Un noto leader tra i veterani del Vietnam, rimasto
paralizzato in combattimento, descrive il percorso spaventosamente familiare che
ci sta portando verso un conflitto in continua espansione.
Ad
un soldato che ha combattuto nella Guerra del Vietnam -- l’unico conflitto perso
dagli Stati Uniti -- l’imminente decisione del Presidente Bush di incrementare
le forze statunitensi in Iraq con migliaia di truppe riporta alla mente eventi
di oltre trent’anni fa. Nel 1968, poco tempo dopo che Clark Clifford succedette
a Robert McNamara come Segretario alla Difesa, il Segretario Clifford si riunì
con lo Stato Maggiore delle Forze Armate per discutere la guerra in Vietnam. Si
rese conto in poco tempo che i più alti capi militari americani non sapevano
quante truppe necessitassero, né ciò che avrebbe istituito la vittoria.
Nel Marzo 1968, nonostante questa scoperta, il Presidente Johnson acconsentì
all’invio di 24.500 truppe aggiuntive per un caso di emergenza. Il Presidente
Johnson e il Segretario Clifford pensavano che questo incremento delle truppe
avrebbe portato gli Stati Uniti alla vittoria. E il 31 Marzo, rivolgendosi alla
nazione, il Presidente Johnson aveva dichiarato: “Non abbiamo alcuna intenzione
di ampliare questa guerra.”
Fino a quel momento, circa 24.000 militari al servizio degli Stati Uniti avevano
perso la vita in Vietnam. Alla fine della guerra più di 58.000 soldati erano
rimasti uccisi. Morirono più soldati nel portare a termine il conflitto rispetto
a quanti morirono nell’accenderlo. Inoltre, alla fine della guerra, gli Stati
Uniti avevano notevolmente espanso il conflitto in Cambogia e Laos.
Eppure, poco più di un anno dopo, una volta abbandonato il proprio incarico,
Clifford scrisse: “Nulla di ciò che avremmo fatto poteva risultare tanto
vantaggioso … quanto iniziare a ritirare le truppe. Inoltre … non potevamo
aspettarci realisticamente di raggiungere qualcosa attraverso la nostra forza
militare, è venuto il tempo di iniziare a liberarsi.”
Suggerendo al Presidente Bush che le truppe statunitensi in Iraq andrebbero
incrementate, senza alcun piano definito per ottenere la vittoria, il Segretario
alla Difesa Robert Gates rischia di seguire le orme di Clifford Clark. Come nel
caso del Segretario Clifford, Gates è subentrato all’artefice di un fallimento
militare degli Stati Uniti. E come Clifford, Gates si è dimostrato incapace di
esigere un drastico cambiamento di rotta.
L’Iraq si trova nel bel mezzo di una guerra civile. C’è inoltre chi, al governo
statunitense, accusa gli stati vicini come Iran e Siria di aver inasprito le
tensioni tra le sette in Iraq. Incrementare il numero di truppe statunitensi fa
crescere la probabilità che gli Stati Uniti vengano coinvolti ulteriormente in
un conflitto interno iracheno e schierare una seconda portaerei nel Golfo
Persico -- apparentemente nello sforzo di mettere in guardia Siria e Iran e di
accrescere la flessibilità per i comandanti nella regione -- mi ricorda la
decisione dell’esercito statunitense e dei dirigenti civili di espandere la
guerra in Vietnam oltre i confini della nazione.
Oggi
l’esercito americano è, nelle parole del Pentagono, teso “al punto di rottura”.
Quasi il 30% del 1,5 milioni di militari al servizio degli Stati Uniti che è
stato schierato dall’11 Settembre 2001, ha preso posizione più di una volta.
Migliaia di membri dell’ Individual Ready Reserve (IRR) sono stati convocati in
quella che molti definiscono una “chiamata alle armi dalla porta di servizio”. I
reclutatori dell’esercito stanno faticando a raggiungere i propri obiettivi; il
Pentagono sta prendendo in considerazione l’aumento considerevole nell’esercito
statunitense di membri non cittadini americani; oltre 16.000 madri single
appartenenti all’esercito sono state schierate. E, soprattutto, più di 3.000
militari sono stati uccisi in Iraq e decine di migliaia feriti. Infine, oltre
350 bilioni di dollari sono stati impiegati in questa guerra.
E’arrivato il momento per il Congresso statunitense di garantire che la voce del
popolo americano -- incluse le voci di coloro che hanno servito in Iraq e
precedentemente -- vengano ascoltate. Evidentemente, il Presidente Bush non ha
colto l’avvertimento principale delle elezioni di Novembre e dell’Iraq Study
Group: che gli americani vogliono un drastico cambiamento di rotta in Iraq, uno
che non includa l’intensificarsi del coinvolgimento degli Stati Uniti.
Per fortuna, non solo i Democratici si sono schierati opponendosi all’incremento
delle truppe. Particolarmente di rilievo, i Senatori Repubblicani Chuck Hagel,
Gordon Smith, Susan Collins e Norm Coleman hanno manifestato la propria
opposizione al piano del Presidente.
Domande impegnative devono essere poste a proposito dell’aumentare il numero di
truppe in Iraq; l’effetto che tale scelta avrà su coloro che si sono arruolati
come volontari per servire il proprio paese nell’esercito va tenuto attentamente
in considerazione.
Con
una percentuale tanto minima della popolazione statunitense che si fa carico per
la grande maggioranza del fardello rappresentato dalla guerra in Iraq, il senso
del sacrificio condiviso è andato perduto. Il contratto sociale tra i militari
al servizio, il loro governo e la società deve essere riparato. E’ tempo per i
membri del Congresso -- Democratici e Repubblicani allo stesso modo -- di
collaborare insieme per dimostrare al Presidente Bush la follia di un eventuale
aumento delle truppe in Iraq.
In caso contrario, gli Stati Uniti rischiano il ripetersi degli insuccessi del
Vietnam.
*Bobby Muller è Presidente di Veterans for America (un tempo Vietnam
Veterans of America Foundation), e uno dei co-vincitori del Premio Nobel per la
Pace 1997.
Titolo originale:
Vietnam All Over Again , 11 gennaio 2007
Fonte: Alternet.org
Traduzione di Sara
Zagaria per Cani Sciolti
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