Saddam Hussein ‘Abd al-Majīd al-Tikrītī o, più correttamente,
Saddām Husayn ˁAbd al-Majīd al-Tikrītī (صدام حسين عبد المجيد
التكريتي) (nato il
28 aprile
1937), dittatore e
presidente dell'Iraq
dal 1979 al
2003.
Biografia
Primi anni
Saddām Husayn nacque nel villaggio zaza di al-Awja, nel distretto iracheno di
Tikrīt, da una
famiglia di pastori di pecore. Il padre Husayn ˁAbd al-Majīd sparì sei mesi
prima della sua nascita lasciando la madre, Subha Tulfāh al-Mussallat, sola con
un figlio tredicenne malato e il nascituro Saddām in grembo. Dopo la morte del
figlio tredicenne, la madre cercò, in piena crisi
depressiva, un'altra famiglia in cui far crescere il neonato, trasferendolo
dallo zio
Khayr Allāh Tulfāh. Dopo il nuovo matrimonio della madre con Ibrāhīm
al-Hasan, da cui ebbe altri fratelli, Saddām tornò a vivere con la madre ed il
patrigno, la cui rigidità fu motivo principale per cui all'età di dieci anni si
trasferì nuovamente a
Baghdad per
vivere con lo zio, Khayr Allāh Tulfāh, padre della sua futura sposa.
Si iscrisse al Partito
Baˁth (Partito
della Risurrezione, di tendenze socialiste) e nel
1956, prese parte
al fallito tentativo di colpo di stato contro Re
Faysal II. Il 14 luglio
1958, un gruppo
non-baˁthista d'idee repubblicane, condotto dal Generale
ˁAbd al-Karīm Qāsim (Abd el-Karim Kassem), abbatté la monarchia e uccise il
re e il Primo Ministro
Nūrī Al Saˁīd. Nel
1959, dopo un tentativo fallito (pare sponsorizzato dalla
CIA
[1]) di assassinare Kassem, Saddām Husayn fuggì in
Egitto
attraverso la Siria
ed il Libano e
fu condannato a morte in contumacia.
In Egitto
conseguì un titolo di studio nella Facoltà di legge dell'Università
del Cairo.
Il colpo di Stato
Saddām Husayn tornò in Iraq a seguito del colpo di Stato militare del mese di
ramadān (8
febbraio 1963)
che aveva abbattuto e ucciso Qāsim, ma fu imprigionato nel
1964 a causa di un
nuovo mutamento al vertice dello Stato iracheno causato dalla morte violenta del
gen. ˁAbd al-Salām ˁĀref. Nel
1967 riuscì ad
evadere e nel 1968
contribuì al
colpo di Stato non violento realizzato dal partito Baˁth ai danni del
regime militare filo-nasseriano di ˁAbd al-Rahmān ˁĀref, fratello del precedente
Presidente iracheno.
Nel 1968 Saddām ottenne anche la laurea in giurisprudenza conferitagli
dall'università di
Baghdad.
A partire da quell'anno Saddām Husayn rivestì il ruolo di vicepresidente del
Consiglio del Comando Rivoluzionario; nel
1973 fu promosso al
grado di Generale dell'esercito iracheno, malgrado facesse parte dell'ala
cosiddetta "civile" del partito Baˁth.
Nel 1979 il
Presidente dell Repubblica
Ahmad Hasan Āl Bakr annunciò il suo ritiro e Saddām Husayn - imparentato con
Āl Bakr, lo sostituì nella carica.
La dittatura
Secolarizzazione
Il partito Baˁth aveva un programma progressista e socialista che
puntava alla modernizzazione e secolarizzazione dell'Iraq.
Saddām Husayn si attenne alla linea del suo partito e proseguì le riforme
modernizzatrici iniziate dai suoi predecessori, completando riforme quali la
concessione alle donne di diritti pari a quelli degli uomini, l'introduzione di
un codice civile modellato su quelli dei paesi occidentali (che sostituì la
Sharīˁa) e la
creazione di un apparato giudiziario laico (che comportò l'abolizione delle
corti islamiche,
anche se alcuni sostengono che vennero conservate per casi particolari).
Dopo essere stato incaricato di sovrintendere alla nazionalizzazione
dell'industria
petrolifera irachena (1972),
Saddām utilizzò una parte consistente dei profitti petroliferi per programmi di
welfare (istruzione gratuita ed obbligatoria; sanità pubblica gratuita) o
per modernizzare le infrastrutture e l'economia dell'Iraq, ad es. portando
l'elettricità in tutto il Paese.
Tuttavia gran parte dei proventi petrolifieri andarono negli apparati di
sicurezza iracheni (responsabili di reprimere ogni opposizione interna) e
nell'esercito. Husayn desiderava ottenere la leadership dell'area
vicino-orientale, il che lo pose in conflitto con l'Iran
dove nel 1979 era
salito al potere l'Āyatollāh
Khomeyni (1900
- 1989), cacciando
dal trono lo scià
Mohammad Reza Pahlavi (1919
- 1980).
Entrambi gli Stati ambivano a un ruolo egemonico nell'area del Golfo Persico
e del Vicino Oriente. Prendendo a pretesto la questione delle frontiere fra i
due Paesi (specie la discussa linea di confine che correva nello
Shatt
al-ˁArab, fino ad allora regolamentata dall'accordo bilaterale di Algeri)
l'Iraq attaccò l'Iran nel
1980 in quella che
fu allora definita la "Guerra del Golfo" (oggi più nota come
guerra Iran-Iraq), durata dal
1980 al
1988, anche se solo
nel 1990 le
operazioni belliche cessarono del tutto.
L'Iraq fu appoggiato sia dagli
Stati
Uniti - perché Khomeyni era loro notoriamente avverso - sia, ma solo
parzialmente, dall'URSS
che preferiva un governo laico a uno di matrice islamica. Le truppe irachene nel
periodo 1980 -
1986 avanzarono
celermente nel territorio iraniano grazie agli aiuti militari ricevuti e a una
discreta assistenza degli USA che permisero all'Iraq di usufruire delle
fotografie del teatro bellico prese dai loro satelliti militari, ma dal 1986
l'Iran riuscì a organizzare un'accanita resistenza richiamando gli Iraniani ai
loro più profondi sentimenti patriottici contro quello che ritenevano un
aggressore. Gli iracheni nel
1988 furono
ricacciati quasi interamente dal territorio iraniano anche se il restante
territorio occupato fu sgomberato solo dopo la fine del conflitto, a seguito di
appositi accordi bilaterali.
Saddām Husayn accettò una tregua e la pace fu stipulata nel
1990, anno in cui
entrambi i paesi erano ormai stremati per la lunghissima guerra.
Saddām non rinunciò però a svolgere un ruolo egemonico nella regione e,
riprendendo le mai accantonate pretese di sovranità irachena sul territorio
dell'emirato, nell'agosto 1990 invase il
Kuwait che si
arrese dopo soli 2 giorni.
Le Nazioni Unite si affrettarono a condannare l'aggressione mentre il
presidente degli Stati Uniti
George Bush veniva autorizzato dal Congresso ad utilizzare la forza militare
contro le truppe irachene in Kuwait. Dopo mesi di negoziati e trattative, l'ONU
impose all'Iraq il
15 gennaio
come data ultima per il ritiro, dopodiché autorizzava i suoi membri ad
utilizzare ogni mezzo possibile per cacciare dall'emirato le truppe di Saddām.
Il 16
gennaio una coalizione guidata dagli Stati Uniti (della coalizione facevano
parte
Gran Bretagna,
Francia,
Egitto,
Siria,
Arabia Saudita,
Italia,
Afghanistan,
Canada, ecc.) cominciò una devastante campagna aerea contro
Baghdad e le
truppe di Saddām nel Kuwait.
Il ra‘īs rispose lanciando missili balistici Scud-B contro le città
israeliane e saudite; tuttavia Israele, che non faceva parte della coalizione,
non entrò nel conflitto. Dopo quattro settimane di bombardamenti, cominciò la
fase terrestre di Desert Storm: unità arabe e dei Marines sfondarono le
difese irachene nel sud del Kuwait e liberarono la capitale dopo cento ore di
battaglia, mentre divisioni corazzate dei Marines penetrarono in Iraq da
occidente ed effettuarono una manovra a tenaglia che impedì all'esercito e alla
Guardia Repubblicana irachena di ripiegare verso Baghdad. Delle 40 divisioni
presenti in Kuwait, solo 4 se ne salvarono dall'accerchiamento ed erano
divisioni della Guardia Repubblicana, l'élite delle forze armate irachene.
L'offensiva venne sospesa il
2 marzo a
soli 60 km da Baghdad e Saddām si salvò dalla capitolazione totale. Il
3 marzo fu
firmato a Safwān l'armistizio tra i generali alleati e iracheni che sanciva di
fatto la fine della
Guerra del Golfo. L'Iraq uscì dalla guerra particolarmente indebolito
(nonostante Saddām fece passare la situazione come una vittoria); tutte le
strutture militari e governative erano devastate dai bombardamenti, il 90%
dell'esercito era stato distrutto e 100.000 iracheni (tra civili e militari)
erano morti; gli americani persero, invece, circa 230 unità.
Azioni politiche
Saddām è sopravvissuto a numerosi colpi di Stato, tentativi di assassinio e
complotti.
Il 1 giugno
1972, portò a
compimento il processo di nazionalizzazione delle compagnie petrolifere
occidentali che avevano il monopolio sul
petrolio
iracheno. Saddām favorì la modernizzazione dell'economia irachena, affrettando
la costruzione di industrie e seguendone il loro sviluppo. Supervisionò anche la
modernizzazione dell'agricoltura conseguita con una massiccia meccanizzazione
agricola e corroborata da un'ampia distribuzione di terre ai contadini.
Favorì una rivoluzione globale delle industrie energetiche, così come lo
sviluppo dei servizi pubblici, dal trasporto all'educazione. Avviò e perfezionò
una campagna nazionale per lo sradicamento dell'analfabetismo e a favore
dell'istruzione obbligatoria gratuita.
Nel novembre del
2000 Saddām iniziò a richiedere che il
petrolio
iracheno fosse pagato in euro anziché in
dollari, forse perché gran parte delle importazioni irachene avvenivano dai
paesi europei, ma più probabilmente per tentare di indebolire la moneta
statunitense: infatti secondo alcuni la domanda di dollari sarebbe dovuta
soprattutto alla compravendita del greggio in quella valuta, il che sosterrebbe
il suo
cambio, proteggendolo dalla
svalutazione; secondo costoro l'invasione
statunitense del 2003 può essere interpretata anche come uno scontro fra
petro-dollaro e petro-euro.
L'embargo
proclamato dalle
Nazioni Unite a seguito della guerra ha pesato fortemente sull'economia
irachena, vista la difficoltà per l'apposito Ufficio dell'ONU incaricato di
vagliare la rilevanza militare di ogni componente elettronico e ad alto
contenuto tecnologico la cui importazione veniva sollecitata dall'Iraq e che,
tra l'altro, ha a lungo impedito al Paese di sfruttare appieno la sua
potenzialità energetica e idrica che in forte misura dipendevano proprio da un
corretto impiego e da un'utilizzazione appropriata di tali apparecchiature.
Il degrado dell'efficienza industriale fu notevole e di questo pagò le
conseguenze la popolazione civile, anche se la componente militare del regime
iracheno fu messa al riparo col massimo dell'impegno possibile.
Nel 1996 il
parlamento iracheno ha accettato un piano del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che autorizzava la vendita di
quantità limitate di petrolio per far fronte alle necessità primarie alimentari
e farmaceutiche del Paese (cosiddetto piano
Oil for
food ovvero petrolio in cambio di cibo).
In base ai rapporti ufficiali, la popolarità di Saddām Husayn sarebbe rimasta
anche in tali momenti molto alta tra la popolazione irachena che veniva convinta
dagli strumenti della propaganda del regime che le difficoltà patite scaturivano
dalle decisioni vessatorie assunte dalle Nazioni Unite. Nel
2002 un referendum,
che chiedeva la riconferma di Saddām Hussein come leader dello stato iracheno,
ottenne il 100% di voti favorevoli. D'altra parte, Saddām era l'unico candidato
e il voto era obbligatorio.
Saddām è sposato con Sājida Talfāh ed aveva tre figlie e due figli,
ˁUdayy Saddām Husayn e
Qusayy Husayn, entrambi uccisi dai militari statunitensi in Iraq.
La caduta
Saddām Husayn dopo la cattura
Accusato di non aver adempiuto agli obblighi imposti dalla comunità
internazionale e di possedere ancora armi nucleari, chimiche e biologiche, mai
trovate però dagli ispettori dell'ONU, l'Iraq venne nuovamente attaccato. Il
19 marzo
2003, 300.000
soldati statunitensi e britannici invasero da sud l'Iraq dando il via all'operazione
Iraqi Freedom con l'obiettivo di disarmare e distruggere il regime di Saddām,
accusato di collusione con il terrorismo internazionale. Dopo pochi giorni di
guerra le truppe britanniche conquistarono la penisola di al-Faw e Umm Qasr; la
3a Divisione di Fanteria e la
2a Divisione dei Marines arrivano
alle porte di Baghdad il
2 aprile.
Il 3 aprile
comincia la battaglia per la conquista dell'Aeroporto Internazionale 'Saddām' a
sud-ovest della capitale irachena; il
5 aprile lo
scalo è totalmente sotto il controllo americano; nella stessa giornata, unità da
ricognizione entrano per la prima volta a Baghdad incontrando scarsa resistenza;
il 6 aprile
comincia la battaglia di Baghdad con violenti scontri tra Fedayn e Statunitensi.
Il 9 aprile,
la capitale irachena cade e i Marines entrano vittoriosi nella piazza del
Paradiso dove viene abbattuta, in diretta mondiale, la statua di Saddām Hussein.
Il 15 aprile,
le truppe statunitensi attaccano e conquistano Tikrīt, ultimo bastione di Saddām.
Il 1° maggio
2003, il presidente George W. Bush proclama la fine dei combattimenti in Iraq:
"Nella guerra contro l'Iraq, gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno prevalso".
Nonostante l'emergere di una violenta e sanguinosa insurrezione portata avanti
dalla resistenza irachena (a seconda dei punti di vista anche definita gruppi
terroristici) con azioni di
guerriglia
(anche qui un altro punto di vista le definisce azioni terroristiche) e
dagli uomini di
Abū Musˁab al-Zarqāwī, leader di
al-Qā'ida
in Iraq, l'ex presidente iracheno viene catturato dai soldati americani in un
villaggio nelle vicinanze di Tikrīt il
13
dicembre. Oggi è sotto custodia delle forze americane a Baghdad.
Processo e condanna
Saddām Husayn al processo
Sottoposto a processo da un tribunale iracheno assieme ad altri sette
imputati, fra cui il fratellastro, tutti gerarchi del suo regime, per
crimini contro l'umanità, in relazione alla strage di
Dujayl del 1982
(148 sciiti
uccisi), il
5 novembre 2006
è stato condannato a morte per
impiccagione (Husayn aveva richiesto la
fucilazione) e il
26
dicembre 2006
la condanna è stata confermata dalla Corte d'appello. Con lui è stato condannato
a morte per impiccagione anche
Awwad al-Bandar, presidente del tribunale rivoluzionario, mentre
Taha Yasin Ramadan, vice presidente, è stato condannato all'ergastolo.
L'esecuzione della condanna a morte avverrà a breve, poiché non è prevista la
possibilità di concessione della grazia e la legge irachena concede 30 giorni di
tempo dopo la sentenza d'appello per eseguire la condanna. L'ex presidente è
imputato anche per tortura, genocidio e crimini di guerra, in altri procedimenti
pendenti di fronte agli organi di giustizia irachena; la conclusione di tali
procedimenti potrebbe ritardare l'esecuzione della pena capitale.
In Iraq la sentenza ha provocato reazioni contrastanti:
Curdi e
Sciiti si sono
rallegrati (ad es. il primo ministro
Nūrī al-Mālikī avrebbe dichiarato ha dichiarato che "La condanna a morte
segna la fine di un periodo nero della storia di questo paese e ne apre un
altro, quello di un Iraq democratico e libero"), mentre i
sunniti hanno
reagito manifestando contro il verdetto. Anche in
Vicino Oriente le reazioni sono state contrastanti: i tradizionali nemici di
Saddām (Iran e
Kuwait) hanno
accolto la sentenza con favore, mentre i governi del mondo sunnita hanno tenuto
un basso profilo, cercando di non dispiacere né agli Stati Uniti, né alle
proprie opinioni pubbliche.
In Occidente la notizia della condanna a morte dell'ex rais di
Baghdad è
stata accolta positivamente, ma con toni diversi a seconda del Paese.
L'Amministrazione degli Stati Uniti ha espresso la sua completa soddisfazione (Una
pietra miliare sulla strada della democrazia,
G.W. Bush). Invece i governi dei Paesi dell'Unione
Europea (incluso quello italiano), pur approvando il verdetto di
colpevolezza, hanno ribadito la loro contrarietà di principio alla pena
capitale. Molti di essi si sono spinti a suggerire all'Iraq di non eseguire la
sentenza, una posizione non lontana da quella russa
[2].
Numerose e autorevoli organizzazioni umanitarie (tra le quali
Amnesty International
[3] e
Human Rights Watch
[4]) hanno criticato non solo la condanna a morte, ma anche lo svolgimento
del processo, in cui non sarebbero stati sufficientemente tutelati i diritti
della difesa e che sarebbe stato sottoposto a forti pressioni da parte del
governo iracheno e indirettamente dell'Amministrazione statunitense.
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30/12/2006 Archivio Saddam Hussein
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