le vittime, secondo le prime
informazioni diffuse a Mosca, sarebbero oltre
mille. Si combatte nelle strade delle città e
dei villaggi mentre il comando delle forze
d’interposizione della Csi (Comunità di Stati
indipendenti, l'organismo nato sulle ceneri
dell'Urss) - per la stragrande maggioranza russe
- viene attaccato dai militari georgiani.
L’esercito ossetino non riesce a respingere
l’offensiva scatenata da Tbilissi. Colonne di
profughi, con auto e camion, cercano di
raggiungere il confine russo per trovare rifugio
nell’Ossezia del Nord. Il caos regna ovunque e
le notizie che giungono dal fronte caucasico
sono frammentarie e, spesso, anche
contraddittorie. Alcuni fatti vengono
strategicamente taciuti. Ma una cosa è certa: è
guerra.
E in Russia iniziano gli arruolamenti volontari
per accorrere nell’Ossezia del Nord e
raggiungere poi il Sud per combattere contro gli
invasori georgiani. Si scatenano odi antichi che
diventano fattori di ulteriori tensioni. Il
governo dell’Ossezia del Sud, intanto, non cede
di un millimetro e ribadisce la sua volontà di
staccarsi dalla Georgia e ottenere una completa
e reale autonomia. In pratica vuol passare dal
processo di autodeterminazione al riconoscimento
ufficiale della Repubblica. La situazione (che
si caratterizza con un gorgo di conflitti
nazionalistici) ricorda a tutti quella della
Cecenia. Ma qui c’è già una istituzione
autoproclamata che ha tutte le caratteristiche
di una nazione autonoma.
Mosca, per ora, non si pronuncia sulle questioni
di natura istituzionale e diplomatica. Punta a
difendere l’integrità del suo territorio di
confine (quello dell’Ossezia del Nord) e ad
impedire che nella zona del sud i georgiani
diano il via ad azioni di pulizia etnica. Sono
queste le posizioni espresse da Putin (che si
trova a Pechino per le olimpiadi e che ha
parlato dell’Ossezia con Bush) e da Medvedev
che, in diretta tv dal Cremlino, afferma che “la
Russia fornirà risposte adeguate alla Georgia” e
sottolinea che "non abbandoneremo i nostri
concittadini: i colpevoli saranno castigati come
meritano".
E’ chiaro che Mosca (pur tenendosi a volte nel
vago se non bell’ambiguità del linguaggio
diplomatico) si prepara a passare dalle parole
alle armi per difendere la popolazione russa che
abita nell’Ossezia. E mentre le unità di crisi
della Difesa e degli Esteri sono al lavoro
studiando soluzioni per una trattativa globale,
l’intera vicenda assume il carattere di una
emergenza politica nazionale. Con il presidente
della Duma di Stato, Boris Gryzlov, il quale
ammonisce che la Russia "non si asterrà dalle
misure operative su vasta scala per proteggere i
connazionali presenti nella regione".
A Mosca arrivano anche segnali dagli Usa con la
proposta della fine immediata dei combattimenti
nell'Ossezia del Sud, invitando all'apertura di
negoziati diretti tra i belligeranti. "Noi
chiediamo che le violenze cessino immediatamente
e che le parti avviino negoziati diretti", dice
il portavoce della Casa Bianca, Gordon Johndroe,
che si trova al seguito del presidente Bush, a
Pechino. Ma a Mosca come a Tskhivali si sa bene
che il limite di guardia è stato superato, dal
momento che il capo della Georgia - Saakasvili -
è un uomo di Washington. Segue i diktat della
Casa Bianca, del Pentagono e della Cia. Riceve
fondi ed armi dall’amministrazione statunitense
ed ha come compito principale quello di fare
della Georgia una fortezza americana nel cuore
del Caucaso.
In questo contesto non è difficile capire che il
disegno degli geostrateghi americani sia proprio
quello di favorire sempre più una
destabilizzazione dei sistemi politici, capace
di favorire l’ingresso nella NATO dei due Stati
che hanno sbocchi sul Mar Nero: Ucraina e
Georgia. L’obiettivo, infatti, consiste nel
trasformare il Mar Nero in un lago della Nato
spodestando, di fatto, la Russia dai suoi
storici territori in Europa.
Tutto ciò dovrebbe servire a tre scopi:
proteggere le forniture energetiche ponendole
sotto il controllo delle holding dell’Ovest;
agevolare la “democratizzazione” e cioè
l’occidentalizzazione totale di quello che nelle
mire di Washington dovrebbe essere un “Grande
Medio Oriente”, da Casablanca a Kabul. Non solo,
ma il piano statunitense tende anche ad
infliggere una decisiva sconfitta geostrategica
alla Russia. Questi fini spiegano il sostegno
occidentale al filoamericano e filo-Nato Viktor
Yushchenko in Ucraina. E soprattutto spiegano la
determinazione del governo georgiano-americano a
riprendere il controllo delle sue due province
separatiste, Abchazia ed Ossezia meridionale.
Intanto l’Unione europea chiede alle parti in
causa di fermare le violenze. Anche
l'Organizzazione per la sicurezza e la
cooperazione in Europa (Osce) esprime la sua
"seria preoccupazione" per le violenze nella
provincia dell'Ossezia del Sud e lancia un
appello alle parti in conflitto perché trovino
una soluzione. Dal canto suo il ministro degli
Esteri finlandese, Alexander Stubb, attuale
presidente dell'Osce, dichiara di essersi messo
in contatto con Tbilissi e Tskhinvali e di aver
invitato le due parti a incontrarsi il prima
possibile a Helsinki: "La situazione nella zona
del conflitto è estremamente tesa e si impone un
calo immediato della tensione" precisa Stubb.
Si fa sentire anche il segretario generale della
Nato, Jaap de Hoop Scheffer, il quale lancia un
appello per la "fine immediata degli scontri
armati" e l'apertura di "discussioni dirette".
Dimentica ovviamente che le colpe del conflitto
vanno ricercate anche nell’arroganza della Nato,
che non vuole consentire ad una “parte” della
Georgia di scegliere la via dell’autonomia.
E mentre dal Caucaso continuano ad arrivare
notizie di scontri e di lutti, Putin da Pechino
fa sentire ancora una volta la sua voce: "Ci
dispiace - dice - che oggi, proprio nella
giornata dell’inaugurazione delle Olimpiadi, i
dirigenti georgiani abbiano intrapreso le azioni
aggressive nei confronti dell’Ossezia del Sud,
anche se sin dai tempi antichi nel periodo dei
Giochi Olimpici le guerre venivano sospese. Di
fatto la Georgia ha scatenato le azioni militari
con l’uso dei mezzi bellici pesanti. Si
lamentano vittime e feriti anche tra le forze di
pace russe”.
Non mancheranno “nostre misure di ritorsione": è
l’annuncio che il primo ministro russo fa alla
radio che continua a trasmettere le tragiche
notizie del Caucaso, mentre nella centrale
piazza Smolensk di Mosca - dove si trova il
palazzone del ministero degli Esteri - gli
ossetini che vivono nella capitale danno vita a
meeting di protesta. Chiedono l’intervento della
“Madre Russia”. Ed è chiaro che oggi inizia il
momento della verità per Medvedev e Putin.
Perchè questa attuale - senza voler essere
catastrofici - può essere considerata come una
guerra degli Usa (tramite l’alleata Georgia)
contro la Russia.
08/08/2008 Ossezia, è la guerra annunciata (Carlo Benedetti, http://altrenotizie.org)
MOSCA.
Nel Caucaso tornano le fiamme della guerra. Mentre la
Cecenia è sempre in stato d’allerta ora esplode l’Ossezia
del Sud, territorio situato nell’ambito dei confini della
Georgia e che, da anni, rivendica la sua autonomia da
Tbilissi dopo aver autoproclamato una sua repubblica,
eletto un suo presidente e formato il suo esercito. La
situazione è giunta ora ad un punto di non ritorno ed è
guerra. Da una parte, in difesa, i sudisti ossetini di
Eduard Kokojtym dall’altra, all’attacco, i georgiani di
Michail Saakavili. Le truppe di Tbilisi, intanto, varcano
i confini e puntano sulla capitale Tskhivali. I georgiani
- forti dell’appoggio diplomatico degli Usa e dotati di
armi americane - mobilitano anche i riservisti e riescono
a colpire i villaggi ossetini con un fitto fuoco di mortai
e lanciarazzi. Danno il via a bombardamenti aerei contro
la provincia autonoma ribelle: cinque caccia georgiani
Sukhoi-25, in due ondate successive colpiscono le
postazioni sud-ossetine nei dintorni del villaggio di
Tkverneti.
Gli aerei dell’armata di Tbilisi attaccano anche un
convoglio umanitario inviato dal presidente dell'Ossezia
del nord - che è il territorio situato nell’ambito della
Russia - Teimuras Mamsu. Bombardano poi anche il quartier
generale delle forze di pace della Csi (per lo più russe).
Ed è chiaro, a questo punto, che la guerra è esplosa a
tutti i livelli. La parola è alle armi e il Caucaso vive
ore drammatiche mentre si cominciano a contare i morti.
In Russia - paese indirettamente chiamato in causa perchè
sotto la sua giurisdizione c’è l’Ossezia del Nord - sono
già impegnte le unità di crisi al Cremlino e ai ministeri
della Difesa e degli Esteri. Le fonti d’informazione
ufficiali rendono noto che "sotto la direzione del
presidente Dmitri Medvedev", Mosca sta studiando in queste
ore "misure d'urgenza" per "ristabilire la pace" nella
regione e difendere, di conseguenza, i cittadini russi
presenti nella repubblica separatista, che rappresentano
circa il 90% circa della popolazione. Impegnato in questa
operazione d’emergenza anche il Consiglio di Sicurezza
dell’Onu che, su richiesta della Russia, si è riunito per
consultazioni in una rara sessione notturna per discutere
l'escalation del conflitto.
Si apprende anche che Mosca aveva già messo in agenda
della riunione un breve testo di dichiarazione in cui i
Quindici del Consiglio erano chiamati ad esprimere
"preoccupazione per l'escalation delle violazioni nella
zona del confine georgiano-sud osseziano" e si invitavano
le parti in conflitto a rinunciare alla violenza. Una
frase, quest'ultima, a cui la Georgia è contraria e su cui
Stati Uniti e Gran Bretagna avrebbero espresso riserve. Il
Consiglio è quindi passato a riunirsi in seduta pubblica
senza aver raggiunto l'unanimità.
La situazione, ora, è in piena evoluzione. Continuano
infatti i raid aerei e gli attacchi con mezzi blindati.
Gli ossetini si difendono con una lotta partigiana che
coinvolge, praticamente, tutta la popolazione (gli
abitanti della regione sono 65.000). Si combatte ai
confini con la Georgia e si cerca di contenere l’avanzata
delle truppe di Tbilisi che hanno le loro basi di appoggio
nei villaggi di Ergneti e Nikozi. Contemporaneamente nella
capitale ossetina il presidente Kokojty annuncia che se la
situazione precipiterà sino al punto di mettere in
pericolo l’sistenza dell’autonomia dell’Ossezia del Sud
farà appello a volontari che potrebbero arrivare da tutto
il Nord-Caucaso. Scenderebbero in campo anche i cosacchi
el Don. Kokojty, inoltre, accusa gli Usa e l’Ucraina di
soffiare sul fuoco perchè avrebbero fornito alla Georgia,
rispettivamente, 120 e 40 armi di precisione.
E tutto avviene mentre il presidente di Tbilissi,
Saakasvili, (un reazionario di stampo fascista al servizio
degli americani) mostra sempre più i muscoli. Certo
dell’appoggio occidentale non molla nei confronti di una
Ossezia sudista che non vuole restare sotto il tallone di
una Georgia che è da sempre nemica di questo popolo di
contadini e pastori che ora si trova attaccato.
L’unico appoggio che gli potrebbe venire è quello della
Russia, il paese confinante dove, appunto, è collocata la
Repubblica autonoma dell’altra Ossezia, quella del Nord.
Ma se la Russia dovesse intervenire vorrà dire che Mosca
ha scelto la guerra diretta con Tbilissi. Ma nonostante
tutte le prudenze e le preoccupazioni di ordine
diplomatico il generale Valerij Evtukhovich, che comanda
le truppe dei paracadutisti russi di stanza nell’area
della Ossezia del Nord, dichiara che «in caso di
necessità» i suoi uomini sono pronti a intervenire. E così
si comprende bene che il periodo delle astuzie politiche e
diplomatiche è già alle spalle. Si è nel pieno di un crisi
che non è solo caucasica, ma europea. Con Tbilissi che
proprio sull’onda di questa guerra da poco iniziata
ritiene sempre più importante rafforzare i suoi legami con
la Nato e con gli Usa per assicurarsi la completa e futura
integrità territoriale. Intanto le bombe cadono su
Tskhivali. Ma l’eco arriva al Cremlino dove si pone, oggi
più che mai, il problema del che fare.
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